spacer spacer
Home page        Il progetto        Parma Online        Come contribuire        Come contattarci
ARCHIVIO MOSTRE
Biblioteche del Comune di Parma uno sguardo oltre le mura
CERCA
 
Solo immagini
Solo testi
Foto e testi
 
LA BIBLIOTECA POPOLARE
LA CHIESA DI SAN ROCCO

Il dizionario dei parmigiani
Presentazione
Prefazione
Avvertenze
A-B
C-D-E
F-G
H-I-J-K-L-M
Haili-Hymen
Iago-Iuvanius
Jabalot-Juvanius
Kadalo-Korri
Labadini-Laquila
Largaiolli-Levrini
Liani-Lovisini
Luca-Luxardo
Maberini-Manazzi
Manciani-Mazza
Mazzadi-Mellara
Melli-Mognaschi
Moi-Muzzi
N-O-P-Q
R-S
T-Z
Bibliografia
Credits
Dizionario biografico: Jabalot-Juvanius [ versione stampabile ]

JABALOT - JUVANIUS

JABALOT FERDINANDO, vedi JABALOT FRANCESCO FERDINANDO LODOVICO

JABALOT FRANCESCO FERDINANDO LODOVICO
Parma 1780-1834
Frate domenicano, fu scrittore di buon valore. Ebbe corrispondenza con Pietro De Lama.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 489.

JACK, vedi MEZZATESTA VINCENZO

JACOBACCI DOMENICO VINCENZO CARLO
Parma 30 dicembre 1752-Parma 20 gennaio 1815
Figlio di Giovanni e di Domenica Pinazzi. Laureato in entrambe le leggi, ma con inclinazioni letterarie e filosofiche, si impiegò nella Segreteria di Stato. Contemporaneamente coltivò le discipline storiche e diplomatiche, la poesia e lo studio dei migliori prosatori italiani. Fu primo ufficiale della Segreteria durante la dominazione borbonica e in seguito fu promosso dall’Amministratore generale Moreau de Saint Méry a Segretario. Fu poi Conservatore delle Ipoteche, ufficio cui rinunciò per essere nominato nel 1811 Consigliere di Prefettura. Nel 1812 fu anche delegato a rivedere per il governo i componimenti che si stampavano in Parma. Caduto il dominio francese, fu nominato Assessore presso il Consiglio di Stato e il 5 gennaio 1815 Consigliere effettivo. Ma gli indugi frapposti nel trasmetterne  da Vienna a Parma le lettere patenti fecero sì che lo Jacobacci, da tempo ammalato di pleurite, cessasse di vivere senza aver potuto di fatto assumere il suo nuovo incarico. Lo Jacobacci fu traduttore dal francese di varie tragedie di Voltaire stampate dal Bodoni, del quale ultimo fu amico e corrispondente. In onore del Bodoni compose l’orazione funebre. Scrisse sonetti, epigrammi e madrigali. Il Denina, venuto in Parma a visitare il Bodoni, ebbe modo di conoscere lo Jacobacci e rimase tanto ammirato della sua erudizione che parecchi anni dopo lo ricordò, assieme al Mazza, come il solo Parmigiano di valore in mezzo ai tanti stranieri chiamati in Parma dal Du Tillot: Les Jacobazzy et les Mazza sont presque les seuls Parmésans de naissance. Lo Jacobacci ebbe corrispondenza con Paciandi, Bettinelli, Gastone Rezzonico, G. B. De Rossi, Angelo Mazza e Luigi Uberto Giordani.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833,IV, 583-585; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 208-209.

JACOBACCI FRANCESCO
Parma seconda metà del XVIII secolo
Architetto civile e militare attivo nella seconda metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VIII, 179.

JACOBACCI GIUSEPPE
1894-Dolina Bari 23 maggio 1917
Figlio di Cornelio. Laureando in scienze commerciali, Tenente Bombardiere, fu decorato di medaglia d’argento al valore militare. Morì combattendo da valoroso nei pressi di Castagnevizza: rimase imperterrito al suo posto incitando i serventi a continuare il fuoco, preferendo morire anziché cedere davanti al nemico.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 23 e 29 maggio, 5, 6 e 23 giugno 1917, 4 giugno 1918, 23 maggio 1919; G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 137.

JACOBACCI GUIDO
Parma 1864c.-
Subito dopo aver conseguito la laurea in ingegneria, nel 1890 lasciò Parma diretto in Argentina, dove realizzò la prima linea ferroviaria della Patagonia, alla cui stazione di capolinea si formò un paese che assunse il nome di Ingeniero Jacobacci.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 luglio 1999, 7.

JACOBACCI VINCENZO, vedi JACOBACCI DOMENICO VINCENZO CARLO

JACOBINUS DE MAIATICO, vedi ZAROTTI GIACOMO UBERTO FORTUNATO

JACOBO
Parma 1218
Fu Arciprete in Parma nell’anno 1218.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 489.

JACOBO DA GRAVAGO
Gravago ante 1266
È indicato con la qualifica di Magister in un documento del 1266.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 489.

JACOMELLI GEMINIANO, vedi GIACOMELLI GEMINIANO

JACOPINUSde MAIATICO, vedi ZAROTTI GIACOMO UMBERTO FORTUNATO

JACOPO
San Leonardo di Parma 1282
Fu priore di San Leonardo di Parma nell’anno 1282.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 490.

JACOPO, vedi anche DALLA TORRE GIACOMO ANTONIO

JACOPO DA CASOLA
Casola 1464
Frate dell’Ordine degli Umiliati, fu Priore di San Michele in Parma nell’anno 1464.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 490.

JACOPO DA CASSIO, vedi BEGANI GIACOMO e CASSIO JACOPO

JACOPO DA NOCETO
Noceto 1450
Fu castellano di Castel Sant’Angelo in Roma nell’anno 1450.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 490.

JACOPO DA PARMA, vedi CARAGLIO GIOVANNI IACOPO e ZANGUIDI JACOPO

JACOPO D’ARENA, vedi DELL’ARENA IACOPO

JACOPO DA SANSECONDO, vedi GIACOMO DA SAN SECONDO

JACOPO DA VERONA, vedi CARAGLIO GIOVANNI IACOPO

JACQUET JEAN-FRANCOIS
Estarverneur 1 novembre 1793-
Sposò Giuseppina Adorni di Parma, dalla quale ebbe due figli. Fu in servizio alla Corte di Maria Luigia d’Austria dal 1812 al 1817 come copritore di tavola e dal 1821 come aiutante dell’argenteria e porcellana.
FONTI E BIBL.: M.Zannoni, A tavola con Maria Luigia, 1991, 310.

