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Dizionario biografico: Ubaldi-Uttini [ versione stampabile ]

UBALDI-UTTINI

UBALDI ANDREA
Parma 1760/1810
Nell’Etat des imprimeurs du departement du Taro, in data 13 giugno 1810, si legge che, oltre al Bodoni, proprietario della sua stamperia particolare e direttore dell’Imperiale, avevano officina a Parma quattro stampatori. Per primo viene citato l’Ubaldi, onesto commerciante, che con due torchi lavorava dal 1760 circa, pei vescovi di Parma, Borgosandonnino, Carpi, Pontremoli e Guastalla e per l’amministrazione dei demani.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 marzo 1980, 3.

UBALDI ELVIO
Vigatto 28 maggio 1920-Reno di Tizzano 30 ottobre 1944
Appartenente a famiglia di sentimenti antifascisti, subito dopo l’8 settembre 1943 si impegnò nell’organizzazione clandestina della Resistenza. Nella primavera del 1944 salì in montagna e partecipò alla costituzione dei primi nuclei della brigata partigiana Giustizia e libertà. Il 30 ottobre 1944, nel corso di un cruento combattimento con preponderanti forze nazi-fasciste, cadde gloriosamente per quegli ideali di pace, libertà e giustizia che lo avevano spinto a operare contro la tirannide nazi-fascista.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, III, 1990, 280.

UBALDI ENZO
Langhirano 20 giugno 1924-Langhirano 13 marzo 1945
Partigiano. Morì in combattimento.
FONTI E BIBL.: Ufficio Toponomastica del Comune di Langhirano.

UBALDI GIUSEPPE
Parma 25 agosto 1800-Parma 21 agosto 1873
Figlio di Antonio e Rosa Allegri. Occupò diverse cariche pubbliche. Fu Segretario del Comune di Parma per molti anni. Andato in pensione, gli venne affidato il riordinamento dell’Archivio Comunale di Parma (1867), incarico che egli tenne per sei anni, sino alla morte, avvenuta a 72 anni di età.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Archivio Comunale di Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1914.

UBALDI NELLO
Vigatto 20 dicembre 1921-Valditacca 3 luglio 1944
Venne chiamato alle armi nel febbraio 1941, destinato a Ghedi in un reparto dell’Aviazione. L’8 settembre 1943 ritornò a Felino, dove risiedeva. I repubblichini intimarono ai giovani di presentarsi per l’arruolamento. Rifiutandosi di entrare nell’esercito della Repubblica sociale, l’Ubaldi partì verso la montagna per raggiungere le formazioni partigiane. Sia l’Ubaldi che Miodini, inseparabili amici, parteciparono con la 12a Brigata Garibaldi a varie azioni di guerriglia. Durante un rastrellamento caddero  nelle mani nemiche e insieme vennero fucilati dal plotone di esecuzione.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 3 luglio 1994.

UBALDI PAOLO
Parma 30 agosto 1872-Milano 22 luglio 1934
Orfano, fu accolto decenne da Giovanni Bosco. Laureato in lettere e filosofia, studiò il sanscrito e l’ebraico alla scuola di Italo Pizzi. Come grecista, fu uno dei migliori discepoli del Fraccaroli, all’Universitl di Torino. Divenne sacerdote nel 1895. Fu docente dal 1909 di letteratura greca prima a Torino e poi a Catania, di letteratura cristiana greco-latina a Milano dal 1924 (Università Cattolica) e dal 1932 di patrologia nel grande Seminario diocesano di Venegono. Si applicò a due campi ben diversi di lavoro: il classico e il cristiano. Nel primo, lo attirarono i grandi: Omero, Pindaro e soprattutto Eschilo, del quale diede un testo sicuro e una esegesi penetrante. Nel secondo fu in Italia un vero pioniere. Cominciò con il Crisostomo e con Palladio, lasciando due lavori finiti, l’uno come ricostruzione storica, l’altro come valutazione letteraria e linguistica. In seguito studio sulla grecità di San Marco, più tardi sugli Atti dei martiri e gli apologisti del II secolo, ambito nel quale il suo lavoro migliore è quello su Atenagora. Fonds (1912) e diresse il didaskaleion, con il proposito di rivalutare l’antica letteratura cristiana come disciplina autonoma e porre l’Italia nei suoi riguardi al livello delle altre nazioni. All’Ubaldi si deve se nei programmi delle scuole medie fu aggiunta la lettura degli scrittori cristiani antichi e se le tre Università di Torino, di Catania, e di Milano (Cattolica) ebbero la cattedra di letteratura cristiana antica. Nel 1929, alcuni mesi prima che fosse compiuta la conciliazione tra lo Stato e la Chiesa, fu uno dei fondatori del Convivium, che volle e amò come un centro vivo e operoso di studi letterari, storici e filosofici, nei quali alla preparazione assidua e disciplinata fosse congiunta una diretta e aperta comprensione delle esigenze della cultura nuova. A Catania, nel 1947, a iniziativa di allievi affezionati, sorsero il Nuovo Didaskaleion, con un più vasto piano di lavori, e il Centro di studi sul cristianesimo antico. L’Ubaldi fu sepolto a Torino.
FONTI E BIBL.: G. Casati, Scrittori cattolici, 1928, 81; C. Cessi, Commemorazione, in Annali dell’Universitl Cattolica 1934-1935, 41-43; Studi dedicati alla memoria di Paolo Ubaldi, Milano, 1937; C. calcaterra, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1935, 330-334; P. Barale, in Enciclopedia Cattolica, XII 1954, 655-656; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 149; S.Colombo, in Convivium 6 1934, 673-675; E.Rapisarda, in Nuovo Didaskaleion 1947, 8-11; Dizionario Ecclesiastico, III, 1958, 1200.