JAN GEORG
Vienna 21 dicembre 1791-Milano 1866
Nacque da famiglia di origine ungherese. A Vienna compì i suoi studi naturalistici e in particolar modo quelli floristici. Era assistente nell’Imperiale Università di Vienna, quando, venticinquenne ma già illustre, fu chiamato (11 aprile 1816) alla cattedra di Botanica dell’Università di Parma da Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma, dietro suggerimento del conte Stefano Sanvitale che lo aveva conosciuto a Vienna e ne aveva apprezzato le doti di scienziato. Uomo di ingegno non comune e di notevoli capacità organizzative, creò attorno a sé un folto gruppo di studiosi, di appassionati e di allievi, tra i quali il famoso ditterologo Camillo Rondani e la stessa Maria Luigia con la figlia Albertina Sanvitale. La Duchessa lo apprezzò subito come uomo e come scienziato e lo aiutò in ogni modo per i lunghi e numerosi viaggi che lo Jan fece a scopo di studio e di raccolta. Infatti viaggiò a lungo in Italia e con Stefano Sanvitale, altro cultore delle scienze, intraprese viaggi in Francia, Svizzera e Inghilterra, arricchendo così le sue collezioni di piante d’erbario. Testimonianza di questa amicizia è la poesia che il figlio del conte Stefano Sanvitale gli dedicò. In quel periodo viaggiare era pericoloso e faticoso a un tempo: il Cornalia, suo allievo e amico e secondo aggiunto al Museo Civico di Milano, racconta che non poche volte lo Jan cadde in pericolo, come quando fu sequestrato da pastori dediti al brigantaggio. Studiò e collezionò anche conchiglie di specie viventi e fossili, insetti, minerali e rocce. A lui si deve, tra l’altro, il ritrovamento di una nuova specie alpina, la Silene elisabethae (che dedicò all’Augusta Consorte del serenissimo Principe), che fu rinvenuta sulle Grigne vicino a Mandello, tra il lago di Garda e il lago di Como, raro e ristretto endemismo delle Prealpi Italiane. Spirito eclettico, si volse anche a studi letterari, come documenta un saggio pubblicato nel 1838, in cui commentò alcuni brani dell’opera Il Re Lear di Shakespeare. Si dilettò anche di poesia: pubblicò negli anni giovanili un poemetto in tedesco intitolato Tempe, dal nome di una valle della Grecia, ricordata nelle Georgiche. Le raccolte effettuate nei numerosi viaggi, l’acquisto e lo scambio di materiale naturalistico, le donazioni di Stefano Sanvitale (collezioni di insetti), le donazioni della Duchessa di Parma (collezione di insetti dell’America Settentrionale), i libri e i copiosi duplicati dei molluschi marini delle specie viventi donatigli durante il riordino del museo dei Sanvitale gli permisero in pochi anni di radunare un vero e proprio patrimonio di collezioni e una buona biblioteca. Lo Jan, generoso fino all’imprevidenza e costretto ad alte spese per finanziare i suoi viaggi, si trovò però in un momento di gravi difficoltà economiche essendogli venuti a mancare alcuni introiti (in seguito ai moti del 1831 fu temporaneamente sospeso da ogni incarico), tanto che fu sul punto di abbandonare gli studi naturalistici e di vendere libri e raccolte. Fu proprio in quel periodo che conobbe il nobile e facoltoso milanese Giuseppe De Cristoforis, animato da grande interesse verso le scienze naturali. I due divennero presto amici e da quella amicizia lo Jan trasse il supporto morale che lo fece desistere dall’idea dell’abbandono degli studi naturalistici. Nel 1831 i due decisero di riunire le loro collezioni, che sistemarono in dieci stanze nella casa di proprietà del De Cristoforis, preludio al famoso Museo Civico della città di Milano. Il 27 maggio 1832 stipularono un patto, sottoscritto dal notaio, di reciproca donazione: in caso di morte di uno di loro, tutto sarebbe passato in pieno possesso del superstite. Ma nel 1833 il De Cristoforis, stilando il suo testamento, pur ricordando la convenzione antecedente con l’amico e socio Jan, fece donazione alla città di Milano di tutte le collezioni radunate nel Museo Jan-De Cristoforis. Fu così che all’immatura morte del De Cristoforis, avvenuta nel 1837, tutte le collezioni passarono al Comune di Milano, che venne ad avere uno dei più ricchi musei di scienze naturali dell’epoca. L’anno seguente lo Jan ne fu nominato direttore. Gli erbari dello Jan (98 mila esemplari di 17 mila specie vegetali diverse) e molto altro materiale delle collezioni esistenti presso il Museo Civico, andarono completamente distrutti durante i bombardamenti del 1943. In seguito alla costituzione del Museo Civico, lo Jan nel 1845 si trasferì definitivamente a Milano come direttore del Museo. Nello stesso anno fu nominato Cavaliere di seconda classe dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio di Parma. Durante l’ultimo periodo della sua vita, a 62 anni di età e in condizioni precarie di salute, intraprese uno studio nuovo per lui, che lo assorbì completamente: l’Iconographie générale des Ophides, la sua opera maggiore, stampata a Parigi coi tipi del Bailliere, nella quale, oltre alla vastità delle conoscenze, si rispecchia anche la grande capacità di sintesi della sua mente. Quest’opera, nella quale lo Jan rappresentò tutte le specie di serpenti note a quei tempi e che egli aveva potuto esaminare di persona (gliene furono inviati persino da musei americani), anche in seguito fece testo in tale materia, anche a livello internazionale. Le tremila tavole che corredano quest’opera sono, dal punto di vista grafico e della resa artistica, splendide.Furono eseguite dal suo assistente, Ferdinando Sordelli, che lo Jan, ormai più che settantenne e malato, addestrò fino all’acquisizione di una grande perizia. La pubblicazione di quest’opera a fascicoli si prolungò molto nel tempo e fu portata a termine solo nel 1881, quando lo Jan era morto da ben quindici anni: il merito di tale impresa editoriale fu del Sordelli, che si impegnò affinché tutto il materiale approntato prima della morte dello Jan potesse integralmente uscire alle stampe, anche se postumo. Il valore dello Jan venne riconosciuto dai suoi contemporanei: fu infatti socio di numerose società italiane ed estere, tra le quali l’Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, l’Istituto Lombardo di Scienze Lettere ed Arti, la Société Géologique de France e la Kaiserliche Königliche Landwirtyschaftsgesellschaft in Wien. A lui furono dedicati diversi generi di piante: Jania Lamour, Jania Schult, dell’Africa australe, e un’altra specie, Sida Janii, venne chiamata col suo nome, in segno di stima, dal Passerini. Tale pianta, coltivata da lungo tempo nel Regio Orto Botanico di Parma, era nota con il nome di Sida ovata Cavanilles, ma il Passerini, riscontrate alcune differenze morfologiche rispetto alla descrizione fatta dal Cavanilles, la denominò Sida Janii, dedicandola all’Amatissimo e Celebre suo Maestro e predecessore.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1933, 116; C. Corradi, Parma e l’Ungheria, 1975, 136-137; Al Pont ad Mez 1 1979, 54-55; Il verde a Parma, 1981, 16-18; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 190.