UBALDO DA MONTICELLI, vedi RIZZI GIOVANNI BATTISTA

UBALDO MARIA DA PARMA, vedi MELGARI GIOVANNI GIACOMO FRANCESCO

UBERTI BERNARDO
Firenze 1060 c.-Parma 4 dicembre 1133
Figlio di Bruno, appartenne a una importante famiglia fiorentina, quella stessa che nella seconda metl del secolo seguente assunse da Ubertus de turre (già morto il 4 luglio 1145) il cognome degli Uberti. Ormai succeduto al padre nel possesso dei beni familiari, l’Uberti compare, per uno di questi possedimenti, nelle confinazioni di alcune donazioni dell’anno 1083 (Archivio di Stato di Firenze, diplomatico, Acq. Strozzi-Uguccioni, febbraio 1082, st.fior.; Badia di Ripoli, 5 maggio 1083). Ma particolare interesse rivestono (mentre consentono, infatti, l’identificazione dei vasti possedimenti di famiglia, segnano anche la data della sua professione monastica) le donazioni dello stesso Uberti compiute il 1I luglio 1085, rispettivamente a favore del monastero di SanSalvi, la punta avanzata dell’Ordine vallombrosano nell’immediato suburbio di Firenze, e di Petrus Russo, che ritorna ripetutamente nei documenti del monastero e che appare qui come esecutore delle varie disposizioni dell’Uberti (Archivio di Stato di Firenze, vallombrosa). Le inattese risoluzioni dell’Uberti, che toccavano gli interessi di una larga consorteria familiare, provocarono vivaci resistenze. E appunto le composizioni, con cui in seguito si appianarono le liti, offrono, con i riferimenti alle precedenti donazioni e l’accenno ad altre elargizioni a favore di congiunti, amici e degli stessi servi per l’occasione affrancati, ulteriori precisazioni sulla consistenza patrimoniale della famiglia e anche la notizia che all’origine di tutto vi fu l’ingresso dell’Uberti a San Salvi causa monachati (si veda il breve finitionis a favore del monastero di Iohannes filius b.m. Gottefredi iudicis, Archivio di Stato di Firenze, Badia di Ripoli, 26 aprile 1089; e la cartula promissionis, Vallombrosa, 27 maggio 1090, di Albizio filius Gerardi Vicedomini e della moglie Comitissa, sorella dell’Uberti, a seguito della concessione in livello, da parte dell’abate di SanSalvi, dei beni contesi). Un esplicito rinvio a questi stessi documenti, ma in un contesto decisamente agiografico, che ricalca del resto da vicino l’analoga sezione della Vita s. Ioannis Gualberti di Attone di Pistoia, Å contenuto nella Vita tertia, l’unica che dedichi una qualche attenzione al momento monastico dell’Uberti. L’indicazione della sua appartenenza alla famiglia degli Uberti, tuttavia, ovviamente assente nelle due Vite più antiche, di poco posteriori alla sua morte e pertanto antecedenti alla fomazione dello stesso cognome, Å suggerita soltanto dal breve compendio della Biblioteca Laurenziana, la Vita secunda dello Schramm, in epoca ormai tarda (primi decenni del secolo XIV), ma anche in un momento in cui l’avvenuta condanna dell’aborrita famiglia ghibellina non poteva incoraggiare certo rivendicazioni in tal senso. Da allora la notizia Å ripresa nelle varie fonti e si introduce anche nella tradizione più recente delle prime Vite, fatta eccezione per le tradizione liturgica. Le rispondenze, che è possibile riscontrare, tra quei possedimenti dell’Uberti che, per sua stessa disposizione, rimasero ai parenti o, dopo le contestazioni, a loro ritornarono per concessione livellaria del monastero, e quelli che furono poi le case, la torre e i beni siburbani degli Uberti, sembrano avvalorare il terdo suggerimento delle fonti. Assai scarse sono le testimonianze per gli anni monastici dell’Uberti e, sotto questo profilo, modesto rimane anche l’apporto delle Vite, limitato alla semplice notizia della sua nomina, prima ad Abate dello stesso monastero di SanSalvi e della sua elevazione, poi, alla suprema direzione dell’Ordine come Abate di Vallombrosa. Grosse lacune dell’archivio di San Salvi non consentono precisazioni cronologiche. L’elezione ad Abate non potè avvenire prima del 7 dicembre 1091, quando era ancora vivente l’abate Domenico. D’altra parte il 30 agosto 1099 l’Uberti è già documentato come Cardinale, dignità che nelle fonti agiografiche è presentata come il coronamento di una lunga operositl a capo della congregazione. Si pus pertanto avanzare l’ipotesi che la sua elezione alla suprema carica dell’Ordine risalga a qualche anno prima e persino che l’Uberti, il primo dopo Rustico le cui funzioni di abbas maior siano documentate, abbia raccolto direttamente l’ereditl del secondo successore di Giovanni Gualberto, alla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1092 o 1093. La frammentarietl della documentazione, ma soprattutto le confusioni ingenerate dalla circostanza che nelle fonti lo stesso titolo di abbas Vallis Umbrosae viene contemporaneamente assegnato tanto al capo della Congregazione, titolare appunto dell’abbazia, ma spesso assente dal lontano monastero appenninico, che all’abate (claustrale), responsabile del governo della comunitl locale, pongono molte incertezze sulla linea di successione a capo dell’Ordine. Prescindendo dal primo successore del Gualberto, per il cui breve governo (12 luglio 1073-12 novembre 1075 o 1076) mancano testimonianze documentarie, ma nel cui ambito cronologico si colloca Erizo, gil nell’aprile 1075 e nel febbraio dell’anno seguente, non rimangono dubbi per il periodo di Rustico (1075/1076 e 1092/1093). Le fonti non consentono tuttavia di stabilire se la successione alla morte di Rustico sia passata a Fiorenzo o all’Uberti, il quale come Abate del centralissmo monastero cittadino di San Salvi (la sede dei primi capitoli generali e anche, come pare, la residenza normale di Rustico) era particolarmente qualificato per quella successione. Di fatto l’Uberti è l’unico nuovamente documentato come capo della Congregazione o abbas maior, in un periodo peraltro più recente (anno 1100), successivo dunque al cardinalato ma anche posteriore all’ultima documentazione per Fiorenzo. k anche da aggiungere che almeno da questa data cessa a Vallombrosa ogni testimonianza per l’abate claustrale, mentre tutto ormai nel monastero fa capo soltanto direttamente all’Uberti, che interviene quindi anche nelle donazioni a favore dell’abbazia. Egli fu coadiuvato da un praepositus o prior, Teoderico, investito (forse dalla promozione dell’Uberti al cardinalato) anche di una specie di vicariato per tutta la Congregazione (si veda, tra l’altro, la donazione di Matilde di Canossa e Guido Guerra del 19 novembre 1103, in Overmann, n. 81). Se rimangono pertanto, almeno per gli inizi, incerti gli estremi cronologici dell’abbaziato generale dell’Uberti, sufficientemente delineate risultano tuttavia le direttrici del suo governo, che si presenta come momento decisivo nella storia vallombrosana. La Congregazione, caratterizzata fin dalle origini da una vivace attivitl extraclaustrale e costantemente animata da posizioni polemicamente estremiste, si trovs poi a disagio quando, nel corso del pontificato di Urbano II, il papato assunse atteggiamenti piØ moderati. Vallombrosa conobbe allora momenti di crisi, di sbandamento e di tensione persino verso la Sede apostolica. Toccs appunto all’abilitl diplomatica dell’Uberti, nuovo Abate generale, avviare la crisi a soluzione, riuscendo gradualmente a superare la difficile situazione e portando la congragazione su nuove forme di vita regolare, ispirata a sentimenti di assoluta fedeltl verso Roma e ancorata a una salda organizzazione, decisamente centralizzata. Appaiono in tal senso illuminanti e segnano insieme la fase culminante di questo processo le disposizioni del capitolo generale presieduto dall’Uberti a San Salvi il 7 marzo 1101 (praticamente, a tutto il primo quarto del secolo XII, l’unico capitolo giunto nella redazione completa: per il testo di questo e per gli stralci sommari degli altri due, precedenti e non datati, v. Archivio di Stato di Firenze, Corporazioni religiose soppresse 260, 261, secolo XIV, Institutiones abbatum sancte Vallimbrosane Congregationis, f. 12, e, per una recensione incompleta dello stesso capitolo, f. 21r.; la circostanza che l’adunanza fosse tenuta a Firenze induce a presupporre l’uso del computo fiorentino e a pensare all’anno 1101 piuttosto che al 1100 solitamente dato, nonostante che l’assenza dell’indizione non consenta verifiche). In una rinnovata proclamata fedeltl agli ideali monastici di fuga dal mondo, tutta la vita religiosa venne ricondotta, come a sua condizione essenziale, alla più stretta dipendenza dell’abbas maior, presentata del resto come ritorno all’osservanza voluta dal fondatore. Le nuove disposizioni furono solennemente sancite dall’Uberti non tanto e solo in quanto abate generale, ma auctoritate sancte Romane ecclesie nella pienezza delle sue funzioni di indignus cardinalis beati Petri apostolorum principis. Probabilmente a quegli stessi anni, di pensoso ripiegamento della Congregazione vallombrosana su se stessa, risale anche la stesura delle consuetudini (si veda, per la datazione, la proposta di K.Hallinger nell’introduzione al Corpus Consuetudinum Monasticarum, I, Roma, 1963, LXXIII). Il rafforzamento monastico della Congregazione fu accompagnato da una ripresa di espansione, dopo la stanchezza degli anni di crisi. Nuove fondazioni sorsero ancora in Toscana e nelle regioni limitrofe, ma la principale direzione dell’espansione fu segnata dall’attivitl dell’Uberti come legato pontificio dell’Alta Italia, con il risultato di un ritrovato felice congiungimento tra la Congregazione toscana e quella longobardia, che tanto vivace apporto di uomini aveva recato all’Ordine di Vallombrosa nei primissimi tempi, ma che nessun monastero vallombrosano aveva accolto fino ad allora. Il primo monastero fondato in terra lombarda fu, nel 1096, San Marco di Piacenza (carta di fondazione in P.M.Campi, Dell’historia ecclesiastica di Piacenza, I, Piacenza, 1651, 524, n. 106). Altre fondazioni lo seguirono ben presto: all’inizio del secolo San Sepolcro di Pavia, filiazione appunto di San Marco, press’a poco contemporaneamente (sostenuto, come pare, dall’appoggio del vescovo riformatore e vicario di papa Urbano II, Arimanno) San Gervasio e Protasio di Brescia (che irraggis all’intorno una larga corona di monasteri: San Sepolcro di Astino, presso Bergamo, 1107, Santissima Trinitl di Verona, 1114, San Barnaba di Gratosoglio, a Milano, San Carpoforo d’Adda, San Filippo e Giacomo d’Asti, San Vigilio in Lugana, sul Garda), all’inizio dell’episcopato parmense dell’Uberti, San Basilide di Cavana, in Diocesi di Parma, e infine i monasteri piemontesi, tra cui San Bartolomeo di Novara e San Benedetto di Muleggio, presso Vercelli. Un ruolo importante in tutta l’intensa maturazione che caratterizza la storia vallombrosana allo scorcio dell’XI secolo fu esercitato da Urbano II, che uno ai richiami e agli interventi severi direttive, protezione e anche incoraggiamenti per l’espansione della Congregazione. Lo stesso papa volle chiamare l’Uberti al cardinalato. Questa nomina, che ristabilo a un livello altamente rappresentativo la collaborazione dell’Ordine vallombrosano all’opera del Papato, riproponendo per taluni aspetti la situazione verificatasi con il cardinalato di Pietro Igneo, offre anche la misura della fiducia goduta dall’Uberti e dell’appoggio da parte del Papa all’evoluzione che nella congregazione toscana si veniva operando sotto la direzione dell’Uberti. Anche per la promozione al cardinalato la documentazione non consente precisazioni cronologiche. Il termina ante quem Å costituito dalla morte di Urbano II (29 luglio 1099), ma quanto prima non si sa. Le fonti documentarie vallombrosane ignorano persino il cardinalato, che viene eccezionalmente ricordato in alcuni documenti signorili per l’abbazia. Nei privilegi pontifici l’Uberti sottoscrive come Cardinale prete del titolo di San Crisogono dal 14 aprile 1100 all’11 ottobre 1106 (Ph. JaffÄ-S.Loewenfeld, Reg. Pontif. Rom., I, Lipsiae, 1885, nn. 5831, 5832, 5879, 5894, 6012, e, per l’ultima sottoscrizione, P. F. Kehr, Papsturkunden in Parma und Piacenza, in Nachrichten von der kÜnigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu GÜttingen, Phil. hist. Klasse, 1900, p. 25, n. 4). Alla dimora romana dell’uberti presso il suo titolo si riferisce anche il miracolo narrato nell’appendice alla Vita s. Ioannis Gualberti di Andrea di Strumi (cap. 95, p. 1104). Con il pontificato di Pasquale II le responsabilitl dell’Uberti dovettero estendersi. Il Papa infatti, che aveva compiuto le sue prime esperienze monastiche in uno dei cenobi dell’appennino tosco-romagnolo, a diretto contatto dunque con le riforme di Camaldoli e Vallombrosa, volle affidare all’Uberti la direzione di una legazione in Alta Italia, negli intenti del Papa destinata alla sanazione delle ferite del lungo scisma e al recupero a Roma di quelle chiese. raccogliendo coso la successione delle funzioni che erano state  di Anselmo II di Lucca e, sotto Urbano II, del cardinale Arimanno, poi vescovo di Brescia, l’Uberti si trovs ad operare per la diffusione degli ideali di riforma in una vasta zona fino ad allora tenacemente resistente. La legazione ebbe inizio nella primavera 1101. Dopo aver preso parte al consueto sinodo quaresimale, risalo lungo il litorale di Roma verso la sede della missione affidatagli: il 7 aprile sosts a Grosseto, dove assistÄ alla dedicazione della chiesa di Santa Maria e a una donazione del vescovo a favore dell’abbazia di San benedetto in Alberese. Alla fine del mese fu nell’ambito dei domini di Matilde di Canossa, a Governolo: die lunae quadam, tra il 7 aprile e il 4 maggio, l’Uberti assistè infatti a una restituzione della Contessa per San Benedetto di Polirone, la cui documentazione venne tuttavia stesa soltanto il 4 maggio, senza ormai la partecipazione dell’Uberti (P.F.Kher, It.Pont, VII, I, 331, n. 11, ma con le precisazioni cronologiche accennate). Finalmente da Polirone, il 14 maggio, venne emesso il primo documento dell’Uberti, per decidere la sottrazione dell’ospedale di Ognissanti a Mantova dalle dipendenze del Monastero cittadino di sant’Andrea e annetterlo invece a San benedetto di Polirone: l’Uberti Å assai severo nei confronti del monastero mantovano e duro nei riguardi dei canonici della Cattedrale omnes simoniaci et excommunicati, Cononi invasori et excommunicato partecipantes (Torelli, 92, n. 126). Le testimonianze rimaste non consentono di seguire l’itinerario dell’Uberti (che il 30 novembre era comunque presente in Curia) se non nell’anno seguente. Nel 1102, infatti, dopo una sosta a vallombrosa durante l’inverno, fu nuovamente a Roma il 4 marzo, partecips al sinodo quaresimale (inaugurato il 12 dello stesso mese e particolarmente impegnato in nuove disposizioni antisimoniache) e da Roma riprese il cammino per l’Italia settentrionale. Compo ancora una sosta alla Corte di Matilde (a suggestioni appunto della Contessa, Landolfo di San Paolo vuole collegare le decisioni dell’Uberti favorevoli alla contestata elezione milanese di Grossolano) e giunse quindi nella metropoli lombarda latore da parte del Papa del pallio arcivescovile. Successivamente, col nuovo arcivescovo, opers nell’ambito dell’archidiocesi ambrosiana (fu appunto con Grossolano a Monza nel luglio) e scendendo poi per Pavia vi riafferms energicamente l’indipendenza del monastero di San Pietro  in Ciel d’oro dai canonici della Cattedrale (18 agosto), interessandosi inoltre della riforma del monastero femminile del Senatore. Passs probabilmente da Brescia, rinnovandovi il privilegio del suo predecessore nel vicariato, Arimanno, a favore della canonica riformata di San Pietro in Oliveto, e giunse nuovamente nei domini di Matilde, ove la sua presenza Å documentata fino all’autunno inoltrato (18 ottobre e 17 novembre). Mancano testimonianze per l’anno seguente. Il documento per Nonantola, datato 18 marzo 1103 (Overmann, n. 78; Kehr, It. Pont., V, 340, n. 20) sulla base dell’imperfetta edizione del Muratori, deve invece essere riportato al 18 ottobre dell’anno precedente. Anche le presenze dell’Uberti a vallombrosa, documentate negli atti privati per l’abbazia e addensate soprattutto nell’anno 1103, indurrebbero a escludere senz’altro per quell’anno una legazione, se le incoerenze cronologiche offerte da tali documenti, pure comuni in questo periodo tra i notai della montagna toscana, non rendessero cauti nella loro datazione. Lungo l’anno 1104 l’attivitl dell’Uberti si estese ancora dalla primavera all’autunno: a Piadena il 1I maggio, a Parma in agosto, nel Modenese in settembre. Infine l’ultimo atto dell’Uberti, ancora aperto da una solenne intitulatio, ma sottoscritto ormai con il semplice riferimento alla dignitl cardinalizia, porta la data del 26 ottobre 1106 e fu emesso a guastalla, in contemporaneitl col concilio, che segna appunto la conclusione della prima fase dell’attivitl legaziale dell’Uberti. Se pertanto la cernita della documentazione operata dal tempo non Å stata troppo casuale, essa offre non tanto il suggerimento di un vicariato permanente, quanto piuttosto l’impressione di successive legazioni, che sembrano abbracciare lo spazio di tempo compreso tra la primavera e l’autunno, con una periodicitl annuale prima (anni 1101 e 1102), ad anni alterni poi (1104 e 1106). Gli intenti perseguiti dall’opera dell’Uberti, per quanto Å possibile intravedere nella frammentarietl delle testimonianze, appaiono singolarmente vicini alle istanze che guidarono l’azione di governo di papa pasquale II. Vi si trova, in particolare, lo stesso rilievo assunto nella Chiesa dalla vita monastica e una concezione di quest’ultima come strettamente autonoma, anche nei confronti della giurisdizione episcopale, l’appoggio conseguente alle forme rafforzate del monachesimo, presenti negli eremi, e anche l’incremento alla vita canonica riformata del clero, che tanti rapporti veniva stabilendo col chiostro. L’altro accostamento, necessario a caratterizzare l’opera dell’Uberti, conduce alla contessa Matilde. La Signora di Canossa, che tanta parte aveva fino ad allora sostenuto per la causa della riforma nella pianura padana, beati Petri singularis filia, secondo la definizione che ritorna negli atti dell’Uberti, non mancs di appoggiare decisamente la sua opera di pacificazione e restaurazione. Donizone presenta la missione dell’Uberti come quella del rappresentante del Papa presso la Contessa, consigliere ecclesiastico di Matilde, che eum quasi papam caute suscepit parens sibi mente fideli (l. II, v. 952, 87). La maggior parte della documentazione Å costituita proprio dai diplomi della Signora di Canossa, emessi coll’intervento dell’Uberti e da lui sottoscritti. Il quadro che offrono Å ancora quello di larghe donazioni e di vigili attenzioni rivolte ai monasteri: Polirone, Nonantola, Sant’Apollonio di Canossa, la canonica regolare di San Michele di Soliera e  l’eremo di Marola. Alcuni interventi tendono a ristabilire il patrimonio eccelesiastico, depauperato dalle necessitl della lotta durante lo scisma. NÄ va dimenticata la rinnovazione della donazione dei beni canossiani alla Santa Sede, compiuta nelle mani dell’Uberti il 17 novembre del 1102. Alla stretta colaborazione stabilitasi tra l’Uberti e l’ancora potente Marchesa di Toscana sono in parte da imputare le diffidenze con cui venne accolta in talune zone l’opera dell’Uberti, assai spesso peraltro piØ largamente motivate da vivaci particolarismi locali, congiunti a persistenti resistenze ai programmi di riforma. Delle perplessitl suscitate in Milano dalla soluzione adottata dall’Uberti per la successione arcivescovile si fece portavoce landolfo di San Paolo, di una piØ violenta opposizione scoppiata a Parma narrano il biografo della Vita prima e ancora il monaco cantore di Matilde. Invitato dallo sparuto gruppo locale dei fautori della riforma, l’Uberti si ports a Parma nell’agosto 1104 e il 15 dello stesso mese, per la festa del patrono della cittl, volle rivolgere nella Cattedrale la sua parola al popolo. Ma il suo discorso, propter regem, provocs una reazione violentissima: i suoi sostenitori furono dispersi, l’Uberti arrestato e rilasciato solo sotto la minaccia delle truppe di Matilde. Ma ormai le resistenze si andavano sfaldando. Indice significativo dell’operato ravvicinamento a Roma appare nel 1106 la scelta, come sede del concilio riformatore di Pasquale II, della cittadina di Guastalla, nelle immediate vicinanze di Parma e al centro di quella pianura padana che era sempre stata la patria della piØ sorda opposizione alla riforma, e la richiesta presentata in quell’occasione al Papa dagli stessi Parmigiani di ottenere come loro vescovo proprio l’Uberti, due anni prima tanto maltrattato. All’inizio del mese di novembre il Papa stesso accompagns a Parma l’Uberti, ne compo di persona la consacrazione episcopale e procedette anche alla dedicazione della grande Cattedrale  costruita da Cadalo. La cittl di Cadalo e Guiberto si trovs pertanto, come residenza episcopale dell’Uberti, pontificio dell’Italia settentrionale, al centro del movimento di riforma. Coll’elevazione all’episcopato l’Uberti abbandons la dignitl cardinalizia e lascis la direzione della congregazione vallombrosana. Conservs invece, almeno per qualche anno ancora, le funzioni di vicario pontificio. Donizone, anzi, il quale pure non ignora le legazioni dell’Uberti, assegna proprio al momento della consacrazione episcopale la sua nomina a vicario di Pasquale II e la collega alle decisioni del concilio di Guastalla che aveva distaccato dall’ancora ribelle metropoli ravennate le diocesi dell’emilia e le aveva  poste sotto al giurisdizione diretta della Santa Sede. La notizia merita attenzione come testimonianza della successione di un vicariato permanente all’antecedente fase delle legazioni. La documentazione relativa all’ulteriore attivitl dell’Uberti come rappresentante di Pasquale II non va oltre il 9 giugno 1109, che Å appunto la data della sua ultima sottoscrizione. Dopo questa data egli sottoscrisse unicamente come Vescovo di Parma (ma la prima menzione documentaria datata Å solo del 1114). Riesce difficile precisare i motivi che portarono alla cessazione del vicariato e che potrebbero collegarsi alla maturazione di nuove direttive di governo del Papa, che si sa del resto non molto propenso a vicariati permanenti. Potrebbero anche essere in rapporto con la situazione creatasi, in seguito agli sviluppi della questione delle investiture, attorno all’anno 1111 e con l’atteggiamento dell’uberti nelle vicende romane di quell’anno. L’uberti, che fu a Roma nel febbraio 1111, prese parte, insieme con Aldo di Piacenza e di Bonseniore di Reggio Emilia, alle trattative dell’Imperatore con i principi e i vescovi tedeschi nella sacrestia di San Pietro dopo la richiesta, fatta dal Papa a Enrico V, di tenere fede alle promesse. La cosiddetta relatio registri, che riflette l’opinione della Curia e segnala appunto questa presenza, vi accenna in un contesto che getta un’ombra di dubbio sui tre vescovi italiani. Donizone, invece, informa dell’arresto dell’Uberti e di Bonseniore insieme con il Papa e i suoi consiglieri, ma aggiunge che i due vescovi vennero poi liberati per l’intervento del vassallo di Matilde, Arduino della Palude, il quale ricords all’Imperatore gli accordi intervenuti con la Contessa. Anche la Vita tertia, l’unica delle fonti agiografiche che contenga la notizia della presenza romana dell’Uberti, la offre in una di quelle aggiunte, caratteristiche della fonte, che contribuiscono a rendere il tono della perfetta osservanza romana dell’Uberti, ma che si risolve qui in un esito unicamente agiografico, non privo di un certo imbarazzo: l’Uberti sfugge alle nefande mani del Re perchÄ avvertito in sogno dal Signore di tornare al suo popolo. Troppo esile Å, infine, il frammento con cui termina l’appendice dei miracoli nella Vita s. Ioannis Gualberti  di Andrea di Strumi (cap. 96, 1104: De eodem domno Bernardo qui epistolam transmisit regi, inqua testimonium inseruit, quod postea retractans) per tentarne delle conclusioni, anche se suggestivo appare il riavvicinamento proprio agli avvenimenti romani e trasparenti gli indizi di una qualche incertezza politica dell’Uberti. Se un accostamento Å comunque possibile tra fonti tanto lontane e coso diversamente impegnate, se ne pus forse derivare il suggerimento di un tentativo di mediazione, che poteva essere collegata colla posizione assunta dalla Contessa di Canossa di fronte agli eventi. Non si pus infatti dimenticare che l’Uberti rimaneva consigliere ascoltato di Matilde e non rilevare l’uniformitl di comportamento dei tre vescovi emiliani, due dei quali almeno vicinissimi a Matilde. Il tentativo tuttavia dovette dispiacere, almeno dopo l’epilogo disastroso della vicenda, alla Curia e l’atteggiamento dei vescovi, lungo il corso delle trattative, fino con non piacere neanche a Enrico. Una conferma sulle posizioni ancora gregoriane dell’Uberti, alieno peraltro da irrigidimenti ed estremismi, viene offerta dalla lettera inviata da Bruno di Segni, qualche mese dopo i fatti romani, al preposito del priorato cassinese di San Giorgio a Lucca: in essa si accenna a una richiesta avanzata dal vescovo di Lucca Rangerio e dallo stesso Uberti, insieme con l’abate di Vallombrosa e il priore di Camaldoli, per ottenere schiarimenti sull’atteggiamento assunto da Bruno a proposito della haeresis quae dicitur de investitura. I termini elogiativi con cui Bruno si riferisce ai due vescovi e le notizie dell’interessamento da parte loro per la corrispondenza del vescovo di Segni inducono a escludere per l’Uberti cedimenti dalle posizioni gregoriane, anche se appare evidente proprio nella richiesta di spiegazioni e soprattutto nella preoccupazione di sapere se il comportamento di Bruno godeva dell’approvazione del Papa che l’Uberti non condivise la posizione intransigente del vescovo di Segni, che tanta fortuna ottenne invece nella reazione seguita alle vicende di quell’anno. Fedele seguace in fondo di Pasquale II anche in questo, l’Uberti non giunse a una rottura con Enrico V. Lo dimostra non tanto il privilegio concesso dall’Imperatore al Capitolo di Parma il 16 maggio 1111, in cui non si nomina l’Uberti e che fu certo motivato dall’intento dell’Imperatore di conservare aderenze in un ambiente sempre coso favorevole, quanto la presenza dell’Uberti alla Corte Imperiale di Governolo il 29 maggio 1116. Sono scarsissime le testimonianze relative all’attivitl dell’Uberti nella sua Diocesi, dove la restaurazione religiosa dovette incontrare grandi difficoltl. Il biografo della Vita prima delinea ormai in chiave comunale un ritratto dell’Uberti come difensor civitatis nelle continue lotte che opposero Parma alle vicine cittl. Ma il fervore della ripresa spirituale Å rivelato dal moltiplicarsi di nuove fondazioni religiose: l’abbazia vallombrosana di Cavana, un monastero di monache a San Quintino in cittl e verso la fine dell’episcopato la canonica regolare di Romolano, dipendente da Santa Maria del Reno. Anche i canonici della Cattedrale ritornarono alla vita comune. La restaurazione monastica rimase, del resto, al centro delle cure dell’Uberti, che continus a vivere e vestire da monaco, conducendo vita comune con i religiosi che fin dagli inizi volle con sÄ a Parma. Nonostante la rinuncia alla dignitl abbaziale, che data dalla consacrazione episcopale, rimase affettuosamente legato ai suoi vallombrosani e conservs l’alta direzione della Congregazione: per certi atti importanti fu richiesto, con quello dell’abate generale, anche il suo consenso (Lucca, Archivio arcivescovile, ++M 92, 12 dicembre 1122, st.p.), partecips ancora ai capitoli generali, da lui presieduti, e nel 1124 ottenne alla Congregazione un privilegio di protezione imperiale (per la datazione, cfr. Meyer von Knonau, VI, 279). Gli ultimi anni, a cominciare dal pontificato di Callisto II, furono nuovamente impegnati in responsabilitl che superarono l’ambito della Diocesi con episodi a torto configurati dall’amplificazione agiografica ancora all’interno di un presupposto vicariato esteso a tutta la vita dell’Uberti. k anzi solo frutto di un fraintendimento dell’Ughelli la notizia di una legazione a Genova nel 1122 (F.Ughelli-N.Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis, 1719, col. 857), mentre a un nuovo incarico di fiducia da parte del Papa riconduce effettivamente la menzione del privilegio di Callisto II per Praglia, del 1I maggio 1122 (Kehr, It. pont., VII, I, 191, n. 1), nel quale la decisione del Papa di accogliere sotto la protezione apostolica il monastero padovano fu motivata con un rapporto dell’Uberti. Due anni dopo lo stesso Pontefice pose il monastero, allora sottratto alla giurisdizione episcopale, sotto la dipendenza di Polirone, il grande centro cluniacense verso cui si erano gil rivolte le attenzione di Matilde e dell’Uberti. Infine unicamente alle fonti agiografiche, le due Vite, si deve la notizia di una missione dell’Uberti a Milano coll’incarico di persuadere quell’arcivescovo ad abbandonare Corrado di Hohenstaufen (per qunto si riferisce all’episodio l’edizione della Vita prima, c. 7, 1319, deve essere emendata col ricorso alle lezioni dell’altro codice, perduto, ma ripreso nell’editio princeps, Parma, 1609, e accolte dallo Schramm nell’apparato). Il passo costs un nuovo arresto all’Uberti, risolto ancora una volta coll’intervento di Arduino della Palude, senza che tuttavia per lungo tempo gli fosse consentito il ritorno nella sua cittl episcopale. Nello scisma del 1130 l’uberti prese subito posizione a favore di papa Innocenzo II, procurando coso al candidato delle correnti riformatrici l’appoggio della sua Congregazione, a cui si affiancarono anche i camaldolesi. Nella sua lettera ad Aquitanos Bernardo di Chiaravalle ricorda appunto l’Uberti tra i sei vescovi italiani al cui prestigio e alla cui santitl egli si appella per la scelta che propone alla cristianitl (epistola  126, in Migne, Patr. Lat., CLXIII, col. 277). Gil ammalato, l’Uberti volle accogliere Lotario a Verona e seguirlo nel suo viaggio verso Roma. Nell’Encyclica de Anacleto antipapa damnato il nome dell’Uberti apre la serie dei vescovi italiani presenti a Roma attorno all’Imperatore. Rientrato a Parma, vi moro pochi mesi dopo. Alla vigilia del sesto anniversario della morte, il 3 dicembre 1139, il suo successore, il vescovo Lanfranco, procedette alla sua canonizzazione, compiendo (secondo la prassi) la solenne elevatio delle reliquie. Il culto, oltre che a Parma, Firenze e alcune altre cittl dell’Italia settentrionale, in cui l’attivitl dell’Uberti lascis piØ lunghi ricordi, ebbe particolare sviluppo nella Congregazione vallombrosana, dove (nell’iconografia e nella liturgia) l’Uberti fu affiancato a Giovanni Gualberto, quasi secondo fondatore. Il suo corpo Å conservato nella cripta della Cattedrale di Parma. Una ricognizione (1952) consento il rinvenimento dell’originaria cassa e la lettura di un’iscrizione che documenta l’elevatio del 1139. La sua festa Å celebrata il 4 dicembre.
FONTI E BIBL.: Di provenienza parmense e dovuta a un contemporaneo, ma in una prospettiva limitata appunto al momento parmense dell’Uberti, la Vita prima, a cura di P.E.Schramm, in Monum. Germ. Hist., Scroptores, XXX, 2, Lipsiae, 1934, 1316-1323. Una seconda Vita, segnalata dallo Schramm come Vita tertia, ma non edita nei Monum. Germ. Hist., attende una edizione critica: di origine vallombrosana e appartenente sempre al XII secolo, questo testo ottenne larga diffusione e dispone pertanto di una sufficientemente ampia tradizione manoscritta. Dopo una prima edizione nel 1602 a opera di A.Ciprario (Vita S.Bernardi Parmensis Episcopi S.R.E.S. Chrysogoni Cardinalis, Ordinis S.Benedicti, Religionis Vallisumbrosae, Romae, apud Guglielmum Facciottum, 1602), che Å in realtl una smaccata falsificazione e interpolazione del testo originale, fatta alla luce delle tesi storiografiche care ai vallombrosani del tempo, ebbe poi una ulteriore edizione nel 1612, a cura di T.Veli, egualmente sfortunata a motivo di un’appendice tratta da fonti documentarie. La piØ recente edizione di L.Barbieri, Chronica Parmensia a s. XI ad exitum s. XIV, in Monumenta historica ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, Parmae, 1858, 497-511, Å stata condotta sulla base di un solo codice del secolo XVI. Per i relativi problemi, v. B.De Gaiffier, in Analecta Bollandiana XLVIII 1930, 414, in una recensione al XXX volume degli Scriptores nei Monum. Germ. Hist. L’attribuzione ad Attone di Pistoia (morto nel 1153), che non compare prima del secolo XVI, non offre possibilitl di riscontro, anche se questa Vita presenta affinitl stilistiche e analogie nella tecnica agiografica (generiche peraltro) con la Vita s. Ioannis Gualberti, sicura opera del vescovo di Pistoia, e con una Legenda s. Barnabae, la cui paternitl attoniana Å rivelata dal codice Ambrosiano D. 22 inf. (cfr. Analecta Bollandiana XI 1892, 288, ove Å pubblicata da A.Ceriani l’Epistola s. Attonis Pistoriensis episcopi De Vita s. Barnabae). In Monum. Germ. Hist., Scriptores (XXX, 2, 1323-1327) Å invece edita, sempre a cura di P.E. Schramm e come Vita secunda, una breve Vita presentata solo dal codice Laurenziano XX, 6, del secolo XIV, gil segnalato dal Davidsohn. I due studiosi la ritengono molto antica, antecendente comunque alla Vita tertia e meritevole pertanto di una edizione nei Monumenta. Si tratta invece di una tarda compilazione, sicuramente databile attorno al terzo-quarto decennio del secolo XIV, opera di un anonimo vallombrosano: l’autore della Vita s. Humilitatis (in Bibliotheca hagiogr. latina, n. 4045) e delle altre Vite di santi fiorentini nella stessa raccolta del codice Laurenziano a cui appartiene la Vita s. Bernardi. Egli si distingue oltre che per uno stile assai personale, per la disinvolta facilitl con cui traduce in uno svelto racconto le sue fonti, nel caso specifico, esclusivamente la Vita tertia. Scarso rimane dunque il suo interesse, limitato tutt’al piØ alla storia della fortuna dell’opera. Sotto questo profilo si possono ancora ricordare il Tractatus de dictamine del cod. 2507 della Oesterreichische nationalbibliothek di Vienna, ff. 7v-85r, ove per diverse esemplificazioni si ricorre a lettere di e all’Uberti (cfr. ancora W. Wattenbach, Iter Austriacum, in Archiv f¤r Kunde Oesterreichischer Geschichtsquellen XIV 1855, 39 ss., con edizione di alcune formulae, ma non quelle relative all’Uberti) e un Libellus miraculorum, peraltro mutilo, presentato da alcuni codici della Vita tertia: per uno di questi, cfr. L. Mencaraglia, Note agiografiche ed umanistiche da un manoscritto fiorentino del 1509, in La Bibliofilia XLII 1940, 180-195. Per le altre fonti: Gesta Trevirorum, in Mon. Germ. Hist. Scriptores, VII, Hannoverae, 1846, 199; Laurentii Leodiensis, Gesta episcoporum Virdunensium, a cura di G.Pertz, in Mon. Germ. Hist. X, Hannoverae, 1852, 500; Brunonis, Epistolae, a cura di A. Sackur, in Mon. Germ. Hist.; Libelli de lite, II, Hannoverae, 1892, 565; Relatio Registri Paschalis II, a cura di L.Weiland, in Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, Constit. et acta, I, Hannoverae, 1893, 148; Encyclica de Anacleto antipapa damnato, in Mon. Germ. Hist., Hannoverae, 1893, 166 s.; A.Overmann, GrRfin Mathilde von Tuscien, ihre Besitzungen, Gesch. ihres Gutes 1115-1230, und ihre Regesten, Innsbruck, 1895, 168, 170, 171, 173, 174, 177, 178, 181, 183, 187; Le carte dell’Archivio capitolare di Tortona, I, a cura di F.Gabotto e V.LegÄ, in Biblioteca della societl storica subalpina, XXIX, Pinerolo, 1905; 16, n. 9; P.F.Kehr, Italia pontificia, III, Berolini, 1908, 124, 255, 260, V, 1911, 181, 210, 211, 323, 340,  391, 394, 397, VI, 1, 1913, 141, 144, 186, 196,  218, 319, VI, 2, 1914, 377, VII, 1, 1923, 191, 309, 310, 312, 315, 331, 332, 334, F. Schneider, Toscanisce Studien, II, in Quellen und Forschungeng aus Italien. Archiven und Bibliotheken IX 1908, 256-258; M.Lupo Gentile, Il regesto del codice Pelavicino, in Atti della Societl Ligure di Storia Patria XLIV 1912, 585, 593; P.Torelli, Regesto mantovano, I, in Regesta chartharum Italiae, XII, Roma, 1914, 120; Andrea Strumensis, Vita s. Ioannis Gualberti, a cura di F.Baethgen, in Monum. Germ. Hist., Scriptores, XXX, 2, Lipsiae, 1934, 1104; Landulphi iunioris sive de Sancto Paulo, Historia Mediolanensis, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 edizione, V, 3, a cura di C.Castiglioni, Bologna, 1934, 7; Vita Mathildis celeberrimae principis Italiae scripta a Donizone presbytero, in Rerum Italicarum Scriptores, V, 2, a cura di L.Simeoni, Bologna, 1931-1940, ad Indicem. Tra le biografie si ricorda soltanto: I.Affs, Vita di san Bernardo degli Uberti, Parma, 1788, ancora utile per l’appendice documentaria; M.Ercolani, San Bernardo degli Uberti vallombrosano, vescovo di Parma, in Rivista Storica Benedettine II 1907, 31-64; N.Pelicelli, Vita di san Bernardo degli Uberti, Parma, 1923. E inoltre: R.Davidsohn, Forschungen zur Rlteren Geschichte von Florenz, Berlin, 1896, 66-68; G.Meyer von Knonau, Jahrb¤cher des deutschen Reiches unter Heinrich IV und Heinrich V, V, Leipzig, 1904, 171-173, VI,  1907, 33-35; G.Schwartz, Die Besetzung der Bist¤mer Reichsitaliens, Leipzig-Berlin, 1913, 187 s.; G.Mercati, Parmensia, II, La lettera di sottomissione d’un arciprete di Parma a Pasquale II, in Opere minori, II, Cittl del Vaticano, 1937, 353-356; Martyrologium Romanum, in Propylaeum ad Acta sanctorum decembris, Bruxellis, 1940, 566; E.Hoff, Pavia und seine BischÜfe im Mittelalter, I, Pavia, 1942, 203, 372 s.; P.F.Palumbo, Lo scisma del MCXXX, Roma, 1942, 419, 441, 468, 489, 504; L.Simeoni, Il contributo della contessa Matilde al papato nella lotta per le investiture, in Studi Gregoriani I 1947, 353-372; P.Guerrini, Un cardinale gregoriano a Brescia, il vescovo Arimanno, Studi Gregoriani II  1948, 367, 370, 382; A.Mercati, Marola, fondazione della contessa Matilde, in Saggi di storia e letteratura, I, Roma 1951, 137-143; G.L.Barni, Dagli albori del comune all’incoronazione di Federico Barbarossa, in Storia di Milano, III, Milano, 1954, 258 s., 294, 355 s.; A.Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma, 1954, 4-6; R.Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze, 1956, 428-432, 545 s., 602 s., 611, 613, 1057; H.W.Klewitz, Die Entstehung des Kardinalkolleg, Darmstadt, 1957, 72, 122; G.Miccoli, Pietro Igneo. 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UBERTO
ante 951-Parma dicembre 980
Dal 951 al 980 occupò la carica di Cancelliere di Berengario e di re Adalberto, poi di arcicancelliere dello stesso Adalberto e, dopo essere stato eletto Vescovo di Parma, di Arcicancelliere dell’Impero e d’Italia sotto Ottone il Grande e sotto Ottone II. La prima volta Hubertus cancellarius compare quando Berengario e re Adalberto confermarono da Pavia il 17 gennaio 951 al monastero di San Sisto in Piacenza le corti di Guastalla, Campo Miliacio, Cortenova, Sesto, Luzzara, Villola e Pegognaga con ogni dipendenza e il monastero di Cotrebbia. Da Pavia, come capo effettivo della cancelleria, sottoscrisse diversi diplomi, riconfermando possessi e diritti, il 23 gennaio e il 22 settembre e da San Marino il 26 settembre dello stesso anno. Dopo alcuni anni lasciò la carica di Cancelliere ma riappare come tale in diplomi di Berengario e di Adalberto sottoscritti in Verona il 13 gennaio 958, in Pavia il 18 luglio dello stesso anno e il 25 ottobre 958 o 959. Berengario e Adalberto, da Ravenna, il 24 aprile 960 donarono al loro fedele Guido alcune corti in Toscana addivenendo alle preghiere del conte Amizo e di Huberti episcopi nostrisque dilecti fidelis, che sottoscrisse il diploma come cancelliere. Uberto, dunque, già eletto Vescovo della Chiesa parmense, tuttavia continus a coprire l’alto ufficio di Cancelliere. Come Vescovo e Arcicancelliere di re Adalberto, compare ancora in un diploma da Arezzo del 28 febbraio 961, con la sottoscrizione ad vicem Huberti episcopi et archicancellarii, e come Cancelliere di Berengario e di re Adalberto in un diploma da Verona del 30 maggio 961. Dopo che Berengario mosse guerra ad Adalberto Attone presso Canossa, i signori italiani, ormai stanchi dei continui conflitti, chiamarono l’Imperatore alla Dieta convocata in Milano e nell’ottobre 961 vennero deposti Berengario e Adalberto. Ottone I, eletto re d’Italia nel novembre, si portò poco dopo a Roma, ove il 2 febbraio 962 fu incoronato imperatore da papa Giovanni XII. Il 13 febbraio confermò solennemente alla Santa Sede tutti i possessi concessi da Pipino, Carlo Magno e da altri. Il patto ottoniano col Pontefice fu firmato da Uberto, che si trovava a Roma: Signum Hucberti Parmanensis ecclesie episcopi. Il privilegio è ritenuto originale dal Baronio, dubbio invece dal Muratori. Nonostante la risoluzione presa dal re Ugo al fine di assicurare Uberto e la sua Chiesa da ogni prepotenza, tuttavia i conti del contado continuarono a molestarlo. Uberto non tardò a esporre i bisogni della sua Chiesa al nuovo imperatore, pregandolo di provvedere perchè in avvenire non fosse più minacciata da alcuno. L’Imperatore, da Lucca, il 13 marzo 962 concesse a Uberto presulis nostri karissimi fidelis le più ampie immunitl. L’Imperatore cedette a Uberto ogni diritto e il pieno dominio della cittl, le mura, il teloneo, il distretto e ogni pubblica funzione regia tanto sulla cittl che fuori per un raggio di tre miglia determinato dalle ville e castelli seguenti: a oriente di Beneceto, Casello e Coloreto, a mezzodo di Porporano, Alberi e Vigheffio, a sera di Vicofertile, Fraore ed Eia, a nord di Baganzola, Casale Pancarano e Terabiano, con tutte le loro adiacenze e pertinenze. Cedette inoltre le vie regie, il corso delle acque, il territorio adiacente e ciò che apparteneva alla pubblica cosa. Ordinò poi che gli uomini della città o abitanti entro i confini sopraindicati fossero chiamati in giudizio dal solo Uberto per ragioni di eredità o di lite, il quale avrebbe giudicato tamquam noster comes palatii. Il solo Uberto avrebbe potuto decidere, definire e deliberare intorno alle cose e alle famiglie, tanto dei chierici che di tutti gli uomini residenti nella terra dello stesso Vescovado, mentre nessun marchese, conte e visconte avrebbe potuto esercitare qualsiasi pubblica funzione. Concesse a Uberto la potestà di eleggere e ordinare i notai, i quali, dovendo discutere le cause dello stesso vescovado, avrebbero ricevuto i testamenti senza alcuna proibizione o controversia del conte del contado. Se non si fosse potuto giudicare senza contrasto, concedimus ejusdem episcopi vicedomino ut sit noster missus, avendo la potestl di deliberare, definire e giudicare tamquam noster comes palatii. Uberto si trovò presente a Pavia a un placito del 27 settembre 962 dato dal marchese Oberto, conte di palazzo. Si sottoscrisse Hubertus Ep. interfui. Uberto fu tenuto in grande estimazione da Ottone I, che a San Leo il 10 maggio 963 concesse un privilegio ai canonici di Arezzo consultu et interventu venerabilis episcopi Huberti fidelis nostri. Uberto fu a Roma con l’Imperatore nell’autunno del 963. Si trovò presente al sinodo romano del 4 dicembre convocato per deporre il papa Giovanni XII (Liutprando, Storia di Ottone I). Secondo Raterio, vescovo di Verona, in quel congresso Uberto fu reputato degno di governare la Chiesa di Dio. L’Imperatore lo delegò suo messo a giudicare in Toscana con il marchese Oberto, conte di palazzo. A Lucca il 9 agosto 964 Uberto, quale missus domni Imperatoris, fu presente al giudizio presieduto dal marchese Oberto, che riconobbe i diritti della Chiesa di Reggio. Il 24 dicembre si trovò di nuovo a Roma e fu presente quando Ottone confermò la donazione fatta ad Adelaide, badessa del Monastero di Santa Maria Maggiore presso l’antico palazzo imperiale, da Fazio, suo nipote. Uberto dovette certamente essere assai dotto e stimato, se meritò l’amicizia di Raterio, vescovo di Verona, il quale non solo gli dedicò il suo trattato (De contemptu Canonum, scritto nel 964) ma volle anche donare alla Chiesa parmense certi terreni che possedeva nel contado. Ottone elevò Uberto alle più alte cariche: lo nominò suo Arcicancelliere del Regno d’Italia (2 dicembre 966-28 marzo 973) e lo elesse anche Arcicancelliere dell’Impero, nella quale altissima carica rimase dell’8 luglio 967 al 29 giugno 968. Come capo delle due cancellerie dovette accompagnare ovunque la Corte e trattare delle cose pubbliche italiche e germaniche. Dopo un anno o poco meno dalla sua elezione, si determinò a rinunciare al cancellierato germanico. Il 2 dicembre 966, in Pisa, Ottone I concesse, precibus Huberti episcopi dilecto, fidelique nostro, le più ampie immunità a Pietro, vescovo di Volterra. E' in questo diploma che Uberto compare la prima volta con la qualifica di Arcicancelliere: ad vicem Uberti archicancellarii. A Monte Veltraio il 12 giugno 967 Uberto intervenne come missus nel giudizio presieduto dal marchese Oberto, conte di palazzo, per una lite tra il monastero di Santa Fiora e Sant’Andrea e i Valcheri. Da Ravenna, Ottone nel 968, su richiesta di Uberto, concesse il permesso di istituire il mercato alla insula Pergamensis nel luogo detto di San Sisinio, nel giorno della festa, e di edificare in una certa altra localitl un porto per la sicurezza delle barche veneziane, chioggiote e ferraresi. Dovendo Ottone passare in Calabria, lo accompagns durante il viaggio a Fermo il 2 novembre assistette, presente l’Imperatore, alla sentenza su di una controversia tra l’abate del monastero di Santa Croce e il vescovo della stessa cittl. Se Ottone I il 23 dicembre dello stesso anno privilegis con suo diploma il monastero detto Casa aurea, confermandone i beni che gil possedeva, ciò si dovette interventuque nostri dilectissimi fidelis Huberti scilicet Parmensis ecclesie presulis. L’Imperatore il 18 aprile 969, alle istanze di Uberto, concesse al nobile Ingone e ai suoi figli Uberto, Ribaldo e Oberto parecchie proprietl in diversi contadi d’Italia (in quello di Parma, le corti di Tortiano, di Stadirano e di Vicofertile). Da Bovino il 1I maggio (a lui era ricorso Uberto, nostram adiisse clementiam) l’Imperatore confermò al monastero della Santissima Trinitl e all’abate Adamo, nel luogo detto l’Isola di Pescara o Casa Aurea, i beni e i possessi. Il 20 maggio, presso Conca in Romagna, sempre per l’intervento di Uberto, l’Imperatore riconfermò alla Chiesa di Asti tutti i diritti e i possessi gil conferiti per il passato dai re e imperatori suoi antecessori. Ancora su preghiera di Uberto e Diederico, vescovo metensis, Ottone  il 22 aprile 972, da Roma, concesse ad Azo, abate del cenobio di Santa Sofia di Benevento, la conferma dei beni dei quali era in possesso. Ottone il Grande morì il 7 maggio 973 e al governo dell’impero restò il figlio Ottone II. Di Ottone II Uberto fu Arcicancelliere dell’Impero dal 25 ottobre 967 sino al 16 febbraio 968 e Arcicancelliere del Regno d’Italia dal 6 ottobre 968 sino al 12 febbraio 980. Probabilmente Uberto rinunciò alla carica effettiva di Cancelliere d’Italia perchè, già avanti negli anni, non gli era più possibile seguire l’Imperatore ogniqualvolta scendeva in Italia. Invece la carica onorifica di Arcicancelliere gli consentì di rimanere presso l’Imperatore come consigliere: summus consiliarius. Alla morte di Guido, vescovo di Modena e abate di Nonantola, i monaci elessero loro Abate Uberto e Ottone ne confermò l’elezione nel febbraio 970: Hubertus per dei misericordiam Sancte parmensis Ecclesie episcopus, seu aba monasterii sancti Silvestri sito Nonantula qui per electionem Monachorum ipsius Monasterii et jussionem dominorum Imperatorum aba existit. Quando a Marzaglia, Onesto, arcivescovo di Ravenna, convocò un sinodo a cui intervennero i vescovi suffraganei, duchi, conti, giudici e gastaldi, Adalberto, vescovo di Bologna, querelò Uberto perchè teneva in suo possesso certe terre che egli sostenne spettavano invece alla Chiesa bolognese. Uberto dimostrò il legittimo e pacifico possesso trasferito lui dagli antecessori. l’arcivescovo allora pregò Uberto di cederle alla Chiesa bolognese senza placito, accontentandosi di ricevere in cambio la pieve di moteveglio con poche vigne: Uberto accondiscese. Si dolsero in tale occasione di Uberto anche Pietro e Lamberto, bolognesi e nipoti di Pietro duca e marchese, a causa di alcuni luoghi che Uberto occupava in Bologna e nel distretto. Inizialmente Uberto dichiarò di averli avuti con privilegio da Ottone I, ma successivamente restituì i luoghi occupati. Viveva ancora nell’anno 980, perchè nella conferma che Ottone II fa dei beni e possessi alla Chiesa di Reggio (14 ottobre) si legge nella sottoscrizione: ad vicem Uberti episcopi et archicancellarii. ’Uberto moro nel dicembre di quell’anno, come è indicato nell’iscrizione incisa sull’urna che ne raccolse la salma insieme a quella di Ugo, che fu pure vescovo di Parma. l’iscrizione si legge in fine all’antichissimo codice che contiene i canoni della Chiesa parmense raccolti da Burcardo: Vita brevis, fortuna levis, variabile tempus, Mundus et hic fugiens, transit et omnis homo. Ad proprios ortus fato rapiente relabens Praesul et Ubertus, Praesul et Ugo valens. Quorum consiliis regnum Latiale vigebat, Et decus et robur, et status imperii. Praesul uterque quidem, Praesul Parmensis et idem, Tullius eloquio, Manlius ingenio. More modoque pari, parili propagine clari, Inque polo pariter hi latitant pariter. Septembris nonis obit Ugo, December Ubertus, Pastorem summus pastor uterque sequens.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 93-99; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237.