JAN GIORGIO, vedi JAN GEORG

JANELLI GIAMBATTISTA o GIAN BATTISTA, vedi JANELLI GIOVANNI BATTISTA

JANELLI GIOVANNI BATTISTA
Parma 7 aprile 1819-Parma 14 maggio 1884
Figlio di un imbianchino, passò qualche anno della gioventù esercitando il mestiere paterno. La sua pronta intelligenza, unita a una tenace volontà, persuasero il padre a mantenerlo ai primi studi. Intraprese giovanissimo la carriera militare, pervenendo al grado di tenente colonnello. Di sentimenti liberali, affiliato alla Carboneria, nei moti rivoluzionari fu sempre dei primi e dei più intrepidi. Dopo quasi quarant’anni di onorato servizio, ritiratosi dall’esercito (dove ebbe medaglie e onorificenze), attese agli studi prediletti, dedicandosi alla compilazione del Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, che pubblicò a Genova presso la Tipografia di Gaetano Schenone nel 1877, con dedica al marchese Guido Dalla Rosa, sindaco di Parma. Il libro ebbe un meritato successo tra gli studiosi parmigiani.
FONTI E BIBL.: A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 55; Parma. Vicende e protagonisti, 1978, III, 313; A.V.Marchi, Figure del Ducato, 1991, 362.

JANNO BERNARDINO, vedi DAJANNO BERNARDINO

JASONI AGOSTINO
Corchia 5 maggio 1874-Roccaprebalza 25 luglio 1949
Fece le scuole ginnasiali e liceali nel Seminario di Berceto e quelle teologiche in quello di Parma, ove fu ordinato sacerdote il 12 giugno 1897. Sacerdote di acuta intelligenza, fu nominato professore e Rettore nel Seminario di Berceto nell’autunno del 1898 e vi rimase fino all’estate del 1904. Per quarantacinque anni fu Rettore della parrocchia di Roccaprebalza dove, con grandi sacrifici, riuscì a edificare la piccola e bella chiesa a tre navate, realizzando un desiderio coltivato per molti anni. Fu anche Direttore spirituale nel Seminario di Parma e Rettore del Santuario della Madonna delle Grazie.Fu inoltre Canonico onorario della Collegiata di Berceto. Alla sua morte, lasciò alcuni beni che servirono a costruire la casa canonica di Roccaprebalza e per lavori nel Seminario di Berceto.
FONTI E BIBL.: I.Dall’Aglio, Seminari di Parma, 1958, 206-207; Gazzetta di Parma 4 settembre 1991, 16.

JASONI GIOVANNI
Parma 25 giugno 1865-Dogali 26 gennaio 1887
Figlio di Francesco e di Teresa Formentini e fratello di monsignor Erminio, illustre e dotto prelato della Città del Vaticano. Sergente appartenente al 93° Reggimento Fanteria, col quale prese parte valorosamente al combattimento di Dogali, cadde da prode nella tremenda mischia. La medaglia d’argento al valor militare concessa alla sua memoria reca la motivazione: Per la splendida prova data nel combattimento del 26 gennaio 1887, a Dogali, rimanendo ucciso sul campo. Il Comune di Parma lo volle ricordare nella lapide eretta sotto l’atrio del Palazzo Civico.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 43; Decorati al valore, 1964, 90.