UBERTO
Parma 1073/1095
Figlio di Arduino. Fu Conte di Parma (1073-1095).
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 920.

UBERTO
Parma 1105
Fu Conte di Parma nell’anno 1105.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 920.

UCCELLI CAMILLO
Parma 15 novembre 1874-1942
Diplomato appena ventenne all’Istituto di Belle Arti di Parma (fu allievo di Edoardo Collamarini), formò la sua cultura collegandosi ai presupposti del movimento romantico e fece la sua scelta stilistica orientandosi chiaramente verso il Neogotico. Nessun altro architetto parmigiano si sentì attratto, se non sporadicamente, da tale corrente artistica e pertanto l’Uccelli rimase l’unico convinto interprete di questo revival di medioevo. Per quanto è dato sapere, almeno due elementi fondamentali della sua formazione giovanile contribuiscono a chiarire la sua posizione artistica e culturale: un grande interesse per la civiltà inglese e una rigorosa fede cristiana, a cui si aggiunse una profonda ammirazione per i monumenti dell’arte romanica e gotica parmense. Il suo interesse fu rivolto, fin dalla prima giovinezza, ai movimenti politici, artistici e sociali d’Oltremanica, cioè di quell’area culturale dalla quale provenivano, riproposti in chiave romantica, i motivi della civiltl medioevale: fervore religioso, rispetto delle tradizioni e impegno morale, dei quali il Neogotico rappresents l’espressione artistica. Dopo aver analizzato e studiato criticamente le maggiori realizzazioni del Gotico europeo, confrontandole con quelle riproposte in tempi più recenti, l’Uccelli impostò il suo modello costruttivo, non distratto nè influenzato dalle altre correnti stilistiche del tempo. Ma l’attivitl costruttiva dell’Uccelli non fu immediata e rimase per qualche tempo limitata a opere minori per la scarsa presa che ebbero le sue tendenze sulla clientela, orientata a scelte di ben altro contenuto stilistico, sempre attratta dagli schemi eclettici e dalle ultime vampate del Liberty. L’esordio professionale avvenne nel 1905 con due edifici di civile abitazione fuori barriera Garibaldi a Parma, casa Moruzzi e palazzo Marchi. Sempre per la proprietà Marchi progettò nel 1909 con il fratello ingegnere Giovanni un’abitazione civile annessa all’ampliamento della fabbrica di cemento, fuori Barriera Bixio. Il 1910 lo vide impegnato in numerosi interventi, tra i quali un laboratorio industriale in via Mulini Bassi, il sovralzo di casa Balestra in borgo Poi, la decorazione esterna e l’ampliamento di alcune botteghe nel centro storico e soprattutto l’edificio di civile abitazione di Egidio Ferrari in via Spezia e il sovralzo e la sistemazione interna di casa Saccò in borgo Parmigianino 5. L’interessante casa Bonini in via Trento venne progettata nel 1912. Negli anni successivi firmò alcune tra le sue opere maggiori: il rifacimento della facciata della chiesa Evangelica in borgo Tommasini (1913), il Salone espositivo in borgo Santa Brigida (1915), il restauro della facciata di casa Calzolari in via Cavour (1915), di cui reinterpretò l’apparato decorativo in chiave neorinascimentale, e la villa di Giovanni Marchi in via Solferino. Una lunga serie di interventi tra restauri e piccoli fabbricati produttivi lo videro impegnato negli anni tra il 1917 e il 1920, anno in cui realizzò il sovralzo interno dello storico palazzo medievale di proprietl Tirelli in borgo San Vitale. Nei primi anni Venti si cimentò in quello che era un tema obbligato per i progettisti locali e nazionali: il villino urbano. Villino Bertoni in via Spezia è del 1921, così anche in via Spezia è villino Nicoli, progettato nel 1922, Villa Molinari e Bandini venne realizzata sull’area dell’ex Foro-Boario nei pressi della Stazione ferroviaria, casa Grossi del 1922 è in viale dei Mille. Sempre nello stesso anno progettò sull’area di proprietl Biraghi, tra lo Stradone e via XXII Luglio, una villa urbana su due piani (il progetto non venne realizzato). Nel 1923 realizzò palazzo Grassi in viale Solferino, edificio di grande pregio, in cui l’esercitazione stilistica raggiunge un notevole equilibrio compositivo, e palazzo Marchi su viale San Martino. Tra il 1925 e il 1931 realizzs due edifici di civile abitazione in viale Tanara e in via Spezia, l’abitazione, con annesso magazzino, in via Guicciardini, nel lotto retrostante palazzo Grassi, villa Marchi su via Solferino (1929) e l’essiccatoio per la fabbrica Barilla su via Veneto (1930). Seguirono due opere minori, le cappelle Grassi (1927) e Milza (1928). In queste due opere è chiaramente visibile il metodo operativo dell’Uccelli per quanto riguarda le scelte stilistiche, l’impiego dei materiali e la scrupolosa diligenza esecutiva. Ma la fortuna professionale dell’Uccelli inizis con un’opera lungamente attesa: l’edificazione della chiesa di San Leonardo (1928-1931). L’area per l’edificio era ai margini settentrionali della città di Parma, dove prima sorgeva una chiesa costruita dai monaci di San Martino dei Bocci. Mentre a Parma il Liberty aveva ormai esaurito tutto il suo repertorio espressivo e alcuni architetti proponevano le prime soluzioni razionali, l’Uccelli gettò le fondamenta del costruendo edificio. La nuova chiesa, a tre navate, con l’asse in direzione Ovest-Est, affacciata sulla strada Parma-Colorno, mescola in pianta e in alzato elementi strutturali e decorativi gotici e bizantini. L’ampia facciata in mattone faccia a vista, movimentata dalla forte sporgenza di lesene, da decorazioni cementizie e da trifore dimensionate sul modulo delle navate, è interrotta in basso dal profondo pronao, ingentilito da una serie di archi sorretti da esili colonne. Lo spazio interno a forma di anfiteatro, monumentalizzato dal giro curvilineo delle colonne, evidenzia il tentativo di creare un’atmosfera spettacolarmente mistica. Mentre l’Uccelli stava ancora costruendo la chiesa, profondendovi tutte le sue energie, la curia parmense, soddisfatta dell’opera, gli affidò un nuovo impegnativo compito: il progetto del Seminario Vescovile Minore, da erigersi alla fine di viale Solferino su un’area di eccezionale vastità. L’Uccelli, guardando ai modelli claustrali cistercensi, impostò il progetto su una struttura muraria sorgente intorno a uno spazio vuoto, percorsa all’interno da un porticato sostenuto da pilastri. Venne coso volutamente rievocata l’austera solennità delle abbazie medioevali e creato il luogo più idoneo per la meditazione e il raccoglimento. Nell’edificio sono ubicati, su tre piani, i numerosi locali: la cappella, il refettorio, le aule, le celle e i servizi. I motivi strutturali e ornamentali delle facciate, differenziati secondo l’importanza, sottolineati da cornici marcapiano in cemento e protetti da uno sporgente ed elaborato cornicione, formano uno svariato repertorio ma i richiami all’architettura ogivale spiccano e prevalgono su tutti gli altri. Una lunga striscia di pannellature con motivi geometrici in cemento corre lungo la parte superiore dell’edificio, interrotta da colonne binate sorreggenti le ampie falde del tetto. Con la realizzazione di quest’opera il nome dell’Uccelli varcò i confini della provincia, tanto che fu chiamato a costruire la chiesa di Castelnuovo Fogliani (1931-1933), in provincia di Piacenza, dovuta alla munificenza del pontefice Pio XI e del cardinale Nasalli Rocca. Nella facciata del tempio, di chiara ispirazione romanica, domina un grande arco, sottolineato dal degradare di eleganti strombature, con al centro un rosone marmoreo e al di sotto un ampio protiro a colonne, con basi e capitelli stilizzati. Maestoso e solenne è l’interno, a tre navate, separate da colonne di marmo con altissimi zoccoli e capitelli in pietra bianca impreziositi da sculture. L’agile campanile, svettante sul lato destro dell’edificio, ripropone i motivi della facciata, ma la parte terminale, consistente in un tamburo prismatico sormontato da una piramide, è di chiara derivazione gotica. Quasi contemporaneamente l’Uccelli realizzò la chiesa parrocchiale di Bardi (1932), una costruzione di impianto romanico a tre navate, i cui portali in pietra bianca contrastano con la calda tonalitl dei mattoni faccia a vista che formano la compatta tessitura della facciata. Pochi anni dopo sorse, di fronte al Seminario Minore, quasi a confrontarsi con esso, la solida villa Grassi (1935-1936), costituita da quattro corpi di fabbrica collegati tra loro. Le facciate, in cui si aprono ampie finestre a trifora giranti in sequenza quasi continua attorno all’edificio, richiamano i motivi stilistici cari all’Uccelli, con elementi decorativi marmorei che interrompono la continuitl del mattone faccia a vista. Così anche in una costruzione civile l’Uccelli ripropose la sua ideologia stilistica gil sperimentata in edifici religiosi. Con questa realizzazione, che nulla concede ai moderni orientamenti dell’architettura, l’attivitl dell’Uccelli si può considerare conclusa.
FONTI E BIBL.: G.Capelli, Architetti del primo Novecento, 1975, 93-96; G.Capelli, in Gazzetta di Parma 28 maggio 1989, 3; Gli anni del Liberty, 1993, 142.

UCCELLI NELLO
Vicofertile 28 settembre 1928-Lemignano 25 aprile 1945
Antifascista, fu trucidato per rappresaglia dai nazisti in fuga.
FONTI E BIBL.: T.Marcheselli, Strade di Parma, III,   1990, 281.

UCCELLINI CAMILLO
Modena 1609 c.-Parma 19 maggio 1679
Sacerdote. Fu suonatore di violino alla Corte di Parma almeno dal 20 novembre 1665 (Ruolo farnesiano 1671-1690, fol. 386, in Archivio di Stato di Parma): La Ser.ma S.ra Duchessa, di Parma, ha accettato al di lei servigio li SS.ri D.Marco e Camillo da Uccellini col carico di doverla servire in quello gli acordrò, ai quali gli ha assegnato per ambidoi Mensuale stipendio di doppie n. 4 Italia, incominciando il di loro servizio li 20 nov., come per L’ordine trasmesso per polizza del s.r Filiodoni in comando di sod.ta Ser.ma ritirato in filo corrente al n. 704. Li signori D.Marco Uccellini e Camillo, suonatori di violino, che serviron la gil Ser.ma Duc.sa Isabella, oltre lo stipendio avevano anticipato un mandato il Companatico ridotto ora a 56,72 ciascuno. Ordine di S. A.S.e nota in filo corrente al n. 590 dell’anno 1679. L’Uccellini fu anche cappellano della Duchessa.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 296.

UGERI FRANCESCO
Parma 1600
Sacerdote, il 26 gennaio 1600 gli venne conferita la chiesa parrocchiale di San Marcellino in Parma, che in seguito rinunciò a Giulio Cesare Lalatta. Scrisse versi in raccolte o a celebrazione di illustri personaggi. Il letterato reggiano Giacomo Vezzano lo tenne in gran conto (Miratus equidem sum Ugerium, quem de facie non novi, sed quantum a stili granditate, candore, et venustate colligere potui non minimi vatem praetii, dignatum fuisse e meis siccis potius, quam redundantibus rivulis in foecundissimos ingenii sui hortos derivare tam multa voluisse) ma successivamente lo accusò di avergli copiato un poemetto per la nascita del principe di Parma: Incidit mihi in manus Poemation quoddam Francisci Ugerii Parmensis etrusca, ut vocant, lingua scriptum, qui Farnesii Principis natalem diem heroico carmine prosequitur sane eleganti. Uti primum attigi, coepi, ut soleo, avide legere, et quod hujusmodi lucubrationibus valde delector, quod cum ipse quoque non ita pridem mecum illud de Estensi Principe nostro divulgaverim despicere volebam, et quod ille poeticum in eadem prorsus re commentum excogitasset. Pluribus non te morabor: percucurri et vidi, eum ita me compilasse, ut pene nudum dimiserit; neque enim contentus fuit (quod summi honoris loco fuisset) quibusdam in locis imitari, sed meis pene ubique, etsi diversa ratione et ordine collectis insistere vestigiis voluit, ut meum tam non magis meum sit, quam illius. Confer utrumque si lubet, videbis lac lacti magis simile non esse. Ego id valde miratus sum, et ne quid dissimulem homini quoque subiratus, a quo insignis illata Musis injuria videtur: at impune non abibit; nam ut aliud nil possim, clamabo certe, et vociferabor, et furem prodam vel apud suos. Ni faciam, quis post aliquod tempus, imo quis hoc tempore (cum editi sui operis diem, ac mensem caute, vel astute potius praetermittendum censuerit) praeter vos, qui in ista Aula, et meos Regienses noverit illum a me potius, quam me ab illo omnia propemodum esse mutuatum? Et certe stipes aut lapis haberer si cum mea quaccumque ea tandem sint, tam impudenter videam intercepta, tacere tamen, et devorarem. Angelico Aprosio, riportando questo lamento del Vezzano nella sua Grillaja, aggiunse: Parmi nondimeno, che il Vettiano non habbia tutte le ragioni, che egli si dl a credere. Se egli scrisse latinamente il suo Poematio, quegli lo fece volgare.
FONTI E BIBL.: I.Affs, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1743, IV, 345-346; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati, VI/3, 1827, 649-650.

UGGERI FRANCESCO vedi UGERI FRANCESCO

UGHETTI ARTEMIO
Beduzzo 1914-Parma 28 ottobre 1991
Nel 1929, a soli quindici anni, emigrò in Francia attraverso un periglioso itinerario che lo portò a imbarcarsi clandestinamente per la Corsica. Dopo cinque anni, passati principalmente al lavoro nelle miniere francesi, rientrò in Italia. Dopo il servizio militare si recò a lavorare a Carbonia, in Sardegna, ancora nelle miniere. Nel 1942 venne richiamato alle armi. L’8 settembre 1943 si trovò a casa, in licenza di convalescenza. Dopo l’occupazione tedesca prese immediatamente contatto con esponenti dell’antifascismo della zona e da quel momento l’Ughetti e la sua casa di Tre Rii furono a disposizione per l’organizzazione della lotta armata. Dopo la caduta del distaccamento Griffith, con cui era in contatto, ne assunse idealmente l’eredità e costituo nella stessa zona di Montagnana un distaccamento che prese il nome Mazzini. Tra le tante imprese compiute da questo reparto sotto la guida dell’Ughetti, va citato il disarmo del presidio fascista di Corniglio (l’ultimo che era rimasto nella zona montana parmense), giudicato imprendibile per la posizione e la consistenza numerica. Il 24 giugno 1944, con un abile stratagemma, riusco ad attirare a Ghiare di Corniglio il comandante del presidio con una nutrita scorta. Con una ben organizzata imboscata, lo attaccò e costrinse alla resa. Si recò quindi a Corniglio con i prigionieri e, minacciando rappresaglie sugli stessi, costrinse i restanti militi ad arrendersi. Il colpo sferrato dal distaccamento Mazzini contro un’autocolonna in transito sulla Cisa, costò ai Tedeschi decine di morti e feriti, la distruzione di numerosi automezzi e un consistente bottino di armi e munizioni. L’attacco ebbe larga eco e venne citato con vivo compiacimento nel corso di una trasmissione di Radio Londra. Le imprese dell’Ughetti interessarono un vasto territorio comprendente un tratto della Cisa, Cozzano, Pastorello e Ravarano. Sono ancora da citare il disarmo del presidio di Cozzano del maggio 1944 (dieci prigionieri), la liberazione di Corniglio avvenuta nella terza decade di giugno del 1944, l’occupazione di Neviano de’ Rossi e il controllo del presidio di Fornovo. Nella battaglia della sacca di Fornovo il battaglione dell’Ughetti venne a trovarsi in una posizione estremamente difficile. Tuttavia, con i suoi attacchi e l’energica resistenza opposta ai nemici, riuscì a catturare con le sole sue forze circa 300 prigionieri, tra cui il Comandante del 1I Reggimento Bersaglieri della Divisione Italia, e a tenere l’importante posizione di Neviano dei Rossi fino all’arrivo degli alleati. Dopo il rastrellamento del luglio 1944 fu con il suo distaccamento tra i costitutori della IV Brigata Giustizia e Libertl e successivamente della IV bis Giustizia e Libertl, di cui divenne il comandante. In questa veste va ricordata, oltre la partecipazione a numerosi fatti bellici, l’abile e audace marcia con cui riusco a portare intatta la sua brigata fuori dalle maglie dell’accerchiamento nazista durante il rastrellamento del novembre 1944. Passato successivamente nelle file della 12a Brigata Garibaldi, vi costituì il battaglione Bragazzi, di cui assunse il comando. Con questo reparto si rese protagonista di numerosi attacchi a convogli tedeschi diretti al fronte di guerra attraverso la strada statale della Cisa. Proprio per questa attività gli venne assegnata dal ministero della Difesa la medaglia d’argento al valor militare con la motivazione: Comandante di battaglione partigiano organizzava un audace colpo di mano contro una forte autocolonna tedesca in transito su una rotabile di grande comunicazione. Dopo aver predisposto uno sbarramento di mine anticarro per costringere la colonna a fermarsi l’attaccava decisamente incurante della superioritl nemica e di armamento dell’avversario e, con suprema fermezza sosteneva l’intensa reazione di fuoco sviluppata dai tedeschi. Durante il combattimento, in un gesto di alta solidarietl umana si slanciava arditamente contro un tedesco che infieriva contro un partigiano ferito e, dopo una furiosa lotta corpo a corpo, lo finiva all’arma bianca. Caricatosi il compagno ferito lo portava a salvamento. Il combattimento si risolveva con la disfatta dell’autocolonna tedesca che lasciava 40 morti sul campo ed abbandonava nelle nostre mani 9 autocarri, carburante e altro abbondante materiale. Luminosa figura di partigiano ardito valoroso e generoso. Dopo la liberazione riprese il mestiere dell’agricoltore, si sposò con Anita Raschi e andò ad abitare con lei a Ravarano.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 29 ottobre 1991, 15; Gazzetta di Parma 26 maggio 1992, 20; Resistenza Oggi 3 1992.

UGHI CARLO
Felino 1816-Parma 30 maggio 1889
Fu medico valente, consigliere del protomedicato parmense, membro del consiglio sanitario provinciale, consigliere provinciale, direttore del Monte di Pietà di Parma e socio corrispondente dell’Accademia Fisico-Medico-Statistica di Milano. Nello scritto L’avvenire degl’Istituti di beneficenza in Italia combattè il progetto Mezzanotte di conversione dei beni stabili della beneficenza in rendita pubblica. Scrisse di argomenti di medicina, trattando in modo speciale la questione delle malattie diffuse nelle zone delle risaie. Si occupò con profitto anche di letteratura, come fanno fede vari suoi scritti in prosa e in versi.
FONTI E BIBL.: A.Pariset, Dizionario biografico, 1905, 111.

UGHI DOMENICO
Parma 1823/1831
Possidente. Nel 1823 fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari. Fu tenuto sotto sorveglianza durante i moti del 1831, cui pers non partecips.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi, 1937 213.

UGHI EDOARDO
Parma 31 gennaio1846-1915
Figlio di Carlo e Irene Porro. Patriota garibaldino, combattè a Bezzecca (1866). Poi, laureatosi in medicina, insegnò per quasi quarant’anni nell’Università di Parma patologia e propedeutica. Si adoperò generosamente nelle cure ai malati nelle due epidemie di colera che flagellarono Parma nell’Ottocento (per lo stesso motivo, si recò anche a Napoli). Lasciò numerose pubblicazioni di carattere scientifico.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 149.

UGHI IRENE
Parma 1889-Parma 16 novembre 1959
Dopo essersi diplomata in lingua francese a Bologna nel 1911, entrò nelle file della Croce Rossa Italiana, spingendosi sino sul fronte dell’Isonzo (dove combattevano due suoi fratelli), guadagnandosi una medaglia d’argento al valor militare. Qualche anno dopo la battaglia di Vittorio Veneto, la Ughi cominciò a insegnare: dapprima a Casalmaggiore e a Colorno, poi dal 1925 al 1959 nell’avviamento Commerciale Pietro Giordani di Parma.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 17 novembre 1959, 4.

UGHI LUIGI
1756-Parma 14 febbraio 1837
Dottore e notaio, morì all’etl di 81 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Parma, con epigrafe dettata dagli eredi.
FONTI E BIBL.: Epigrafi della Cattedrale, 1988, 200.

UGHI LUIGI
1824-Parma 30 dicembre 1865
Perito geometra, sposò Marta Ortalli, figlia di Giovanni. Figura perito nel 1858 per il rifacimento del muro di sostegno del canale di Collecchio nelle Valli e per i lavori di assestamento alla strada dei Cavi.
FONTI E BIBL.: Elenco degl’Ingegneri, de’ Periti-geometri e degli Architetti civili, Parma, 25 gennaio 1853; Malacoda 10 1987, 75.

UGHI ODOARDO, vedi UGHI EDOARDO

UGHI UGO
-Parma 7 luglio 1867
Figlio di Giovanni Battista. Già in servizio nelle truppe del Ducato di Parma, nel 1866 fu medico nel IVReggimento Volontari garibaldini.
FONTI E BIBL.: Il Patriota 10 luglio 1867, n. 187; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 422; U.A. Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 1

UGHI UGO
Felino 1842 c.-Parma 25 marzo 1896
Figlio di Carlo. Medico, già in servizio nelle truppe del Ducato di Parma, per ordine del Governo Provvisorio seguì le Colonne dei volontari. Prese parte alla campagna militare del 1866 come medico dell’ambulanza con a capo l’Inzani.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 29 e 30 marzo 1896; G.Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 423; Pini, Medici nel Risorgimento, 1960, 12.

UGO
Parma 920
Figlio di Bernardo, da cui derivs il ramo carolingio che dominò nell’Italia settentrionale e specialmente sul Parmigiano. Nel 920 fu Conte del contado parmense. Tramandò carica e beni al figlio Maginfredo.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 5 1920, 319.

UGO
ante 967-Parmense ante 998
Figlio di Maginfredo. Assieme ai fratelli Guido e Bernardo fu al seguito dell’imperatore Ottone I, tra l’alta aristocrazia feudale italica e tedesca. L’Ugo dovette tramandare la carica di Conte del contado parmense a Bernardo, che con tale titolo appare nel 998.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 5 1920, 319.

UGO
Parma 996 c.-Parma 5 settembre 1044
Fu della stessa stirpe del vescovo Uberto (Affò). Alla grandezza del casato aggiunse singolare dottrina e qualitl politiche assai distinte. Forse fu il vescovo Enrico, suo antecessore, che, rinunciando alla carica di cancelliere, propose e raccomandò all’imperatore Enrico II di nominare Ugo in sua vece. Il 20 settembre 1023 sottoscrisse da Brumath un precetto, col quale l’Imperatore accettò sotto la sua protezione il monastero di Fruttuaria. Il 19 aprile 1024 Enrico II, da Goslar, con altro suo precetto sottoscritto da Ugo, donò un suo castello ereditato nel principato di Capua al monastero di Monte Cassino. Alla morte dell’imperatore Enrico (13 luglio 1024) venne assunto a re di Germania Corrado il Salico (8 settembre), che, sebbene non avesse ancora ottenuto la corona d’Italia, elesse Ugo suo Cancelliere. Corrado il 23 aprile 1025, ad Ausburg, con diploma sottoscritto da Ugo, prese sotto la protezione regale il monastero di San ponziano fuori delle mura di Lucca. Ugo seguì in qualità di Cancelliere il Re Corrado il 10 giugno a Costanza, il 1I novembre a Bothfeld e, quando discese in Italia, nel 1026 l’accompagns a Verona, a Milano e a Piacenza e il 19 giugno lo si trova a Cremona. In quell’anno re Corrado confermò tutte le proprietà ereditate e legalmente acquistate, interventu fidelis nostri Hugonis cancellarii, ai fratelli Bosone e Guido, figli del marchese Ardoino. Il diploma è sottoscritto da Ugo. Pure accondiscendendo alle preghiere dell’arcivescovo di Magonza e di Ugo, il Re confermò tutti i beni gil posseduti al monastero di San Lorenzo presso il fiume Isino. Inoltre, alle istanze di Aribone, arcivescovo di Magonza, e di Ugo, il 27 giugno 1026 riconfermò al vescovo di Vicenza i beni già posseduti dalla sua Chiesa. Quando fu a Verona nel 1026, Corrado concesse alla chiesa di Como le antiche immunitl: il placito è sottoscritto da Ugo, capellanus et cancellarius. Il 20 dicembre 1026 fu sotto le mura di Ivrea con re Corrado che assediava la città per vendicarsi del marchese Ardoino che gli si era ribellato. Al principio del 1027 re Corrado si trovò al campo di Lucca e il 28 marzo si portò a Roma, accompagnato dalla Corte, con la Regina, l’arcicancelliere Aribone, arcivescovo di Magonza, e Ugo, per ricevere, la corona d’Italia e dell’Impero (26 marzo) da papa Giovanni XIX. A Roma, il 4 aprile, alle istanze dell’arcicancelliere e di Ugo, Corrado confermò quanto Ragimbaldo, vescovo, aveva acquistato a favore della Chiesa di Fiesole. Anche il 7 aprile, per intervento tra gli altri di Aribone e di Ugo, l’Imperatore concesse a Guido, vescovo di Luni, la piccola badia di Brugnato e alla chiesa di San Michele di Lucca conferms la donazione di Berardo. Partito da Roma, Corrado, sempre seguito da Ugo, il 1I maggio giunse a Ravenna. Il 20 maggio Ugo sottoscrisse in forma di diploma la conferma dei beni a favore della Chiesa di Sarsina, di cui era vescovo Uberto, per ordine di Corrado: Uberto episcopo per manus domni Ugonis cancellari per presentalem jussionem Chonradi imperatoris et Gislae eius coniugis. Fu tra il 24 e il 31 maggio 1027 che Ugo fu assunto al Vescovado di Parma, ottenendo da Verona un editto dell’Imperatore che gli conferms i diritti della Chiesa parmense secondo i precetti dei suoi predecessori. Nell’editto, tra l’altro, si legge: Ugo sanctae parmensi aecclesiae venerabilis episcopus nosterque cancellarius. Inoltre l’Imperatore conferms a Ugo il dono della corticella di Radaldo. Controfirms la concessione lo stesso Ugo, vescovo e cancelliere. AffinchÄ Ugo potesse dedicarsi al governo della cittl e della Chiesa di Parma, il 23 ottobre 1027 fu sostituito nella carica di cancelliere da Bruno, che fu poi promosso vescovo di W¤rzburg. Ugo, appena giunto a Parma, dons al monastero di San Paolo 30 iugeri di terra posti a Rivola e riconferms gli antichi privilegi. Allo stesso monastero dons una vigna a Vico Sambulani. A Ugo riuscì di riavere a favore della sua Chiesa le corti di Nirone e di Vallisnera, con i castelli e le cappelle tolte a essa e passate da tempo a Ugo, marchese di Toscana, e poi a Bernardo, conte del comitato parmense: l’Imperatore restituo quanto spettava alla Chiesa parmense con suo privilegio da Strasburgo il 12 giugno 1029. Poichè il conte del comitato parmense era ormai vecchio e senza discendenza maschile, Corrado II venne nella determinazione (diploma da Padrebon, 31 dicembre 1029) di investire Ugo anche del contado parmense, alla morte del conte Bernardo. Si legge nella concessione: postremo pro statu imperii nostri conferimus et perpetua donatione largimur sancte Parmensi ecclesie, cui Ugo preest episcopus, totum comitatum Parmensem tam ifra urbem quam extra per circuitum secundum priscos fines illius et descriptionis terminos, prout actenus moraliter habebatur, post decessum videlicet Bernardi comitis Vuidonis nisi forte deconiuge sua Ita nomine filium habuerit mascolinum. il 23 gennaio 1032 Ugo determinò che si dovessero pagare all’arciprete alcune decime della pieve di Malandriano, quando fossero state restituite dalle mani dei soldati, trattenute extra ordinario et malo ordine. Avendo poi saputo che l’antico diritto del Capitolo di percepire la terza parte delle oblazioni fatte alle chiese di Borgo San Donnino e di Berceto nelle feste annuali dei rispettivi titolari (San Donnino e i Santi Remigio e Moderanno) era caduto in disuso, richiams in vigore l’usanza e aggiunse alcune decime e pensioni. Il privilegio fu dato prima del giugno 1034. L’imperaore Corrado, ricordando episcopi Hugonis fidelitatem erga nos et servitutis studium adtendentes, da Bamberga nel giugno 1035 investo Ugo del governo della cittl di Parma e del contado: quantum episcopatus ipsius comitatus distenditur (dal Po all’Appennino e dalla Diocesi di Piacenza a quella di Reggio, e le corti di Castellarano, Sassuolo, Picicolo, Planzo e Longura). Cis avvenne perchÄ il conte Bernardo, ormai vedovo e con un’unica figlia, Imilda (monaca nel convento di San Paolo), dopo aver rinunciato alla carica di conte del comitato parmense, si era ritirato nel convento di San Giovanni, vestendo l’abito benedettino. Il 15 febbraio 1036 l’Imperatore riconferms la cessione alla Chiesa parmense di tutto il contado. Nella primavera del 1037 Corrado II scese in Italia e con un forte esercito assedis Milano (24-28 maggio). Con la Corte nel luglio si ports a Verona, ad Aquileia in agosto, a Treviso in settembre e poi a Parma, ove si ferms per celebrare la solennitl del Natale presso Ugo, suo fedele e vecchio cancelliere. L’Imperatore il 29 dicembre si trovava ancora in Parma, da dove conferms al monastero di San Giusto di Susa i suoi beni. In seguito (1039) l’Imperatore assedis nuovamente Milano e tra i suoi vassalli pronti a combattere per lui si trovarono i Parmigiani, che Ugo, Signore della cittl e del contado, affids al marchese Ugo, detto da Landolfo traspadano. Ma la notizia della morte dell’Imperatore avvenuta in Utrecht il 4 giugno 1039 sconforts gli imperiali, che si diedero a precipitosa fuga, coso che molti nella confusione furono travolti e calpestati dai cavalli. Tra di essi, secondo quanto dice Arnolfo, si trovs il gonfaloniere dei Parmigiani: inter quos Parmensis corruens Signifer turpiter occubuit. Gebeardo, arcivescovo di Ravenna, il 30 aprile 1042, col consenso dei vescovi suffraganei, concesse a guido, abate di Pomposa, le due corti di San Pietro in Ostellato e di monterione, i monasteri di Santo Stefano maggiore, di San Barbaziano, di San Zaccaria e di Santo Stefano minore e molti beni ancora. Subito dopo la sottoscrizione dell’arcivescovo si legge quella di Ego Ugo Parmensis episcopus subscripi. Il palazzo del Vescovado di Parma fu costruito da Ugo tra gli anni 1022 e 1044. Si deve probabilmente rivendicare a Ugo (altri storici assegnano la realizzazione del Duomo al vescovo Cadalo) anche l’onore di avere edificato la Cattedrale tra il 1039 e il 1044.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 111-120; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237; Parma per l’Arte 1 1952, 10-11; G. Gonizzi, in Gazzetta di Parma 20 e 25 febbraio e 11 marzo 1959, 3.

UGO
Parma 1026/1036
Chierico, fu maestro di arti liberali e di astronomia. Si fece costrure un astrolabio di argento. Fu cappellano alla Corte dell’imperatore Corrado I e visse per diverso tempo in germania. Moro, secondo quanto riferisce Pier damiani che lo conobbe durante i suoi studi a Parma, durante il viaggio di ritorno in Italia, ucciso da briganti: Ugo Parmensis Clericus quot utilitatum dotes habuerit non enumero, quia laciniosi styli devito fastidium. Hic tantae fuit ambitionis in artium studiis, ut astrolabium sibi de clarissimo provideret argento; ut dum spiraret ad Episcopale fastigium Conradi Imperatoris se constituit Capellanum, a quo dum revertitur regiis pollicitationibus cumulatus, et de consequenda dignitate pene non dubius, incidit in latrones. Presbyter enim quidam in Teutonicis partibus qui Laicum habebat asseclam equos illius tentavit invadere. Cui dum ille sese impiger objecisset, Presbyter eum lancea confodiens interemit; et tunc liquido deprahendit nil fuisse quod didicit, dum simul amisit et irridentis vitae dulcedinem, et concupiti culminis dignitatem (S.Petr. Damiani, Opuscoli, XLV, cap. VI).
FONTI E BIBL.: I.Affs, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, I, 1789, 30-31.

UGO DA BUSSETO, vedi UGO DA NOCETO

UGO DA CASALE, vedi ROSSI ARCANGELO

UGO DA NOCETO
Noceto 1111/1120
Landolfo lo dice nobilissimo soggetto e arcidiacono della Chiesa di Parma (Hist. Med., c. 46). Forse per la soverchia autoritl che arrogavasi (Affs), accetts nel 1111 (succedendo a Eliseo Freganeschi) il Vescovado di Cremona, ottenendone l’investitura dal Re. Durante la guerra tra Milano e Cremona fu carcerato in Pavia. Fu deposto da Giordano dei Capitanei, arcivescovo di Milano, nel 1117 o nel 1120. Nella Sala del Vescovado di Cremona si trova il suo ritratto nella serie dei vescovi (Hugo Parmensis).
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, I, 1856, 268; M. Martini, Archivio capitolare della Cattedrale, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1911, 120; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 270.

UGO DA PARMA
Parma 1338
Nel 1338 fu implicato nelle vicende politiche di Bologna che seguirono la ribellione della cittl al cardinale Bertrando Del Poggetto (cfr. Vidal, Les Registres de Benoit XII, Paris, 1898, n. 6422, 6423). Il Pontefice scomunics i Bolognesi e li dichiars privi dello Studio. Allora Taddeo Pepoli, professore di Diritto civile, eletto governatore di Bologna, temendo che gli studenti abbandonassero per sempre la cittl, li esorts a perseverare nei loro studi e a recarsi, insieme con i loro insegnanti, nel vicino Castel San Pietro. Tra i professori che accolsero la proposta del Pepoli, vi fu appunto anche Ugo da Parma, dottore decretale, dagli scolari grandemente amato (Ghirardacci, Della historia di Bologna, Bologna, MDCLVII, II, 139).
FONTI E BIBL.: I.Affs, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1789, 65-66; R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 232-233.

UGOLETI, vedi UGOLETO

UGOLETO ANGELO
Parma 1447 c.-Parma post 1504
Figlio di Ilario. Visse sempre a Parma, dove esercitò l’arte tipografica. Apprese il mestiere  dal Corallo, come si ricava dalla testimonianza di alcuni rogiti. Di lui sono note non meno di ventidue edizioni, impresse dal 1486 al 1501. Vanno ricordate Le Regole della vita spirituale e della vita matrimoniale di Cherubino da Spoleto (1487), l’Iliade e la Batracomiomachia di Omero (1488, 1492), Claudianus (1493), Quintillianus, gli Statuti di Parma (1494) e Ausonius (1499). Forse il suo ultimo libro Å il Plutus di Aristofane nella traduzione latina di Francesco Passi, carpigiano, stampato nel 1501 (ma il nome dell’Ugoleto appare anche in una successiva opera stampata a Parma nel 1504). Adopers caratteri romani eleganti, simili a quelli del S. Girolamo.
FONTI E BIBL.: I.Affs, Saggio di memorie sulla tipografia parmense del secolo XV, Parma, 1791; A.Pezzana, Giunte e correzioni al saggio di memorie, Parma, 1827; Enciclopedia Italiana, XXXIV, 1937, 616; P. Trevisani, Storia della stampa, 1953, 92; A. Ciavarella, Storia della tipografia, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1967, 249 e 252.

UGOLETO FRANCESCO
Parma 1473 c.-post 1528
Figlio e successore di Angelo, svolse una discreta attivitl di tipografo. Dal 1508 al 1517 fu in societl con Ottaviano Salati e nel 1526 con Antonio Viotti. La marca tipografica dell’Ugoleto Å un sole raggiante (Kristeller, figure 121-122; Vacc., figura 159; Zapp., figure 1100-1101). Dell’Ugoleto vanno ricordati la ristampa dell’Iliade (1504) e il Libellus psalmorum poenitentialium del Grapaldo (1505, titolo supposto, perchÄ l’unico esemplare conosciuto Å mutilo della 1a carta; Å stampato in rosso e nero ed Å ricco di 8 xilografie a piena pagina, raffiguranti scene della vita di Cristo). Rarissimo Å anche il Paradisus deliciosus in apparitionem Domini (Parma, 1505). Una nota in latino informa che l’autore di questo libro di edificazione Å il monaco Ilarione, della Congregazione di Santa giustina. L’esemplare Å posseduto dalla Biblioteca Palatina di Parma e non ha segnatura: si Å salvato dai bombardamenti del 1944 e faceva parte del Fondo dei Conventi. L’estensore della nota bibliografica che precede il testo Å Ramiro Tonani, della cui biblioteca dovette far parte. Usco anche dai torchi dell’Ugoleto l’Hecuba di Giorgio Anselmi (Parma, 1506; Biblioteca Palatina, Incunabolo Parmense 880/4). Insieme col Salati stamps l’Aesopus, interprete Salone Parmense (1507), il Peregrino del Caviceo (1513), gli Statuta Notariorum (1514), il De partibus aedium  del Grapaldo (1516, 4a edizione), con il ritratto dell’autore inciso sul frontespizio, l’Ovidius. Epistolae, Heroides et Ibis cum comm. A.Volsci, D.Calderini (1517) e il Plautus (1519).
FONTI E BIBL.: L.Balsamo, Editoria e umanesimo a Parma fra Quattro e Cinquecento, in Parma e l’umanesimo italiano. Atti del convegno internazionale di studi umanistici (Parma, 20 ottobre 1984), a cura di P.Medioli Masotti, Padova, Antenore, 1986, 77-95; A.Ciavarella, Contributo per una storia della tipografia a Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi 19 1967, 233-268; Norton, 69-73; P.Zorzanello, La stampa nella provincia di Parma e Piacenza, in Tesori delle Biblioteche d’Italia, Emilia e Romagna, a cura di D.Fava, Milano, Hoepli, 1932, 537-554; P.Zorzanello, L’arte tipografica in Parma dalle origini al Bodoni, Milano, Soc. An. Coop. Rotary, 1932; Tipografia del ’500, 1989, 78; C. Antinori, La tipografia parmense, 1990, 8-9.

UGOLETO GIOVANNI ELPIDIO SETTIMO
Parma 27 febbraio 1513-Palermo 26 febbraio 1580
Figlio di Taddeo. Fu canonico della Cattedrale di Parma. Nel 1539, dopo aver conosciuto a Parma Pietro Fabro e Jacopo Lainez, fu uno dei primi Parmigiani a entrare nella compagnia di GesØ. Dopo aver predicato in varie cittl italiane, fu inviato nel 1545 a Roma, dove fu utilizzato per la conversione degli Ebrei e come guida spirituale delle nobildonne romane. In seguito Ignazio di Loyola lo destins, insieme a Pietro Ribadeneyra e Jacopo Salmerone, al Collegio Gesuitico di Padova. L’Ugoleto rimase a Padova fino al 1551, anno in cui fonds, con altri undici gesuiti, il Collegio di Firenze. Non molto tempo dopo fu destinato al Collegio di Palermo, dove nel 1556 compo la professione dei quattro voti. A Palermo fu lungamente maestro dei novizi.
FONTI E BIBL.: Alberti, Hist. della Compagnia in Sicilia; G.A. Patrignani, Menologio dei Gesuiti, 1730, I, 224-226; M. Scaduto, Catalogo dei Gesuiti, 1968, 149.

UGOLETO GIROLAMO
Parma 1473 c.-Parma post 1514
Figlio di Angelo. Tipografo, appartenne alla nota famiglia di stampatori. Risulta attivo nell’anno 1514.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della stampa, 1969, 328.

UGOLETO ILARIO
Parma 1421 c.-post 1458
Muratore e architetto civile. Risulta attivo nell’anno 1548.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di belle arti parmigiane, II, 338; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 225.

UGOLETO ILARIO
Parma 1474 c.-
Figlio di Angelo. Stampò in società col padre gli Statuta magnificae Civitatis Parmae (1494).
FONTI E BIBL.: Enciclopedia della stampa, 1969, 328.