JASONI MARTINO
Corchia 20 febbraio 1901-Parma 26 novembre 1957
Era ancora un bambino, quando i genitori emigrarono (1906) e lo portarono in America. A New York, giovanissimo, cominciò a lavorare e contemporaneamente a frequentare le scuole serali d’arte (all’Art Student’s League di New York, sotto la guida di Jhoan Sloan, Robert Henry e Guy du Bois, e all’Evening High School). Sfogliando gli annali di queste scuole, si ha la sensazione che esse fossero di tutto prestigio: nelle fotografie dei gruppi di studio lo Jasoni compare assieme a Walt Disney e Otto Soglow. Lo Jasoni fece subito vedere una pittura vibrante, pittoresca, piacevolmente scorrevole (prediligendo la tecnica dell’acquerello), intento a cogliere l’ambiente circostante: serate a teatro, pomeriggi in spiaggia, occhiate dentro al bar, giochi al Central Park. Nello studio dei nudi mostra un impianto più solido, a grandi campiture di colore. Muove da un classicismo ottocentesco d’impronta romantica e rivela una buona tecnica nell’uso del colore: sembra dialogare con la tela, ora lasciandone trasparire il biancore, ora facendo affiorare il rosso del fondo. Nel 1925 lo Jasoni tornò, sebbene a malincuore, a Corchia di Berceto per accompagnare i genitori entrambi infermi. Le intenzioni erano di riassaporare presto la felice stagione americana, ma non andò così. Il rapporto con la natura (che per lo Jasoni fu sempre una entità superiore, che può darti o toglierti quasi fatalmente, e in cui l’artista si deve immergere, come fosse un bagno esistenziale e purificatore) rafforzò la sua maniera di fare il paesaggio. Mietitura, del 1926, è un paesaggio che sente l’influsso della tradizione paesaggistica italiana e dei macchiaioli. Nella produzione dello Jasoni è ricorrente l’attenzione a Cézanne: un acquerello del 1929, Paesaggio appenninico (veduta di Berceto), è un omaggio fin troppo chiaro a Cézanne, con il Monte Cavallo che sembra la ben nota Montagne Sainte-Victoire del maestro francese. Attorno al 1930 lo Jasoni accentuò il realismo cézanniano, calcò i contorni, rese più massicci i volumi delle figure, fece ricorso a stilemi di maestri più realisti e drammatici (Goya, Daumier). Parallelamente a una dura vita contadina, lo Jasoni sentì sempre più il bisogno di una diversa realtà, a costo di deformarla, e di maggiore consistenza pittorica, a scapito di un bell’impressionismo. La tavolozza abbonda di chiaroscuro, di colori bruni, di terre, e i toni si fanno cupi. Carro di fieno (1933) è un pezzo tragicamente surreale, dove contadino, buoi e piante sembrano soccombere sotto il peso del carico e la violenza del vento e dove i volumi vengono sbattuti e visti da un turbinio di prospettive. Nel tracciare le figure lo Jasoni ricorse volutamente a una certa grossolanità tridimensionale, a una grafica elementare, a una plasticità artigianale, a una certa fissità dei gesti e dei visi e a una stesura piatta. Si è teorizzato anche per lo Jasoni un recupero dei maestri del Trecento-Quattrocento italiano in una sorta di ritorno alle origini dell’arte italiana, a un ritorno al semplice, al puro, al primitivo e al selvaggio. Non è escluso che alcune soluzioni formali siano state raccolte dallo Jasoni nell’ambiente pittorico di Parma o a livello nazionale. Certamente erano le soluzioni più congeniali a lui, che ormai, di fatto, era in una situazione provinciale di isolamento. È sconcertante vedere che questa scelta ha dei punti di somiglianza con la vicenda di Rosai, che pure aveva avuto contatti di primaria importanza con il Futurismo. Eppure simili prese di posizione sono andate incontro, come nel caso di Rosai, a congiure di silenzio o a stroncature critiche vere e proprie. Nel 1936, in occasione della XX Biennale di Venezia, Ottone Rosai espose La famiglia, una tavolata di omini con lo sfondo della campagna toscana. Alla stessa Biennale fu presente lo Jasoni (probabilmente con una laboriosa scena di contadini evocante la stessa atmosfera). L’opera Fedeli in chiesa più che un momento di liturgia sembra richiamare Il vagone di terza classe di Daumier, una specie di colonna affaticata sorpresa in un momento di quiete. Qui e là lo Jasoni pare concedere qualcosa alla monumentalità e alle geometrizzazioni: talvolta s’intravedono riferimenti a Sironi e Carrà. Pochissimo, invece, venne concesso alla retorica di regime: i soggetti de La farina del duce (1934) e della Battaglia del grano (1936) sono temi cari allo sforzo rurale del regime fascista. Solo una splendida natura morta del 1938 riecheggia qualche bagliore della Scuola romana: una corposità barocca gonfia di colore verde bottiglia. Lo Jasoni non avvertì molto (proprio a causa della sua coerenza interiore d’ispirazione idealistico-romantica) i movimenti culturali che proprio in quegli anni presero vigore: Surrealismo, Metafisica e Futurismo. Nella cerchia degli artisti parmensi, lo Jasoni prese le distanze da quell’accademismo padano che andava per la maggiore ma non colse l’importanza di figure emergenti quali Atanasio Soldati e Carlo Mattioli e soprattutto non sentì l’eco della lezione di Giorgio Morandi. Una drammaticità sottile percorre l’opera pittorica dello Jasoni, si annida tra le geometrie degli interni, rimbalza da un personaggio all’altro nei piccoli drammi della collettività montana. Una tensione quasi futuristica traspare in Pane al forno del 1937, con una luce che crea improvvisi bagliori sui vestiti dei contadini e un forno che è macchina da lavoro. Dal 1940 in poi, fino alla morte, si alternarono momenti di rifiuto a momenti di impossibilità a digpingere per mancanza di materiale o per motivi di salute, periodi di caduta di qualità e periodi ripetitivi, per finire in un naturalismo di ritorno più piacevole e tradizionale. La vita contadina è la metafora della condizione umana e l’atto artistico dello Jasoni altro non è che lo specchio della sua partecipazione a una realtà ormai senza immaginazione Partecipò a mostre nazionali e regionali, tra le quali, oltre alla XX Biennale internazionale di Venezia, la II Quadriennale di Roma. Nel 1936 vinse a Parma un premio per il bianco e nero. Fu anche critico d’arte. Sue opere figurano in raccolte private in America, Inghilterra e Francia.
FONTI E BIBL.: A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1972, 1633; F. Pesci, Per la Val Baganza, 8, 1986, 112-115; Gazzetta di Parma 1 dicembre 1987, 3.

JASONI PELLEGRINO
Corchia-Berceto 8 agosto 1630
Fu Dottore di Decreti. Venne investito della Prepositura di Berceto il 6 ottobre 1603. Nei registri battesimali figura molte volte come padrino, anziché come battezzante. Lasciò un lungo e dettagliato inventario della chiesa di Berceto, in data 22 settembre 1622, con l’elenco di tutti gli arredi sacri e delle reliquie della chiesa stessa, dei possedimenti, censi e livelli della Prevostura. Lo Jasoni chiamò Sant’Abondio titolare della chiesa di Berceto e diede testimonianza dell’esistenza del corpo del Santo sotto l’altare maggiore, come pure di quello di San Moderanno, esistente nell’omonima cappella, e di quello di San Broccardo, custodito nel proprio monumento. Lo Jasoni presiedette l’adunanza del popolo nel piazzale della chiesa di Berceto per compiere solenne e pubblico voto di trasportare processionalmente il simulacro della Beata Vergine delle Grazie e di offrire annualmente al Santuario cento lire imperiali, qualora i Bercetani fossero andati esenti dalla peste micidiale che infieriva in tutta Italia (rogito in data 11 giugno 1630 del notaio Giovanni Caprara). Lo Jasoni perì invece proprio durante quel contagio.
FONTI E BIBL.: G.Schianchi, Berceto e i suoi arcipreti, 1927, 94-95.