UGOLETO TADDEO
Parma 1448 c.-Parma marzo/dicembre 1513
Figlio di Ilario. Ebbe un fratello, Angelo, insigne stampatore. In quale anno nascesse con precisione non Å possibile saperlo, perchè prima del 1459 a Parma non si teneva un registro dei battezzati. Comunque, dovette nascere alcuni lustri prima, se nell’epistola dedicatoria, posta all’inizio dell’edizione del Plauto del 1510, che l’Ugoleto e due suoi amici illustrarono, si legge che egli fu scolaro di Giorgio Merula. Questi nel 1454 aprì una pubblica scuola a Milano e vi insegnò per dieci anni lettere greche e latine: solo allora l’Ugoleto potè udire quel maestro, perchè nel periodo in cui il Merula andò a Venezia, dopo il suddetto decennio, l’Ugoleto partì dall’Italia. Non fu discepolo di Antonio Bazzani, come ritenne il Fogliazzi, ma ne fu il precettore, come dimostrò Ranuccio Pico. L’Ugoleto si erudì nella poetica e nell’eloquenza greca e latina e si appassionò alla conoscenza degli autori più validi, cercò di far luce sulle loro opere e fece raccolta di codici rari. Forse furono il desiderio di conoscenza e l’intenzione di migliorare le proprie fortune che spinsero l’Ugoleto a recarsi a Buda presso il re Mattia Corvino, amantissimo dei letterati, e a lasciare così in età verde ancora l’Italia. L’Affò, che scrisse sull’Ugoleto nelle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, non si dimostra sicuro che in etl ancor verde l’Ugoleto fosse andato in Ungheria, soprattutto perchè non trovò conferma a quello che il conte Pomponio Torelli nell’ode Poetarum Parmensium laudes scrisse sulle ambascerie (per Federico III, imperatore, e Paolo II, pontefice) che il re Mattia avrebbe affidato all’Ugoleto. L’Affs potÄ leggere le lettere del re Mattia Corvino, molte delle quali parlano della legazione a Paolo II nel 1465, pubblicate in due piccoli volumi nel 1746 dalla stamperia di Tirnavia dei Gesuiti, ma non trovs alcun riferimento all’Ugoleto. Il compito di ambasciatori lo ebbero invece Marco, vescovo Tinniniense, Jcnos VitÄz, vescovo di PÄcs, e Jcnos Rozgony. Paolo II moro nel 1471 e prima di allora mancano sicure attestazioni della presenza dell’Ugoleto in terra ungherese. Secondo l’Affs, l’Ugoleto fu invitato a Buda dopo il 1476, quando il re magiaro sposs la figlia di Ferdinando di Napoli Beatrice d’Aragona. In un suo primo studio invece l’Affs afferms, senza alcuna testimonianza sicura, che l’Ugoleto fu mandato a Federico III dal re Mattia Corvino come suo Oratore perchÄ l’imperatore voleva il dominio dell’Ungheria e che fu mandato in una breve legazione anche a Paolo II, che spingeva i Magiari a far guerra al re di Boemia perchÄ cercava di staccarsi dalla Chiesa cattolica. Il re Mattia Corvino, nomins l’Ugoleto presidente del suo senato e si affids al suo consiglio nella scelta degli uomini di cultura da chiamarsi alla Corte reale. Molti letterati e artisti dovettero essere grati all’Ugoleto. Uno scultore rimasto sconosciuto rese eterna l’immagine del suo volto, coniandogli una medaglia, pubblicata nel Museo Mazzucchelliano, che da una parte mostra il busto dell’Ugoleto in etl ancora abbastanza giovane e dall’altra un genio con tra le braccia una lira. La leggenda di essa, divisa in due parti, consta di queste parole: Thadeus Ugoletus Musarum Cultor. L’Affs volle che la medaglia fosse riprodotta nella prima pagina del suo libro sull’Ugoleto. I letterati chiamti a Buda dovevano studiare, fare ricerche e accrescere le nuove conoscenze, ma per potere alimentare i loro studi occorrevano libri: la necessitl di una nutrita biblioteca divents quindi impellente. A cis si aggiunse il desiderio di Mattia Corvino di emulare quei monarchi del passato divenuti famosi non solo per le loro vittorie militari ma anche per le vaste raccolte di libri che fecero fare per dare impulso alla cultura. Mattia Corvino diede l’incarico all’Ugoleto di radunare tutti i codici che potesse, di qualunque materia e lingua, e di disporre convenientemente i volumi usciti dalle mani di numerossisimi copisti, revisori e miniatori, per il mantenimento dei quali impegns una forte somma di denaro. sigismondo Torda sostenne che il compito di bibliotecario non fu affidato all’Ugoleto, ma a Galeotto Marzio di Narni. Il Fabricio poi, sostenuto dal dotto canonico Angelo Maria Bandini e da Otone Menckenio, ritenne che questo onore fosse di Bartolomeo Fonte. Ma queste opinioni sono errate: infatti Galeotto Marzio ebbe un diverso impiego e il Fonte celebrs poi L’Ugoleto quale regio bibliotecario. Secondo alcuni l’Ugoleto fu pure Regio Segretario: la notizia risale al discepolo dell’Ugoleto, Francesco Passi di Carpi, che informs di questo altro onorevole impiego quando nel 1501 pubblics la traduzione del Pluto di Aristofane. L’impiego di sovraintendente alla biblioteca risveglis nel cuore dell’ugoleto, il piØ ardente desiderio di coltivare gli studi: corresse testi di validi autori, chiaro passi prima oscuri e distinse la pagine autentiche da quelle apocrife (in cis fu emulo di Vittorini, Guarini, Valla, Beroaldi, Trapesunzi, crisolora. Delle sue riflessioni e dei suoi studi integrativi l’Ugoleto fece menzione nel dedicare a Lazzaro Cassola la sua edizione di Ausonio. Il Monarca gli fece fare viaggi per varie province e regni, sicchÄ l’Ugoleto, nella lettera dedicatoria posta all’inizio della sua pubblicazione delle commedie di Plauto, potÄ ricordare di aver visitato non solum Italiae, sed fere totius Europae Bibliothecas. Sentito parlare dell’Italia come sollecita conservatrice delle piØ rare cose, Mattia Corvino mands a Firenze, prima della fine del 1487, l’Ugoleto affinchÄ potesse trasferire le opere pregevoli nelle terre scitiche. In questa cittl Cosimo dei Medici, prima, e suo figlio Lorenzo, poi, avevano radunato gli intellettuali piØ grandi di quel tempo e un numero imponente di libri scientifici: l’Ugoleto ebbe l’incarico di acquistarne quanti potesse e fare trascrivere i rimanenti. L’Affs dice: Per questa sola incombenza crediamo, che Marsilio Ficino gli desse il titolo di Procuratore del Re, esagerato parendoci quello di Ambasciatore ai Fiorentini, attribuitogli da penne moderne, alludendo all’Angeli e al Gaetani. A Firenze gli uomini di cultura si rallegrarono per l’indole virtuosa di re Mattia Corvino, di cui l’Ugoleto si era fatto panegirista. E questa non Å supposizione dell’Affs ma un fatto testimoniato da una lettera di Bartolomeo Fonte al monarca magiaro e da un’altra lettera delle epistole del Fonte inedite (scritta il 28 gennaio 1488), osservata dall’abate Lorenzo Mehus in un codice fiorentino e dall’Affs riscontrata in un codice della Biblioteca di San Salvatore in Bologna. L’Ugoleto, dopo aver visitato le biblioteche pubbliche e private, scelse quattro scrivani affinchÄ ricopiassero quei volumi che non potevano essere comprati. Rimangono tre lettere non datate dell’Ugoleto che ragguagliano sul suo viaggio di raccoglitore in Italia. Esse forniscono preziose indicazioni sul modo come procedeva il graduale arricchimento della Biblioteca reale, che Å altreso una prova del fervore e della diligenza con cui l’Ugoleto attese all’opera. Nella prima si parla di cinque manoscritti, fatti copiare da amanuensi non privi di cultura (i Discorsi di Eschine, le Tragedie di Eschilo, da un manoscritto bizantino, di Arrianus, La campagna di Alessandro il Grande, il Brutus di Cicerone, il Panegirico di Plinio). Nelle altre due Å menzione di cinque libri a stampa e sette manoscritti, tra cui un eccellente Somnium Scipionis, il De proprietate sermonum di Nonio, fatto copiare da un dotto di Milano, un Valerio Flacco assai antico e un Marziale, acquistati dal mercante fiorentino Francesco Sassetti. Poi divents amico di molti dotti. Conobbe Angelo Poliziano, che stava preparando per la stampa la prima Centuria delle sue Miscellanee, che l’Ugoleto lesse. Egli fu anche di aiuto al poeta: infatti gli diede liberalmente in consultazione qualche codice, come a esempio uno antichissimo dell’argonautica di Valerio Flacco e un altro di Marziale (proprio quelli cedutigli da Francesco Sassetti). L’Ugoleto strinse affettuosa amicizia anche con Bartolomeo Fonte, famoso soprattutto per aver illustrato le Satire di Persio. Frutto dei ragionamenti eruditi dei due e soprattutto delle acute riflessioni dell’Ugoleto fu il Dialogo che il Fonte intitols Tadeus vel de Locis Persianis, che mands poi al Re ungherese. Suo amico fu pure il celebre Giovanni Pico della Mirandola, che, quando dovette andare a Roma a difendere le sue note tesi, scrisse una lettera all’Ugoleto parlandogli dei suoi lunghi contrasti. La lettera in realtl Å diretta a Thadeo Ugolino, ma coso era conosciuto l’Ugoleto, come dimostrs anche Gherardo Vossio. L’Affs dice che il filosofo Marsilio Ficino scrisse varie lettere al re Mattia Corvino e una all’Ugoleto, a cui assicurs di avergli fatto trascrivere la sua versione di Jamblico. L’Ugoleto rimase a Firenze per tutto quel tempo che gli occorse per far compiere le copie dei codici e non di piØ, anche se l’autore degli Annali letterari d’Italia lo fa rimanere coll fino al 1492. Acuta Å un’osservazione dell’Affs, in cui rileva che, quando nel 1489 fu pubblicata la prima Centuria delle Miscellanee di Angelo Poliziano, l’Ugoleto Å nominato dal suddetto scrittore come gil tornato presso il monarca ungherese. L’Ugoleto dovette raccomandare a Mattia un buon numero di letterati di Firenze, che dedicarono al Sovrano diversi scritti. Il Fonte fece trascrivere, oltre al dialogo sui luoghi di Persio, una esposizione sulle Satire (sempre di Persio), una lettera a Francesco Sassetto sui pesi e le misure e orazioni tenute fino al 1487, insieme con un libro di versi al Sassetto, intitolati a Mattia Corvino: tutto cis fu dedicato al Re e il codice fu mandato all’Ugoleto. L’Affs nelle Memorie di Taddeo disse che la stampa si fece a Francoforte e che le spese furono sostenute da Giancarlo Unckelio nel 1621. Al codice fu aggiunto il Symposion Trimeron di Antonio Bonfini. Il codice passs dalla biblioteca del Sovrano di Ungheria a quella di Augusto il Giovane, duca di Brunswick e Luneburgo, e Giorgio Remo lo pubblics, ritenendo inedito tutto cis che conteneva. Ma coso non era: infatti il Fonte aveva dato alla stampa nel 1480 e dedicato a Lorenzo dei Medici l’esposizione sulle Satire di Persio e la lettera sui pesi e le misure. Quando l’Ugoleto torns in ungheria ports con sÄ molti scritti e, come osservs il Poliziano, altri ornamenti, cioÅ molto probabilmente medaglie, statue e simili oggetti antichi. Il Sovrano fu felicissimo di questi doni e acquisti e dell’affetto mostrato dagli uomini eruditi fiorentini, che egli liberalmente chiams subito alla sua reggia: tra questi, il Fonte, Roberto Salviati, Niccols Teologo e Filippo Valori. Tanto fervore per i letterati, tanto ardore di ampliare sempre piØ una biblioteca gil notevolissima, che contava circa cinquantamila volumi, nonostante avesse cominciato a formarsi da pochi anni, e tanto amore per le arti e la cultura svanirono improvvisamente con la morte di Mattia Corvino, avvenuta nel 1490. Ai dotti rimase solo il frutto del suo amore per la cultura e le lettere: la biblioteca, che il Bonfini considers piØ ricca di quella di tolomeo e che Naldo Naldi esalts nel suo poema inedito Naldo Naldii Florentini de laudibus augustae Bibliothecae ad Matthiam Corvinum Pannoniae Regem. L’avvenimento sconvolse tutta la repubblica letteraria e tanti eruditi e artisti che vivevano a quella Corte, rimasti senza la protezione del nobile e liberale Mattia Corvino, furono all’improvviso privati di ogni loro sostentamento. Anche l’Ugoleto ritenne opportuno ritornare in patria e si mise a fare l’insegnante, come assicura l’Affs, apprendendo la testimonianza dai libri delle Ordinazioni pubbliche. Comunque, secondo il frate bussetano, l’Ugoleto non fu spinto a questo esercizio per la necessitl di campare, come afferms invece il Valeriano. Infatti, se coso fosse, egli avrebbe aperto scuole in altre cittl della toscana, Romagna o Lombardia, invece rimase nella terra natale, ammaestrando allievi come Antonio Bazzani e Bernardino Dardano. La famiglia dell’Ugoleto era ricca ed egli potÄ trovarvi onde vivere in modo decoroso: coso aiuts il fratello Angelo, che da quattro anni aveva fondato una stamperia e viveva senza problemi economici. Angelo Ugoleto fu tanto attaccato al fratello che non avrebbe potuto abbandonarlo nella povertl e se l’uno dirigeva i torchi, l’altro somministrava loro i libri da pubblicarsi: onde Å forza conchiudere, che Angelo e Taddeo vissero in perpetua comunione di fortuna. Presso la stamperia del fratello Angelo uscirono le seguenti edizioni curate dall’ugoleto: le Ecloghe di Calpurnio e di Nemesiano (s. d., ma 1490), gli Opuscula di Agostino (1491), un Claudiano (1493), le declamationes di Quintiliano (1494), un Ausonio (1499) e, in collaborazione con i concittadini francesco Grapaldo e Giorgio Anselmi, le Commedie di Plauto (1510). L’Ugoleto torns dall’ungheria con numerosi codici preziosi, si fece una biblioteca personale e si impegns nel favorire in qualche modo gli studi dei letterati: corresse precedenti edizioni con l’aiuto dei suoi antichissimi manoscritti e diede alla luce per i torchi del fratello molte opere. L’Affs ricorda che il nuovo re d’Ungheria, Ladislao, invits l’Ugoleto alla sua Corte: pus darsi che qualche cosa abbia fermato l’Ugoleto nel suo viaggio o che, giunto a Buda, sia rimasto deluso dalla nuova Corte, non troppo favorevole all’ozio pacifico, in cui i letterati potevano studiare. Forse trovs gil in disordine la biblioteca in cui tanto aveva lavorato, o forse previde che sarebbe stata dispersa in modo miserevole (il che avvenne quando i Turchi espugnarono Buda nel 1541: molti volumi furono venduti, altri furono dimenticati nei luoghi meno adatti della rocca, in cui la biblioteca si trovava). Pietro Lambeccio nel 1666 trovs sepolti in una grotta circa quattrocento libri e tre potÄ recarli con sÄ con il consenso dei Turchi. L’Affs, comunque, assicura che, se l’Ugoleto fece questo viaggio in Ungheria, non si ferms a lungo: infatti il 30 ottobre dello stesso 1493, anno in cui Ladislao lo chiams a Corte, era gil nella cittl natale allorchÄ fu  dal Consiglio ordinato il pagamento de’ suoi salarj per le lezioni di Umanitl. Da qui non volle allontanarsi piØ e qui sposs Camilla che gli diede sei figli, quattro femmine e due maschi: l’ultimo di questi, di nome Elpidio, fu gesuita e fu il primo dei Parmigiani che entrs nel nascente istituto di Sant’Ignazio. L’Ugoleto coltivs i suoi studi e forms con gli amici quasi un’accademia letteraria, in cui si radunavano Giorgio Anselmi, Francesco Maria Grapaldo, Pascasio e Latino Belliardi, Lazzaro Cassola e Francesco Carpesano. L’Ugoleto fu un critico notevole: scopro che non potevano essere tutte di quintiliano le Declamazioni a lui attribuite e nel 1494 pubblics quelle che riteneva fossero opera di Quintiliano avo. Morto il Merula, suo maestro, penss di continuare l’opera di pubblicazione degli scritti di Ausonio e anche in questo lavoro intraprese la noiosa ma sicura fatica dei confronti. Dalla lettera che indirizzs al Cassola si sa che ebbe dei detrattori, ma che sperava ugualmente nella lode dei giusti. Assai liberale nel dare aiuti e consigli, collabors e strinse amicizia con Antonio Bonfini, benedetto Giovio, Niccols Angeli, Alessandro Gaboardo, Pellegrino Lottici, Niccols Lucaro, Tranquillo Molossi, Bernardino Sassoguidano, Francesco Passi e Lancillotto Pace. A Parma Lodovico Sforza, duca di Milano, favoro il diffondersi della cultura. Poi, quando il re di Francia penss di impadronirsi della cittl, cominciarono i tumulti. Il Grapaldo ebbe dalla plebe l’incarico di curare le pubbliche cose e l’Ugoleto gli diede frequenti consigli. Parma poi si consegns al Re, la calma ritorns e l’Ugoleto potÄ proseguire negli ozj suoi, e continuare gli ameni studj. Nel 1506 furono pubblicati i Comenti di Pilade sulle Commedie di Plauto in cui Å maltrattato il suo maestro Giorgio Merula. Allora l’Ugoleto prepars una nuova edizione di Plauto, non potendo lasciare invendicata la memoria del suo precettore. Gli stavano a cuore anche le sue Collectanee, che aveva cominciato quando era bibliotecario di Mattia Corvino ed ebbe intenzione di stamparle, come si sa dalla lettera a Lazzaro Cassola. L’Anselmi le chiams Selve, perchÄ erano una lunga serie di lezioni sopra passi oscuri di antichi scrittori, e l’Erba le defino Somma di quistioni grammaticali. Parma passs sotto il governo di Papa Giulio II, poi di Papa Leone X, sotto il cui pontificato il cardinale Alessandro Farnese si recs in questa cittl e volle conoscere l’Ugoleto e vedere le sue opere. Il porporato, stimando molto gli scritti dell’ugoleto, non volle piØ restituirli. l’ugoleto, vedendosi privato dei suoi lunghi sudori, e prevedendo che la perdita dei suoi scritti impedito gli avrebbe l’acquisto di quella fama, ond’era andato in traccia tanti anni, si accors in maniera, che in breve spazio di tempo mancs di vita. L’Affs disse di non aver trovato la data precisa della sua morte. k certo pers che viveva nel febbraio del 1513, quando gli nacque il figlio Elpidio, ed Å sicuro che moro prima del 1515, anno in cui si spense l’amico Grapaldo. L’Affs riports l’epitaffio che Giorgio Anselmi scrisse per l’Ugoleto e termins il suo libro di memorie di Taddeo con tre epigrammi inediti del Molossi, che onorano degnamente l’Ugoleto. Il conte Anton Giuseppe della Torre di rezzonico disse di possedere un esemplare, tolto dall’Appendice di Ranuccio Pico, con delle note scritte a penna, in cui si parlava del testamento dell’Ugoleto. Volle consegnarlo all’af-fs, ma quando per questo lo cercs tra i suoi libri, non lo ritrovs piØ. L’opera dell’ugoleto fu infaticabile e pus veramente dirsi con Fortunato Rizzi che fu di coloro che illustrarono la nostra cittl nel periodo glorioso del suo Rinascimento. Il Pezzana continus il lavoro di ricerca dell’Affs: egli penss che l’Ugoleto fosse stato invitato ancor giovine dal sovrano ungherese, perchÄ coso scrisse padre Sisto Schier nella sua dissertazione De ortu, statu, lapsu et interitu bibl. Budensis Mattiae Corvini, pubblicata a Vienna verso la metl del XVIII secolo. Per quanto riguarda l’ambasciata a Paolo II, anche il Pezzana ne dubits. Infatti il Tonani ricevette da Reggio delle notizie sicure, secondo cui l’Ugoleto prima di andare in Ungheria sarebbe stato dichiarato dal Comune di Reggio quale professore di eloquenza (decreto del 6 settembre 1475) e avrebbe continuato questa professione sino al 1477, anno in cui ottenne il congedo nel mese di gennaio. Il Pezzana penss che non fosse andato in Ungheria prima di essersi accomiatato dai Reggiani e che se era ancora giovane nel 1473, come disse l’Affs (sostiene che il 3 dicembre 1473 era a Parma litteratus juvenis Tadeus filius M. Ilarii de Ugoletis), non era per nulla verosimile che fosse andato come ambasciatore al Papa, per incarico di Mattia Corvino, alcuni anni prima. Se l’Ugoleto ands alla Corte del Sovrano agli inizi del 1477 e se era ancora in etl assai giovanile nel 1473, come pus, si domanda il Pezzana, l’Affs temere di non aver detto il vero nelle sue prime Memorie, in cui pensa che l’Ugoleto fosse andato in Ungheria nell’etl sua ancor verde? E il Pezzana continua: Se verso il trentesimo anno se ne fosse ito coll, non sarebbe questa da chiamarsi etl ancora verde? L’Affs dice poi che Mattia Corvino, non avendo prole dalla moglie, scelse come suo successore il figlio naturale Giovanni e delibers allora di farlo istruire dall’Ugoleto, come si apprende dall’Epistola che Severino Calco premise agli Opuscoli di Sant’Agostino. Secondo il Pezzana la suddetta lettera manifesta che il Re volle l’Ugoleto come maestro del figlio e non che il determinarsi a farlo istruire procedesse dal mancare di prole legittima. In effetti lo Schier penss che l’Ugoleto, appena giunto in Ungheria, fosse divenuto maestro di Giovanni, cioÅ quando il Re non aveva ancora alcun timore di restare senza figli da Beatrice, che aveva sposato da poco. Se Mattia Corvino avesse avuto quel sospetto e solo allora, cioÅ dopo dieci anni di matrimonio, lo avesse voluto come precettore del suo erede, un anno dopo, nel 1487, non lo avrebbe certo mandato in Italia in cerca di manoscritti, facendogli interrompere troppo presto una coso importante educazione. Il Pezzana non comprese come mai l’Affs avesse taciuto la causa della morte dell’Ugoleto e accetts senza riserve la tesi del da Erba che, nel suo Compendio (sotto la dominazione dei Farnese a Parma, non molto dopo la morte di Paolo III) ebbe il coraggio di dire: scrisse una summa dottissima de questioni grammaticali, de la quale, et d’altre sue fatiche privandolo Alessandro p.I di Farnesi, nostro vescovo qual fu anchora cardinale, et Papa, et chiamossi Paolo III; talmente se ne rammarics che in breve spazio di tempo passs a miglior vita. Dell’Ugoleto, il Pezzana si interesss anche nella Storia della Cittl di Parma. In particolare si sofferms sulla sua figura all’anno 1490, quando l’Ugoleto torns a Parma dall’ungheria, in seguito alla morte di Mattia Corvino: dopo varie considerazioni, gli tributs un caldo elogio e ricords che fu insegnante di umanitl a Parma col Grapaldo. PiØ avanti il Pezzana, all’anno 1492, corresse un errore dell’Affs che, informatosi dall’Ordinazione originale degli Anziani, aveva letto male l’anno in cui si notavano i nomi degli insegnanti Francesco Maria Grapaldo e Taddeo Ugoleto: si trattava infatti del 30 ottobre 1492, e non del 1493. Questo errore ports l’Affs, come gil si Å detto, a concludere che, se l’Ugoleto ands veramente una seconda e ultima volta in terra ungherese nel 1493, non vi rimase molto, sendosi trovato in Parma il giorno 30 di ottobre dello stesso anno, allorchÄ fu dal Consiglio (cioÅ dagli Anziani) ordinato il pagamento dei suoi salarii per le lezioni di Umanitl. Ma questo pagamento avvenne il 30 ottobre 1492, quando l’Ugoleto non era ancora stato inviato alla corte del nuovo re Ladislao. Il Pezzana nots all’anno 1493 la sua partenza per l’Ungheria e ricords che l’Ugoleto, soprannominato della Rocca, sposs Camilla, figlia del filosofo e professore di medicina Rolando Capelluto, e che il nome di Angela, comparso nelle Memorie degli scrittori dell’Affs, fu probabilmente un sogno. L’Ugoleto, dopo l’accurato studio del Pezzana, fu dimenticato fino al 1900, quando Concetto Marchesi in una pubblicazione su Bartolomeo della Fonte accenns alla stima che l’Ugoleto ebbe presso Mattia Corvino. Dell’Ugoleto si occups successivamente Alberto Del Prato: ricords che Ireneo Affs nella Vita di Francesco Mazzola espresse in forma dubitativa la tesi che l’Ugoleto avesse istruito il Parmigianino. Il Del Prato sostenne che la cosa non era verosimile o l’educazione data dall’Ugoleto al celebre artista fu di scarsa importanza: infatti francesco Mazzola nacque l’undici gennaio del 1503 e l’Ugoleto moro nel 1513. Lo stesso autore afferms che l’Ugoleto ricevette come dote dalla moglie Camilla dieci bifolche di terra in Marore e che fu soprannominato della Rocca, come appare dall’atto battesimale della figlia Paola Elena del 12 ottobre 1495 e in quello Pavarani del 12 febbraio 1496, in cui Å indicata la sua casa nelle vicinanze della cattedrale. Il Del Prato riports poi la traduzione in lingua francese, concessagli da Lczlo FejÄrpataky, direttore della Biblioteca del Museo Nazionale ungherese, di una parte di un articolo del Csontosi sulla biblioteca di Matia Corvino e sull’opera dell’Ugoleto.Il Csontosi sostenne che il bibliotecario della Corte magiara fu Bartolomeo della Fonte e che l’Ugoleto e Antonio Bonfini furono i suoi due collaboratori. Il Del Prato prese in esame gli atti notarili, rogati dal Pelosi il 10 giugno 1516, che riguardano la successione dell’u goleto e indicano il 1513 come anno della sua morte. Il testamento non fu ritrovato, ma nell’atto di tutela del figlio Elpidio si parla di Caterina, figlia naturale, che dovette avere una parte del denaro ottenuto con la vendita dei libri. Nell’inventario dei beni, tra quelli mobili di carattere artistico, si ricordano medaglie d’argento e di rame. Di esse si parla pure nella Lista di roba di Elpidio Ugoleto, in cui figurano libri di piØ sorti roti e boni vechii, alcuni dei quali manoscritti. Tutta la biblioteca dell’Ugoleto (rogito Pelosi) fu venduta a Floriano Zampironi e Lattanzio Lalatta, canonici, e al laico Bertolomeo Tagliavini. Forse in seguito passs a far parte della Biblioteca Capitolare, come afferma il Cavagnari nei Fasti dell’Universitl di Parma, senza pers citare alcuna prova precisa. Della raccolta di libri e manoscritti dell’Ugoleto non rimane che l’inventario: esso contiene duecentottantacinque numeri; ma Å da notarsi che molti volumi sono miscellanei e la stessa opera ha a volte diverse edizioni. Della biblioteca dell’Ugoleto parls a lungo anche Fortunato Rizzi, senza aggiungere d’altronde alcun nuovo dato. Angelo Ciavarella, parlando della giovinezza dell’Ugoleto dedita agli studi, mette in evidenza il fervore umanistico vivo a Parma in quel tempo, fervore sottolineato anche dall’Angeli nella sua Historia della cittl di Parma. Il ciavarella evidenzia come l’Ugoleto, con pazienza e con la dovuta intuizione, seppe interpretare antichi messaggi con lirico trasporto, inobliandosi come il Machiavelli nel mondo degli antichi e instaurando quel processo di continuitl che lega il presente al passato. Tale concezione eroica del sapere ebbe un coerente epilogo nella sua fine misteriosa, che coincise con la sua passione delusa: l’Ugoleto, come Cicerone, riconobbe nell’amore per gli studi la sua gioia di vivere, il suo destino piØ nobile e la sua salvezza e visse tranquillamente solo in un umano colloquio con il mondo degli avi. Alla fine dell’articolo il Ciavarella pubblica interessanti lettere dell’Ugoleto al re Mattia Corvino, per suggellare l’intensa passione per la cultura che legs l’Ugoleto al re ungherese.
FONTI E BIBL.: C. Corradi, Parma e l’Ungheria, 1975, 51-63; Aurea Parma 1 1953, 4-7; I. Affs, Memorie degli scrittori e letterati, 1791 III, 105-120; S. congia, in Gazzetta di Parma 24 marzo 1980, 3; A. ciavarella, Un editore e umanista filologo: T. Ugoleto detto della Rocca, in Archivio storico delle province parmensi IX, 1957, 133-173; Letteratura Italiana Einaudi, II, 1991, 1762.