JAUFRÉ JACQUES
La Ciotat 1610 c.-Piacenza 8 gennaio 1650
Il padre, notaio, gli fece studiare medicina presso l’Università di Bologna, dove strinse rapporti di amicizia con letterati e scienziati, tra i quali Cesare Marsili. Nel 1632 l’ambasciatore francese a Venezia lo fece entrare alla Corte di Parma , al servizio di casa Farnese. Inizialmente assunto come maestro di francese del duca Odoardo Farnese, in breve il Jaufré, colto e dotato di indubbio fascino, seppe farsi apprezzare dal Duca, di cui era quasi coetaneo, che lo tenne accanto a sé prima come consigliere e favorito, poi come segretario di Stato. Da questa data in poi il Jaufré, lasciati gli studi letterari, si diede completamente all’attività politica e diplomatica, che gli procurò una rapida fortuna. Negli anni che seguirono, fino alla morte di Odoardo Farnese (12 settembre 1646), egli influenzò fortemente la politica del Duca, compiacendo o, secondo i contemporanei (che lo ritennero addirittura una spia del cardinale Richelieu), spingendo Odoardo Farnese all’abbandono della tradizionale alleanza con la Spagna per entrare nell’orbita della Francia. Il Duca, ambizioso e spregiudicato, sperava che l’appoggio francese (come il cardinale Richelieu gli assicurava) avrebbe potuto consentigli la conquista di una posizione di maggiore prestigio nell’ambito degli Stati italiani e un ampliamento territoriale del Ducato a spese dei domini lombardi della Spagna, che in quel momento erano al centro del conflitto europeo. Sicuramente però né il carattere né l’indubbia influenza del Jaufré bastano a spiegare il mutamento di alleanza, che fu condiviso del resto da altri Stati come Modena, Mantova e dal Ducato di Savoja e che va inserito nelle alterne vicende della guerra dei Trent’anni. L’occasione per la rottura con la Spagna fu il rifiuto di accogliere un presidio militare spagnolo nella cittadella di Piacenza e la sua sanzione fu il trattato del 20 aprile 1633, con il quale il Duca si impegnò ad armare un esercito e ad appoggiare le forze francesi in Italia. La reazione fu dapprima il sequestro da parte della Spagna di tutti i beni farnesiani in Abruzzo, poi l’invasione del territorio parmense. Odoardo Farnese, accompagnato dal Jaufré, si recò a Parigi a chiedere aiuti militari ed economici, ottenendo però solo manifestazioni di amicizia e vaghe promesse. Di conseguenza, trovato al suo ritorno il Ducato in condizioni rovinose, con la città di Piacenza stretta d’assedio, il Duca si convinse a riconciliarsi con la Spagna e, grazie alla mediazione del cognato Ferdinando de’ Medici e del papa, riuscì a ottenere condizioni di pace non troppo dure. Nonostante la pace con la Spagna, Odoardo Farnese mantenne con la Francia stretti legami di amicizia e non pensò di allontanare il Jaufré, principale ispiratore della sfortunata politica filofrancese, ma volle anzi ufficializzarne l’ascesa politica e sociale a Corte conferendogli prima il titolo di marchese di Castelguelfo e in seguito il Feudo di Felino con il titolo comitale. A questi importanti riconoscimenti seguì il matrimonio con Vetruria Anguissola di Grazzano, figlia del marchese Galvano: un matrimonio prestigioso che inserì il Jaufré tra le principali famiglie della nobiltà piacentina. Le nozze furono celebrate l’8 marzo 1643 con grandi festeggiamenti alla presenza del Duca e cantate dal poeta ufficiale di Corte, il conte Bernardo Morando, nell’epitalamio Venere la celeste. Le ingenti spese della guerra contro la Spagna avevano costretto Odoardo Farnese a fare ricorso a prestiti pubblici, a Roma noti come Monte Farnese, i cui interessi dovevano essere pagati con le rendite, appaltate ai banchieri romani Siri, del feudo di Castro e Ronciglione, assegnato nel 1536 da papa Paolo III al figlio Pierluigi Farnese e ai suoi discendenti. La rescissione del contratto, suggerita ai Siri dai potenti nipoti di papa Urbano VIII (Barberini), e la necessità di pagare i creditori misero il duca Odoardo Farnese in serie difficoltà, cui egli reagì con arroganza facendo fortificare Castro. Iniziò così il grave contrasto con la Santa Sede che portò, su consiglio del Jaufré, a espellere dal Ducato il vescovo di Piacenza e altri ecclesiastici ritenuti troppo ligi al papa e, dopo la scomunica del Duca il 13 gennaio 1642, alla guerra di Castro. Con la decisione di Urbano VIII di attaccare il Ducato di Parma, la guerra si allargò a Venezia, Toscana e Modena, che si unirono in una lega in aiuto al Farnese. Dopo fasi alterne, in cui il conflitto si trascinò senza risultati di rilievo, il cardinale Mazzarino riuscì a far stipulare la pace tra la Repubblica veneta, il Granducato di Toscana, Modena e il papa e, separatamente, tra il papa e Odoardo Farnese. La pace, conclusa a Venezia il 31 marzo 1644, ripristinò la situazione anteriore e pose provvisoriamente fine al conflitto, i cui costi erano ammontati complessivamente a 12 milioni di scudi. La conclusione della guerra fu celebrata a Parma con grandiose feste che durarono otto giorni, con carri trionfali, balli in maschera, combattimenti in piazza, di cui il Jaufré, che a Venezia aveva brillantemente negoziato la pace per il Duca di Parma, fu protagonista. Due anni dopo, alla morte del duca, salì al trono il giovane figlio Ranuccio Farnese, sotto la reggenza della madre Margherita de’ Medici e dello zio, il cardinale Francesco Maria Farnese. Nel testamento il Duca aveva provveduto largamente al Jaufré con doni e lasciti e lo aveva raccomandato caldamente al figlio come il suo più caro e fidato servitore. Il Jaufré mantenne pertanto la sua posizione di prestigio nel Consiglio ducale e continuò a godere del favore del nuovo duca, anche se fu avversato da Margherita de’ Medici. Nei primi anni del nuovo governo il Jaufré indusse Ranuccio Farnese a seguire una linea di prudente neutralità per non urtarsi con Francia e Spagna, la cui influenza nell’area padana era cruciale. Ma l’aver rinunciato all’appoggio francese si dimostrò negativo per le sorti del feudo di Castro e,  indirettamente, dello stesso Jaufré. Una divergenza con papa Innocenzo X per la nomina a vescovo di Castro del barnabita Cristoforo Giarda, non gradito a Ranuccio Farnese, riaprì le ostilità con lo Stato della Chiesa. Il 18 marzo 1649 il nuovo vescovo fu assassinato mentre si recava a prendere possesso della sua sede: l’odiosità del crimine fu fatta ricadere sul Jaufré, anche se circolava apertamente voce che Ranuccio Farnese avesse ordinato il delitto. La guerra era dunque ormai inevitabile: mentre le truppe pontificie entravano nel territorio di Castro, quelle del duca di Parma si preparavano ad attaccare lo Stato pontificio invadendo il territorio bolognese. Le comandò, per quanto inesperto di strategia militare, il Jaufré, il quale sperava in un successo personale che lo avrebbe rafforzato sul suo più temibile rivale, il lucchese Giuseppe Serafini, favorito della duchessa Margherita de’ Medici e maestro di campo generale. Lo scontro con le armi pontificie, guidate dal generale Mattei, fu però fatale per le forze ducali, che il 13 agosto 1649 a San Pietro in Casale, presso Bologna, furono messe in fuga dopo aver subito gravi perdite. Il comportamento in battaglia del Jaufré fu diversamente giudicato: secondo il contemporaneo V.Siri (molto critico in generale sul Jaufré, considerato un ambizioso che il favore dei suoi padroni aveva illuso di essere un grande letterato, uno statista e un condottiero) restò sempre in retroguardia e, appena vista la mala parata, cercò solo di mettersi in salvo, mentre testimoni oculari diedero giudizi più benevoli. Rientrato a Parma con pochi uomini, il 18 agosto il Jaufré sperava ancora nella benevolenza del Duca, ma la sua posizione era ormai decisamente compromessa: i suoi avversari, tra cui la duchessa madre e Serafini, ma anche esponenti della nobiltà piacentina, cui dava ombra il suo eccessivo potere, avevano convinto il Duca a prendere le distanze dal Jaufré e a far ricadere su di lui la responsabilità della guerra e del suo insuccesso. Anche nei confronti del papa era poi necessario trovare un capro espiatorio cui infliggere una condanna esemplare. A malincuore Ranuccio Farnese consentì a far arrestare il Jaufré per tradurlo nella cittadella di Piacenza, di cui Serafini era castellano. Impossibilitato a giustificarsi direttamente con il Duca, il Jaufré era ormai completamente nelle mani dei suoi avversari. Contro di lui fu istruito un processo il cui esito apparve scontato fin dall’inizio e al termine del quale il Jaufré, ritenuto colpevole di fellonia, di falso e di violata immunità, fu condannato alla confisca dei beni e alla pena capitale. L’esecuzione ebbe luogo l’8 gennaio 1650, davanti a una folla enorme e, per ammissione dei contemporanei, fu affrontata con grande dignità dal Jaufré, che lasciò la giovanissima moglie, da quel momento ritiratasi a vita riservatissima, e due figlie. Al suo posto nel Consiglio ducale fu chiamato il filospagnolo Piergiorgio Lampugnani, che fece suo anche il titolo di conte di Felino. Nell’ambito letterario bolognese, il Jaufré fu ascritto all’Accademia della Notte, presso la quale pronunciò una Apologia pro philautia naturae (Bononiae, 1632). Sempre nel 1632 compose e pubblicò a Bologna una Epistola ad illustriss. et reverendiss. Claudium Fliscum, studio critico sul Ratto d’Elena di Guido Reni (una lettera sul medesimo argomento si trova in Fermi, 1907, pp. 98 s.). Allo stesso periodo risale anche l’amicizia con il letterato e poeta marinista Claudio Achillini, sodalizio testimoniato dalla pubblicazione delle Decas amoenissimarum epistolarum (Parmae, 1635), una raccolta di lettere, corrispondenti per argomento, che i due si erano scambiati. In questi anni, tramite Marsili, il Jaufré entrò in contatto con Galileo Galilei. Il primo accenno allo studente franzese nei carteggi galileiani è contenuto in una lettera indirizzata dallo scienziato pisano a Marsili il 29 novembre 1631. Alla benevolenza manifestata nei suoi confronti il Jaufré rispose prontamente con una lettera a stampa: Galilaeo Galilaeo, Lynceorum duci, philosophorum primo Iacobus Gaufridus salutem (Bononiae, 1631; in Opere di Galileo Galilei, XIV, 313-316), contenente un elogio del nuovo metodo scientifico e un’adesione incondizionata al sistema copernicano, verso il quale il Sant’Uffizio stava già manifestando ostilità (altra lettera del Jaufré a Galilei in data 26 marzo 1632 è in Opere, XIV, 338). Un suo progettato viaggio a Firenze, del quale si parla in una lettera di Marsili a Galilei (16 marzo 1632), non ebbe probabilmente mai luogo: in quello stesso anno infatti il Jaufré fu colpito dalla censura ecclesiastica per la composizione di una Apologia del re cristianissimo e si rifugiò a Venezia. Durante quel breve soggiorno conobbe Giovan Francesco Loredano e frequentò l’Accademia degli Incogniti. È probabilmente a questo periodo che si deve fare risalire il progetto, realizzato però soltanto dopo l’inizio del servizio presso i Farnese, della composizione di un romanzo politico in latino (il Philogenes) che eguagliasse la fama dell’Argenis (1622) di J.Barclay. Risale al primo anno di permanenza presso i Farnese il trattatello in latino, dedicato al fratello Blasio, Spectacula comoediarum ad mores (Placentiae, 1633), rassegna delle maschere della commedia dell’arte. Rimangono inoltre alcuni manoscritti di opere composte anch’esse perlopiù in latino. Del Philogenes, rimasto inedito, non è pervenuto un manoscritto completo. Nel 1907 Fermi individuò diciotto fogli non numerati del terzo libro presso Gaetano Tononi, studioso piacentino. Rimane inoltre piuttosto incerta la datazione dell’opera. Lo scambio epistolare con il letterato B.Morando sembra infatti collocarla intorno al 1635-1637, ma nel sonetto anonimo anteposto ai frammenti individuati (in cui si elogia l’autore per il ritratto del duca Odoardo Farnese contenuto nella dedicatoria al romanzo) il Jaufré è chiamato marchese, titolo acquisito nel 1643: il che lascerebbe supporre una collocazione del romanzo successiva al 1643. Tra gli altri manoscritti indicati dal Fermi, l’interesse del Jaufré per il teatro è confermato dai primi due atti della commedia Della pietà crudele. Rimangono anche alcuni Distici ed epigrammi latini e greci (di argomento religioso, storico o di occasione), alcune Lettere a diversi (in latino) e brevi scritti di vario argomento (osservazioni mediche, elogi ed epigrafi): tutti manoscritti che risultavano nel 1907 in possesso di un privato. In una lettera inviata da J.Chapelain al Jaufré (1° settembre 1636) si parla inoltre di un’opera di filologia alla cui composizione egli attendeva da molto tempo e della quale auspicava la pubblicazione. Infine, tra le amicizie del Jaufré va ricordato il poeta Fulvio Testi, segretario del duca di Modena: tra il settembre del 1642 e il maggio del 1645 i due, a nome dei rispettivi signori, si scambiarono corrispondenza riguardante perlopiù le vicende del Ducato di Castro.
FONTI E BIBL.: Parma, Biblioteca comunale, Ms.Pallastrelli 313: Vita e morte del marchese Gaufrido; V.Siri, Il Mercurio, overo Historia de’ correnti tempi, XIV, Casale, 1682, 163-168, 181-184; G.Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, III, Venezia, 1746, 22 s.; J.Chapelain, Lettres, a cura di P.Tamizey de Larroque, I, Paris, 1880, 115; G.Galilei, Opere (edizione nazionale), XIV, 312-317, 319, 325, 328, 334, 336, 338; F.Testi, Lettere, a cura di M.L.Doglio, III, Bari, 1967, ad indicem; R.Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, VI, Livorno, 1781, 79, 82, 237 s., 240 s., 244; Disgrazia e morte del marchese Giacomo Gaufrido. Frammento di storia inedita da G.Rinalducci esistente nella Magliabechiana di Firenze, a cura di S.Tomani Amiani, Fassa, 1866; L.Grottanelli, Il ducato di Castro. I Farnesi e i Barberini, Firenze, 1891, 51, 133, 137 s., 143 s.; G.Demaria, La guerra di Castro e la spedizione dei Presidi (1639-1649), in Miscellanea di Storia Italiana IV 1898, 250, 252, 254 s.; L.Cerri, Jacopo Gaufrido (episodio di storia piacentina del sec. XVII), in Bollettino Storico Piacentino I 1906, 28-38, 77-87; S.Fermi, Due amicizie letterarie di Giacomo Gaufrido (G.Galilei e C.Achillini), in Bollettino Storico Piacentino II 1907, 97-106; S.Fermi, Romanzieri piacentini della decadenza, in Bollettino Storico Piacentino II 1907, 157-159; F.Picco, Un poetico accenno a Jacopo Gaufrido, in Bollettino Storico Piacentino III 1908, 88 s.; S.Fermi, Di un presunto carme di Iacopo Gaufrido in lode di Odoardo Farnese, in Bollettino Storico Piacentino III 1908, 139 s.; P.Negri, Nuove amicizie letterarie di Jacopo Gaufrido, in Bollettino Storico Piacentino IV 1909, 113-128; G.Drei, I Farnese, grandezza e decadenza di una dinastia italiana, a cura di G.Allegri Tassoni, Roma, 1954, 204 s., 218-224, 234 s., 267; E.Nasalli Rocca, I Farnese, Varese, 1969, 164 s., 171, 187, 189-191; G.Tocci, Il Ducato di Parma e Piacenza, in Storia d’Italia, XVII, I Ducati padani, Trento e Trieste, Torino, 1979, 267, 269, 278-280; A.Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo, a cura di P.Galluzzi, Firenze, 1983, 436; G.Fiori, Politica espansionistica ed ambizioni dinastiche dei Farnese, in Archivi per la Storia 1-2 1988, 227 s.; I.Cotta-L.Spera, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII, 1999, 686-689.