UGOLETTI ELPIDIO, vedi UGOLETO GIOVANNI ELPIDIO SETTIMO

UGOLETTI ILARIO, vedi UGOLETO ILARIO

UGOLINI GINO
Busseto 1922-Fronte Russo 17 gennaio 1943
Figlio di Riccardo. Alpino dell’8I Alpini, Battaglione Tolmezzo, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Facente parte di un distaccamento avente compito di ritardare l’avanzata del nemico fortemente superiore in uomini e mezzi, assolveva egregiamente al proprio compito. Durante sanguinosi scontri pur duramente provato dal freddo rigidissimo, dalle lunghe estenuanti marce e da altre avversitl ambientali, conservava alto lo spirito combattivo. Nel corso di un combattimento particolarmente aspro, veniva travolto rimanendo disperso.
FONTI E BIBL.: Bollettino Ufficiale 1956, Dispensa 20a, 2169; Decorati al valore, 1964, 30.

UGOLINI CASTELLINA ALESSANDRO BENEDETTO IGNAZIO
Borgo San Donnino 30 luglio 1697-Fontevivo 3 maggio 1773
Conte, frate cappuccino, fu missionario a Bahia (1734), prefetto di quella missione (1739-1747) e poi missionario per diciotto anni nel Pernambuco, dove visse con l’esemplaritl del vero cappuccino, povero, casto, modesto, umile dedicandosi a un ministero di largo raggio. Compo la professione a Guastalla il 1I maggio 1722.
FONTI E BIBL.: Metodio, Storia dei Cappuccini nel Brasile, 113, 126, 141, 157; F.da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 274.

UGOLINI CASTELLINA AQUILANTE
Parma 11 maggio 1590-Parma 24 gennaio 1677
Figlio di Giacomo Antonio e Margherita. Conte. Divenuto frate cappuccino, fu predicatore applaudito in varie cittl d’Italia (Udine, Novara, Brescia, Cesena e Imola), lettore di filosofia in Ferrara e di teologia in Piacenza e Bologna ed eroe di caritl durante la peste in Parma e in Bologna negli anni 1630-1631. Nel 1630, ritirandosi da Parma per il dilagare della peste, il Duca, con ampio diploma, gli confero ogni autoritl per tutti gli accomodamenti e per tutti gli interessi di maggior rilievo. Similmente il vicario apostolico Mario Antonini delegs all’Ugolini Castellina ogni sua facoltl. Con questa doppia investitura di poteri, vestito di un sacco di tela cerata sopra  l’abito serafico, l’Ugolini Castellina si faceva vedere di giorno e di notte in tutti gli angoli della cittl, prestandosi per ogni servizio: adagiava in letto gli infermi, li medicava, porgeva loro il cibo, li confortava, amministrava i sacramenti, componeva decentemente le salme dei morti e le portava egli stesso alla sepoltura. Fu ambasciatore (1649) di Ranuccio Farnese  presso Filippo di Spagna per ottenere favori in compenso della neutralitl opposta alle pressioni del cardinale Mazzarino, che voleva vietato agli Spagnoli il passaggio per gli Stati farnesiani, definitore e ministro provinciale (1649 e 1655), definitore (1656-1662) e visitatore generale. Fu per tredici anni missionario nella prefettura di Bahia, indi per diciotto nel pernambuco, dove visse con l’esemplaritl del vero cappuccino, povero, casto, modesto, umile e inoltre dedito a un largo ministero. k probabilmente quel Romualdo da Parma che prese parte all’ultima parte dell’assedio di Candia (1653-1669) nella guera tra Venezia e i Turchi. Compo la vestizione a Faenza il 22 maggio 1611.
FONTI E BIBL.: Mussini, Memorie storiche, II, 18-25 e 206-208; Salvatore, Prov. Capp. di Bologna, 86 e 91-97; Bullar, Cap., II, 253; Pellegrino, Annali, III, 243-246; Pellegrino, Leggenda Capitoli Prov., 22, 24; Felice, Tavole Capitoli Gen., 148; Felice, Missionari Parmensi, 29; Luigida Gatteo, La peste a Bologna nel 1630, Forlo, 1930, passim de P.Romualdo; Cirillo, I Cappuccini Emiliani, II, 7, 206; Salvatore, Prov. di Bologna, I, 185, 192-199; Provincia di Bologna, Atti Ufficiali, 1935, 78; Lexicon Cappuccinum, 1951, 1499; Aurea Parma 1 1954, 22; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 471-472; Imerioda Castellanza, Angeli delle Armate, 1937, 105; Cappuccini a Parma, 1961, 23 e 26; F.da Mareto, Necrologio Cappuccini, 1963, 86.

UGOLINO
Parma 1201
Figlio di Salomone. Fu Podestl di Jesi nell’anno 1201.
FONTI E BIBL.: F.da Mareto, Indice, 1967, 923.

UGOLINO DA NEVIANO
Parma ante 1322-Parma post 1362
Figlio di maestro Giovanni. Abits in Parma, nella vicinanza di Santa Cecilia. Il 10 giugno 1362, con testamento fatto nel refettorio dei Padri Eremitani, ordins che si fondasse dopo la sua morte un nuovo ospedale nella vicinanza di Santa Cecilia sotto la direzione dei podestl dei quattro mestieri: beccaj, calzolaj, fabbri-ferraj e pellicciaj. Questo ospedale, inizialmente denominato di San Giacomo, fu eretto in faccia all’oratorio di San Bernardino. L’Ugolino assegns le case che aveva in Santa Cecilia e tutti i suoi beni mobili e immobili, per la fondazione di questo ospedale. A Giacobina, sua figlia e seconda moglie di Giacomino Tardilene, lascis in tutto 325 lire imperiali e volle che di quelle si tenesse contenta, senza pretendere altro dall’ereditl paterna. Stabilo che non si eleggesse in rettore del detto ospedale chi non avesse compiuto il trentesimo anno di etl e non avesse nÄ moglie nÄ figli nÄ nipoti da parte di figli e che tanto il rettore quanto tutti gli altri amministratori di questo ospedale dipendessero dal vescovo o dal suo vicario in assenza del vescovo. Volle inoltre che sei mesi dopo la sua morte si allestissero otto letti a servizio dei poveri e che il suo ospedale fosse chiamato Ospedale di Maria Vergine o di Ugolino da Niviano (testamento ricevuto dal notaio Tommaso Cavalli).
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, I, 1856, 621; I.Affs, Testamento di Ugolino da Niviano a favor dell’Ospedale detto ora degli incurabili, in Storia della cittl di Parma, dalla Stamperia Carmignani, IV, 1795, 352-353; F. Nicolli, Ugolino da Niviano, in Codice Diplomatico Parmense, 1835, II, 372; Ugolino di maestro Giovanni da Neviano, in Ordinarium Ecclesiae Parmensis e vetustioribus excerptum reformatum a. MCCCCXVII, Parmae, ex officina Petri Fiaccadori, 1866, 174; N. Pelicelli, Ospedale Ugolino da Neviano, in Storia dell’ospedale maggiore di Parma fondato da Rodolfo Tanzi nel 1201, Parma, Amministrazione dell’Ospedale Maggiore, 1935, 48-54; R. Cattelani, Ospedale Ugolino da Neviano, in L’ambiente in Parma, Parma, Allegri, 1958, 168; M. Parente, Ospedale degli Incurabili detto anche di Ugolino da Neviano di S.Giacomo o dei Quattro mestieri, in Guida generale degli Archivi di Stato italiani, Roma, 1986, 418.

UGOLINO DA PARMA
Parma 1411/1438
Nell’anno 1411 fu tra i professori dello Studio di Bologna (Ghirardacci, II, 590). k forse lo stesso Ugolinus de Parma che nei (IV, 66) appare lettore ordinario del Digesto nuovo nell’anno 1437-1438.
FONTI E BIBL.: R. Fantini, Maestri a Bologna, in Aurea Parma 1931, 234.

UGOLINO DA PARM, vedi anche FONTANA UGOLINO, ROSSI e UGOLINO ANTONIO

UGOLINO ANTONIO
Parma 1651-Parma 1705
Pittore e acquafortista attivo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Nel 1700 fu a Roma, dove dipinse per il cardinale Francesco Maria de’ Medici uno stendardo. Fu in seguito attivo nella cappella della Compagnia delle Stimmate in San Lorenzo a Firenze.
FONTI E BIBL.: Thieme-Becker, vol. XXXIII, 1939; P. Martini-G. Capacchi, Incisione a Parma, 1969; Dizionario Bolaffi dei Pittori, XI, 1976, 196.

UGOLINO TADDEO, vedi UGOLETO TADDEO

UGOLOTTI DOMENICO
Palanzano 1893/1911
Soldato del 26I Reggimento fanteria, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Noncurante del pericolo, coraggiosamente si adoperava nel trasportare, sotto il fuoco nemico, le salme dei superiori morti sul campo (Derna, 27 dicembre 1911).
FONTI E BIBL.: G. Corradi-G. Sitti, Glorie parmensi alla conquista dell’impero, 1937.

UGOLOTTI EUGENIO
Parma 30 ottobre 1861-Ceretolo 9 marzo 1946
Le misere condizioni familiari non gli permisero di frequentare oltre le prime cinque classi elementari, ma l’Ugolotti seppe comunque formarsi da solo una solida cultura. All’etl di dodici anni fu assunto come apprendista nella Stamperia Fiaccadori, dove divents in breve un esperto e apprezzato compositore. Entrs poi come proto nella tipografia di Michele Adorni in borgo San Lorenzo, rilevata in seguito dall’editore Battei. Vi si stampava allora la Gazzetta di Parma, diretta prima da Parmenio Bettoli e poi da Pellegrino Molossi: l’Ugolotti fu per entrambi impareggiabile collaboratore. Fu il Molossi a spronarlo nella realizzazione dell’idea, condivisa dal fraterno amico Odoardo Adorni, di fondare una propria tipografia e gli diede effettivo aiuto quando, costituita la ditta Adorni, Ugolotti e C, passs a essa col suo giornale. La Gazzetta di Parma, infatti, ebbe sede nella stessa tipografia, nel retro del palazzo Tarasconi, ove per venti e piØ anni venne edita. La prima lynotype utilizzata a Parma fu acquistata dall’Ugolotti per la sua tipografia, assieme alle piØ moderne macchine da stampa. Nel 1900 la Camera di Commercio volle l’Ugolotti a capo di una commissione di operai parmigiani inviati all’Esposizione Universale di Parigi. Entusiasta dell’esperienza maturata, al suo ritorno, scrisse un libro, L’arte tipografica all’esposizione di Parigi, che fu molto apprezzato. Di idee liberali, l’Ugolotti venne eletto nel Consiglio comunale di Parma e fece parte della battagliera minoranza che ebbe come leader l’avvocato Arturo Scotti. Qualche tempo dopo l’avvento del fascismo, vecchio desideroso di pace, si ritirs nel suo eremo di Ceretolo.
FONTI E BIBL.: B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 150.

UGOLOTTI FABIO
Parma 11 marzo 1819-Parma 10 marzo 1898
Figlio di Giuseppe e Laura Grossardi. Dottore, liberale e patriota, fu tra i giovani valorosi che per primi insorsero il 20 marzo 1848. volontario nella prima colonna parmense del 1848, prese parte a tutti i fatti d’arme piØ gloriosi. Passs poi nell’esercito regolare sabaudo e vi conseguo il grado di Capitano. Venne in seguito incarcerato nelle prigioni di Santa elisabetta per aver stampato clandestinamente volantini patriottici.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 12 marzo 1898, n. 69; G. Sitti, Il Risorgimento italiano, 1915, 423; Palazzi e casate di Parma, 1971, 621.

UGOLOTTI FERDINANDO
Parma 4 aettembre  1874-1967
Figlio di Pietro ed Eufrosina Serventi. psichiatra, fu direttore dei manicomi di Parma (1909) e di Pesaro e Urbino (1926), e direttore (1925-1954) del periodico Note e riviste di psichiatria.
FONTI E BIBL.: Autobiografia per uso familiare e passatempo nella tarda vecchiaia, Pesaro, 1957; M.Longhena, Uno psichiatra parmigiano, in Gazzetta di Parma 13 novembre 1962, 3; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1091.

UGOLOTTI FILIPPO
Parma 1831
La sera del 13 febbraio 1831 fu tra i primi a occupare in Parma il quartiere dei Dragoni, tenendovisi tutta la notte e anche parte del giorno successivo. Figurs nei processi come disarmatore delle guardie e del Corpo dei Dragoni.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 213.

UGOLOTTI GIOVANNI BATTISTA
-Parma 1735
Sacerdote, fu cantore della chiesa della Steccata di Parma dal marzo 1726 e della Cattedrale di Parma dal 13 aprile 1727.
FONTI E BIBL.: Archivio della Steccata, Mandati 1726 al 1735 e Lettere ducali 1731-1735, Archivio del Duomo, Mandati 1726-1747; N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 164.

UGOLOTTI GIUSEPPE
Borgo San Donnino 1806/1831
Fratello di Filippo e cognato di Angelo Grossardi. Nel 1806 fu Podestl di Borgo San Donnino. Nel 1823 fu riconosciuto appartenere alla societl dei Carbonari. Durante i moti del 1831 fu tra coloro che andarono alla spedizione di Fiorenzuola. Guardia onoraria del corpo, si pose sul piazzale del Palazzo di Maria Luigia d’Austria, mentre la Sovrana era ancora presente, a istruire la Guardia Nazionale. Il giorno 11 marzo, alla testa di sessanta guardie nobili, si ports in Castello per prenderne possesso. Nonostante i titoli che gli furono addebitati, non figurs in processi. Visse poi da privato in Borgo San Donnino, sottoposto a sorveglianza.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 213.