JEAN DA MANTOUE, vedi LEGRENSE JOHANNES

JEAN GABIN, vedi GHISOLFI BRUNO

JEAN LE CHARTREUX, vedi LEGRENSE JOHANNES

JENNI GIOVANNI
Berna 1887-Martorano 1963
In possesso di una vasta cultura commerciale e linguistica, completò le sue conoscenze in una primaria industria di Ginevra, dalla quale passò in una di Modena. Si trasferì a Parma nel 1916 e creò un’azienda di esportazioni di conserve e formaggi e una fabbrica a Martorano. Fu Presidente del gruppo conservieri in seno all’Unione industriali di Parma e vice-presidente della Mostra delle conserve. Durante la guerra mondiale, il Consolato generale di Svizzera a Milano nominò lo Jenni suo delegato per la provincia di Parma: la sua opera risultò di grande utilità nei rapporti familiari e di affari con i residenti nei paesi belligeranti.
FONTI E BIBL.: F. e T. Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 170-171.

JENUSCHI PIETRO, vedi JENUSKY PIETRO

JENUSCHI GIOVANNI
Parma 1878/1892
Lo si trova come contrabbassista al Teatro alla Scala di Milano tra il 1878 e il 1892. Si conoscono due sue composizioni manoscritte per pianoforte: Albertina, polka, e Rigoletta, polkamazurka sopra motivi dell’opera Pipelé (Archivio Storico Comunale di Parma, Fondo Sanvitale).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

JENUSKY PIETRO
Parma 1850/1924
Fabbricatore di istromenti musicali a fiato con officina a gaz con deposito e rappresentanze d’istromenti delle migliori fabbriche, ebbe sede a Parma in borgo Strinato ai nn.50-52. La ditta, fondata nel 1850, negli ultimi anni del Ducato forniva gli strumenti di ottone di sua fabbricazione alla banda della Gendarmeria di Parma ed effettuava anche riparazioni di strumenti a fiato. Nel 1907 la ditta Fratelli Jenusky, che fabbricava strumenti a corda non meglio identificati, aveva sede in borgo Cavallotti 48. La si trova citata fino al 1924.
FONTI E BIBL.: M. Zannoni, Le reali truppe parmensi da Carlo III a Luisa Maria di Borbone. 1849-1859, Parma, Albertelli, 1984, 36.

JOANNES, vedi GIOVANNI

JOANNES CARNARI, vedi CARNARI GIOVANNI

JOANNES DA PARMA, vedi QUAGLIA GIOVANNI

JOBBI GIOVANNI ANTONIO
Parma 13 ottobre 1744-Parma 28 luglio 1805
Sacerdote consorziale, iscritto al Collegio dei Teologi di Parma, insegnò per trentacinque anni teologia presso l’Ateneo Parmense. Morì di apoplessia nel Monastero di San Giovanni. Fu sepolto nella Cattedrale di Parma.
FONTI E BIBL.: G.M.Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, II, 1896, 457-458; Epigrafi della Cattedrale, 1988, 15.

JOBBI NICOLÒ
Parma seconda metà del XVIII secolo
Detto l’Ajutante. Fu pittore e architetto civile e militare, attivo nella seconda metà del XVIII sacolo. Nel 1780 fu meccanico del Collegio dei Nobili di Parma.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica delle belle arti, XI, 1822, 89.

JOFINI, vedi FRAZZI ANTONIO

JONATA ROBERTO
Rovere 1905-Parma 11 luglio 1985
Si iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Università di Parma nell’ottobre del 1924, per laurearsi sei anni  più tardi con lode. Già allievo interno negli istituti di Anatomia umana e di Clinica medica, lo Jonata, vincendo una borsa di studio del ministero dell’Educazione nazionale, operò all’Università di Vienna e successivamente si recò varie volte in Germania, presso l’Università di Amburgo, dove svolse la sua attività in qualità di interno. Nel frattempo, durante i primi anni Trenta, fu assistente volontario e quindi incaricato presso gli istituti di Clinica medica e di Radiologia dell’Ateneo di Parma. Nel 1934, vincendo un pubblico concorso, fu nominato assistente effettivo presso l’istituto di Radiologia e quindi incaricato del servizio radiologico presso il Dispensario provinciale antitubercolare di Parma. Nel 1935 lo Jonata superò a pieni voti gli esami di specializzazione in Radiologia e Terapia fisica presso l’Università di Modena e collaborò intensamente con gli Annali di Radiologia e Fisica Medica e con altre importanti riviste scientifiche. Durante la guerra, partecipò alla campagna di Russia come capitano medico e, al suo ritorno, decise di intraprendere l’attività di libero professionita nello studio del professore Maffeo, subentrandogli alla morte. Lasciò una trentina di pubblicazioni a seguito delle sue numerose ricerche nel campo della fisiopatologia del diabete grasso, della patologia della febbre maltese, della Marconiterapia e della sintomatologia periodica dell’ulcera peptica. Ma sono soprattutto i suoi studi sulla ricerca dell’epoca di comparsa dei centri di ossificazione dello scheletro ad avere caratterizzato la sua intensa attività sperimentale: lo Jonata, anticipando gli studi sullo sviluppo del feto, di fatto operò concretamente in quella branca della Medicina che va sotto il nome di neonatologia. Si ritirò dalla professione nel 1980. Già operato nel 1972, si portò addosso i terribili segni delle radiazioni ricevute in oltre quarant’anni di attività, durante i quali consapevolmente sacrificò la sicurezza personale per il totale interesse dei suoi pazienti.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 luglio 1985, 7.

JORIO GIUSEPPE
Parma prima metà del XVII secolo
Pittore quadraturista attivo nella prima metà del XVII secolo.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, V, 182.

JOTTI RENZA
Parma 12 dicembre 1937-Parma 18 ottobre 1968
Figlia di Camillo e di Domenica Carolina Zinani. Il padre, concertista e insegnante di violino, le diede i primi insegnamenti di canto, poi la affidò al mestro Campogalliani di Mantova. Con accanito studio, la Jotti affinò le proprie doti e la propria sensibilità artistica. Si specializzò nell’operistica del Sei-Settecento e del primo Ottocento, seguendo anche corsi al teatro Comunale di Firenze. Iniziò a cantare nei concerti nel 1956, vincendo nel maggio 1958 il concorso nazionale di canto di Montichiari. Nel 1961 fu scritturata per la Boheme al Teatro Municipale di Modena. I primi successi le arrisero nel 1966 a Firenze e al concorso internazionale Viotti di Vercelli. Poi venne la vera affermazione, nel marzo 1967, all’Opera di Roma con l’Alceste di Gluck, in cui impersonò Ismene al fianco di Leyla Gencer, sotto la regia di Giorgio De Lullo. Da quel momento cominciarono a infittirsi le richieste di sue esibizioni. Un mese dopo cantò a Catania in Sonnambula di Bellini e poi a Palermo nel Conte Ory di Rossini e al Maggio Fiorentino in Elisir d’amore con la Scotto e Bergonzi. Nel novembre 1967 la Jotti colse un successo trionfale al festival di Wexford, in Irlanda, nella parte di Desdemona nell’Otello di Rossini. Terminata la tournèe all’estero, si sposò con Vittorio Achiardi. Morì l’anno seguente, a soli 31 anni d’età.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 20 ottobre 1968, 4.

JOURDAN o JOURDANT GIAMBATTISTA, vedi JOURDANT JEAN BAPTISTE

JOURDANT JEAN BAPTISTE
Parigi o Parma 1762-1833
Fu Generale in capo (1794), Conte (1804) e Maresciallo. Bravo pittore, fu attivo in Parigi.Disegnò per Zani l’Assunta di Finiguerra.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia, I, vol. 1°, 54-55; L. Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 363.

JUNG LODOVICO
Parma 7 settembre 1829-Parma 10 maggio 1906
Figlio di Giovanni e di Giovanna Cornelli. Fu Dissettore Anatomico e Accademico d’Onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma. Divenne poi docente di Anatomia (1862) e Zoologia (1866) nell’Università di Parma. Fu volontario della prima Colonna Parmense nel 1848.
FONTI E BIBL.: C. Carraglia, cenno necrologico, in Gazzetta di Parma 16 maggio 1906, n. 130; F. Dalla Valle, I nostri morti 1906-1907, Parma, Donati, 1907; G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 410; Annali Università Parma 1907, 155-158; F. da Mareto, Bibliografia, 1974, 588.

JUVANIUS GIACOMO MARIA, vedi GIOVANNINI GIACOMO MARIA

 
 
   Portale dedicato alla Storia di Parma e a Parma nella Storia, a cura dell'Istituzione delle Biblioteche di Parma
Privacy
Site by e-Project srl