UGOLOTTI GIUSEPPE
Langhirano 3 marzo 1834-post 1870
Repubblicano, conciatore e negoziante di pelli, nel 1870 su di lui fu inviato alla Questura di Parma il seguente rapporto di polizia: Egli rimase sempre in questa provincia. k di opinioni repubblicane, sparla acerbamente del Governo e di tutti i funzionari di esso, eccita il malcontento degli abitanti, li istiga a sollevarsi, perchÄ li dice mal governati. Li sollecita ad uccidere gli impiegati civili e militari, come si fa coi maiali; vl dicendo che il governo mantiene tanti assassini e non impiegati. Ha pochi beni di fortuna e vive del suo commercio.
FONTI E BIBL.: C.Melli, Langhirano nell’Ottocento, 1987, 56.

UGOLOTTI PIERO
Parma 1915-1978
Subentrs, unitamente al fratello Pino, poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale alla guida dell’azienda paterna in Langhirano, la Luigi Ugolotti, dedita prevalentemente alla produzione del concentrato di pomodoro, della quale ridusse man mano l’attivitl conserviera per sviluppare la produzione di prosciutti stagionati. Nel1963, anche in considerazione dei meriti conseguiti come stagionatore, venne chiamato alla direzione dell’appena sorto Consorzio volontario del prosciutto tipico di Parma restandone alla guida fino al 1967. Il suo dinamismo imprenditoriale lo vede promotore e partecipe nel Langhiranese di alcune importanti attivitl imprenditoriali del settore meccanico, plastico e dei prefabbricati. Resse pure per diversi anni la presidenza della Banca Emiliana.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 410.

UGOLOTTI ROMUALDO
Borgo San Donnino 1863
Nell’anno 1863 fu sindaco di Borgo San Donnino.
FONTI E BIBL.: G. Laurini, Borgo San Donnino e i suoi capi civili, 1927.

UGOLOTTI UGO
Parma 27 aprile 1888-Miraflores 27 luglio 1966
Figlio di Eugenio, eredits dal padre la passione per il giornalismo e l’amore per la carta stampata. Coso, al suo lavoro, che si svolse nell’ambito commerciale e industriale, aggiunse fin dai suoi primi anni di gioventØ una fervida attivitl pubblicistica. Il 24 maggio 1915, infiammato di amore patrio, parto per il fronte carsico, ritornandone, da ufficiale, a guerra ultimata. Riprese la vita civile occupandosi di rappresentanze commerciali e collaborando nello stesso tempo prima alla Gazzetta di Parma e poi al Corriere Emiliano. Negli anni 1924-1927 tenne la direzione del Corriere del Lunedo, settimanale complementare del Corriere Emiliano. Nel 1936 si trasfero in Africa Orientale e organizzs ad Addis Abeba un’azienda commerciale. Fu richiamato alle armi nel 1940. Prigioniero di guerra degli Inglesi, riusco a evadere dal campo di prigionia e a raggiungere l’Italia dopo circa due anni con un convoglio della Croce Rossa. Riprese servizio militare a Trieste, dove si trovava nel 1943, al momento dell’armistizio dell’8 settembre. Non volendo servire sotto la Repubblica di Sals e tanto meno sotto i Tedeschi, raggiunse l’Appennino parmense e, nella zona del monte Caio, prese parte attiva alla Resistenza, dirigendo, sotto il nome di battaglia di capitano Monti, il servizio radio di propaganda della brigata ivi operante. A liberazione avvenuta, assunse l’incarico di riorganizzare amministrativamente il distretto militare di Parma e opers come capo ufficio di amministrazione. Nel febbraio del 1947 l’Ugolotti si imbarcs per gli Stati Uniti: giunse a New Orleans e da lo in aereo si ports a Lima. Si attivs subito nel campo industriale e diede vita, pressochÄ dal nulla, a una industria di conserve alimentari. Al microfono di Radio Libertl, illustrs, nel corso di diciassette conferenze, tutte le regioni italiane, richiamando l’attenzione dei Peruviani sulle belezze dell’Italia e ridestando nel cuore dei connazionali l’amore per la patria lontana. Quelle fiamme nostalgiche trovarono poetica espressione nella sua composizione La nostra PRrma bela, musicata dal maestro Edgardo Egaddi, che vinse il Festival della canzone parmigiana svoltosi nel 1957 a Parma. Anche a coso grande distanza dall’Italia l’Ugolotti mantenne assai stretti e cordiali i rapporti con la cittl natale, che, nell’arco di vent’anni, si espressero attraverso l’assidua e costante collaborazione alla Gazzetta di Parma: con articoli di colore e corrispondenze dall’America latina (oltre duecento pezzi), ospitati in terza pagina,  con le note di politica e di costume per molto tempo raccolte, a firma L’osservatore, in una rubrica dal titolo Specola d’oltremare, con piØ di un centinaio di poesie dialettali, piene di accorata nostalgia, accolte nella pagina settimanale del lunedo Tutta Parma, e infine con la rubrica dal titolo La bottega dei ricordi, che venne ospitata nella prima pagina di cronaca della Gazzetta di Parma. Come poeta dialettale l’Ugolotti si guadagns un posto di tutto rispetto. Le sue poesie vernacole sono raccolte in quattro volumi: Do alen’ni d’or (uscito nel 1946, da Spaggiari), Quand al sol al s’volta indrÅ (Battei, 1958), Nostalgii pramzani (La Nazionale, 1961) e Al gioren l’Å drÅ fnir (La Nazionale, 1963).
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 29 luglio 1966, 4; Antologia poesia dialettale, 1970, 103; F.da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 569.

UGOLOTTI MANARINI GIUSEPPE
Castione Marchesi 1806/1882
Fu Podestl di Borgo San Donnino negli anni 1806, 1849 e 1882. k forse lo stesso che giuseppe Ugolotti.
FONTI E BIBL.: G. Laurini, Borgo San Donnino e i suoi capi civili, 1927.

UGOLOTTI SERVENTI GIUSEPPE
Parma 12 aprile 1877-1974
Figlio di Luigi e Zoruilina Bricoli. Proseguo e sviluppo l’attivitl ceraria che i suoi antenati avevano sviluppato a Parma a ridosso del Parco Ducale nel 1775. Con l’avvento dell’impiego dell’elettricitl e del conseguente inserimento nella lavorazione della cera delle prime macchine, diede vita a una produzione di tipo industriale che fece della Cereria Serventi una delle più  importanti aziende italiane del settore.
FONTI E BIBL.: Cento anni di associazionismo, 1997, 410.

UGONE, vedi UGO

UGONE MONOTIPO, vedi BODONI GIAMBATTISTA

UGONETO STEFANO
Parma ultimi anni del XIII secolo-post 1322
Fu Arciadiacono in Parma e scrittore. k ricordato da P.Zaccaria (f. 226 del tomo 1I, parte 1a, della Biblioteca di varia letteratura stran.): In altro Codice in pergamena della libreria del conte Carlo Pace in Tapogliano di Gorizia trovo uno Scrittore Italiano che manca con tanti altri nella Biblioteca mediae, et infime Latinitatis. Si ha in questo apparatus Domini Stephani Hugoneti Archidiaconi Parmensis Decretorum Doctoris super Constitutionibus Concilii Viennensis. L’autore, che si chiama Domni Papae Capellanus, indirizza la sua fatica Rev. in Xto Patri Domino suo praecipuo D.Bertrando Dei gratia Tit. S.Marcelli Presbitero Cardinali. Il cardinale Bertrando di San Marcello Å Bertrando di Porto o de Poyet o del Poggetto, Legato di papa Giovanni XXII in Italia nel 1317 con amplissima facoltl per sedare la ribellione degli Estensi e dei Ferraresi. Nel 1322 scrisse una lettera al canonico Ugolino de Rossi colla quale libers Parma dall’interdetto (Raynald., tomo 15I, Annal. eccles., f. 231). Il Concilio di Vienne, in Francia, si tenne nel 1311. Bertrando moro verso la metl del secolo.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 452-453.

UGOROSSI ANTONIO
Parma 1406 c.-post 1482
Figlio di Jacopo, fu anch’egli orefice. nell’anno 1471 cedette, anche a nome dei fratelli, una cappella posta nella chiesa di San francesco del Prato ai nobili Michele Garimberti, Pietro Golzate e Luca Bertani. Nel 1482 fu eletto membro del Consiglio generale di quell’anno nella squadra dei Rossi, dai quali la famiglia dell’Ugorossi traeva origine (Pezzana, Storia di Parma, IV, Appendice 34).
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 71.

UGO ROSSI GIACOMO o IACOBOa, vedi UGOROSSI JACOPO

UGOROSSI JACOPO
Parma 1380 c.-Parma 1449
Figlio di Antonio, di famiglia nobile. Fu orefice di professione. Due suoi notevoli lavori furono un grand’albero di rame, ed un bel tabernacolo reliquario pur di rame, oranto questo di oro, argento e pietre preziose e pel quale l’artefice promise nel 1416 al committente Frate Bartolomeo da Pignola dell’Ordine de’ Minori di Bologna che l’opera sua riescirebbe meritevole di ogni lode di qual si fosse orefice parmigiano. Durante il lavoro venne a morte frate bartolomeo, ma l’Ugorossi continus l’opera per suo conto sicchÄ dispose poi col suo ultimo testamento che l’albero fosse venduto dal vescovo di Parma per pagare i creditori (Pezzana, Storia della citl di Parma, tomo III, 214, nota 2, e 215, nota 1). L’Ugorossi Å ricordato in diversi atti notarili: 3 giugno 1412, Giacomo de Ugorubeis f. q. Antonio dello vic.a di S. Anastasio in un interrogatorio da esso lui subito dinanzi al Vicario Vescovile di Parma si viene in chiaro che la madre di Frate Ilario f. di Albertino de Garsis era sorella del padre di esso Giacomo. Frate Garsi era Priore della Casa ed Ospedale del Bosco, o S.Maria del Bosco dell’ordine di San Gio. di Gerusalemme. (rogito di Andriolo Riva nell’Archivio Notarile); 18 maggio 1419, Jacopo Ugorossi orefice parmigiano si obbliga di fabbricare un grand’albero di rame ed un bel tabernacolo o reliquario pur di rame tutto ornato (rogito di Nicols Zangrandi, Archivio Notarile di Parma); 16 luglio 1419, Presente d.Iacobo f. q.m d.ni Antonii de ugorubeis viciniae Sancti Anestaxii (rogitodi Govanni da SanLeonardo, Archivio Notarile di Parma); 14 novembre 1419, Testimonio Giacomo de’ Ugorubeis f. q. domini Antonii della vic.a di S.Anastasio di portanova (rogitodi Giovanni da SanLeonardo, Archivio Comunale); 9 luglio 1427, presente Jacobo de Ugorubeis aurifice vicinie sancti Anestaxii (rogito di Andriolo Riva, Archivio Notarile di Parma); 1449 il figlio Luchino, ancora minorenne di 25 anni, pers maggiore di quattordici, chiede al Vicario del Podestl un Procuratore che lo assista e lo rappresenti in giudizio. E passando ad enumerare le sostanze lasciate dal defunto genitore, si trova che possedeva molti terreni nella villa di Vigolante ed altrove, due case in Parma, in una delle quali, posta nella vic.a di S.Anastasio, visse colla sua famiglia, una bottega nella vic.a di S.Vitale sulla piazza commune corredata di tutti i ferri e gli arnesi da orefice, e infine godeva del patronato di una Cappella nella chiesa de’ frati di S.Francesco del prato (rogito di Gaspare Zampironi, Archivio Notarile di Parma).
FONTI E BIBL.: G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 461; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 70-72.

UGOROSSI UGOLINO
Parma 1407 c.-post 1471
Figlio di Jacopo, fu anch’egli orefice. k ricordato in due rogiti notarili: 20 gennaio 1459, Testamento del nobile e prudente uomo Ugolino de Ugorubeis nato dal fu nobile e prud.e uomo Giacomo citt.o abit.e nella vic.a di San Tiburzio, col quale istituisce suo erede universale Artem seu Universitatem Artis Fabrorum seu aurificum civitatis parme; lascia signora massaia ed usufruttuaria in tutti i suoi beni e vita natural durante dominam Angelam filiam Johannis Antonii de Zerlis, cum ipso testatore et in domo habitationis sue abitantem, prout facit et facere debet qualibet bona mulier casta et honesta; prevedendo pers il caso che dalla detta Angela gli potesse nascere un figlio o una figlia, in questo caso dispone che il nascituro debba essere il suo erede universale, fermo restando l’usufrutto dell’Angela surricordata. Dispone da ultimo che a detto usufrutto dopo la morte dell’Angela succedano il R.do don Bernardino e li nobili Pietro e Melchiorre de Ugorubeis tutti fratelli del testatore, e l’uno succeda l’altro, ed alla morte dell’ultimo d’essi l’usufrutto si consolidi allora colla proprietl in favore dell’arte degli Orefici sua erede universale come fu detto. (rogito di Galasso Leoni, Archivio Notarile di Parma); il 28 gennaio 1471 con altro rogito di Galasso Leoni, Antonio de’ Ugorossi, f. del fu Giacomo a nome de’ fratelli Ugolino, Niccols e Pietro de’ Ugorossi figli del fu ridetto Giacomo cede ai nobili Michele Garimberti, Pietro de Golzate e Luca de Bertanis una cappella posta nella chiesa di San Francesco del Prato a latere desuptus versus claustrum dicti Monasterii et in angulo dicte ecclesie versus plateale cui confinat ab capella heredum quondam Johannis de Pizzolis, ab plateale mediante muro.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli-Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 71-72.

ULGIBOSCH ANTON
Fiandre ante 1631-post 1683
Intagliatore e scultore fiammingo naturalizzato soragnese. Nel 1631 realizzs una ancona in collaborazione col falegname Andrea Lanci e nel 1633 un baldacchino processionale nella parrocchiale di Carzeto. Nel 1640 compils l’inventario degli arredi in San Rocco di Soragna e nel 1639-1641 costruo un grande tabernacolo dorato. Nel 1649 realizzs i candelieri per l’altare maggiore in San Giacomo a Soragna e nel 1653 quattro candelieri nella parrocchiale di Carzeto. Nell’anno 1660 Å ricordato per fature al sepolchero, eseguito in collaborazione collo spagnolo Girolamo Tomona, in San Giacomo a Soragna, nel 1672 per una tavoletta da altare nella parrocchiale di Diolo, nel 1674 per un acconto per una ancona, Portina e scalinata nella parrocchiale di Parola e nel 1683 per sette cornici da quadro in Rocca a Soragna.
FONTI E BIBL.: E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, v. V, 144; Colombi, 1975, 42, 152; P.Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, IX, 1822, 5; Il mobile a Parma, 1983, 255.

ULGIBOSCHI ANTONIO, vedi ULGIBOSCH ANTON

ULIVI GIACOMO
Baccanelli 29 ottobre 1925-Modena 10 novembre 1944
Nacque da Giulio e da Maria Luisa Fornari. Nel 1926 la famiglia Ulivi si trasfero a Roma, abitando una casa dell’Isola Tiberina. Quattro anni dopo, dietro invito del governo belga, il padre si recs a Bruxelles. Lo accompagnarono la moglie e l’Ulivi, che rimasero in Belgio fino al 1932. Ritornato a Parma con la madre, l’Ulivi compo in un triennio il ciclo di studi elementari presso la scuola Angelo Mazza (1932-1935). Nel 1935 venne iscritto come semiconvittore alla prima classe ginnasiale del Convitto Nazionale Maria Luigia di Parma. Nel 1940 supers con facilitl gli esami di quinta ginnasiale. Nell’autunno comincis a frequentare, sempre presso il Convitto Maria Luigia, la prima classe del Liceo classico. Nel 1942, con un anno di anticipo, affronts positivamente la maturitl classica: vivissimo fu in lui il desiderio di terminare presto gli studi per non essere piØ di peso alla famglia. Nell’autunno dello stesso anno si iscrisse alla facoltl di medicina e chirurgia dell’Universitl di Parma, ma dopo poche settimane di frequenza chiese il passaggio alla facoltl di giurisprudenza. Intanto l’Ulivi arrivs a una chiara posizione critica nei confronti del fascismo e di tutte le sue istituzioni. Il 15 agosto 1943 pubblics sulla Gazzetta di Parma un articolo dal titolo La libertl di stampa in un discorso di Cavour e nell’autunno dello stesso anno si incontrs frequentemente con diversi ex-condiscepoli del Maria Luigia e un gruppo di insegnanti antifascisti. Tra la fine di ottobre e i primi di novembre compo un primo viaggio a Bedonia per incontrarsi con partigiani locali. In novembre chiese al Comitato di Liberazione Nazionale di Parma di lavorare per la Resistenza: ricevette l’incarico di stabilire collegamenti tra i partigiani dell’Appennino parmense e quelli della provincia di Massa e Carrara. In un secondo viaggio si preoccups anche di far trasmettere agli Alleati, via radio, pressanti richieste di aiuti per i primi nuclei partigiani. L’11 febbraio 1944, dopo l’arresto di alcuni insegnanti e studenti antifascisti di Parma, con cui l’Ulivi era in contatto dall’autunno precedente, venne a sua volta arrestato nella casa di borgo Leon d’oro n. 1 e tradotto nella caserma della 80a Legione della G.N.R. Nel pomeriggio, dopo un breve incontro con la madre, riusco in modo rocambolesco, eludendo la sorveglianza dei guardiani, a fuggire e a riguadagnare la libertl. Il 13 febbraio 1944 venne nascosto nella casa di un amico a Cevola di Traversetolo. Il giorno dopo si trasfero a Modena, dove rimase otto mesi, ospitdel maresciallo dell’esercito Alessandro Bassi, abitante in via Castel Maraldo 7. Nell’estate 1944, l’Ulivi riusco finalmente a venire in contatto con esponenti della Resistenza modenese, da cui ricevette l’incarico di diffondere stampa clandestina. Partecips inoltre a qualche azione di sabotaggio nella zona di nonantola. Nel settembre ricevette dal comandante partigiano della Piazza di Modena l’incarico di recarsi a Parma per stablire collegamenti con i dirigenti della lotta partigiana della sua cittl. A Cevola si ferms per alcuni giorni presso la madre. Ritornato a Modena, si incontrs col vicecomandante del Comando Piazza e lo pregs di istradarlo verso le formazioni partigiane operanti sull’Appennino modenese. Il 30 ottobre 1944, all’uscita dall’Accademia Militare (sede del 42I Comando Provinciale della repubblica fascista) dove il maresciallo Bassi lo aveva fornito di documenti falsi, fu arrestato dalla Brigata Nera in via Farini e tradotto nelle carceri della stessa Accademia. Comincis la serie estenuante degli interrogatori, intervallati da crudeli sevizie, ma l’Ulivi non parls. Il 9 novembre 1944 i fascisti, per rappresaglia all’occupazione partigiana di Soliera avvenuta sei giorni prima, condannarono a morte tre prigionieri politici, tra i quali anche l’Ulivi. Il giorno seguente l’Ulivi, Emilio Po e Alfonso Piazza vennero fucilati dai fascisti sulla Piazza Grande di Modena. Alla memoria dell’Ulivi fu concessa la Medaglia d’Argento al valor militare, con la seguente motivazione: Diciassettenne prendeva parte alla lotta per la liberazione con tutto lo slancio dell’etl giovanissima brillando per la completa dedizione alla causa e lo sprezzo del pericolo. Arrestato una prima volta evadeva e si trasferiva a Modena dove riprendeva la sua intensa attivitl compiendo pericolosissime missioni di collegamento. Catturato nuovamente, sottoposto alle torture piØ atroci e raffinate le sopportava stoicamente senza nulla rivelare all’odiato nemico. Col corpo segnato dalle stigmate del martirio affrontava impavido e sereno il plotone di esecuzione. Esempio impareggiabile di amore ardente per la Madre Patria. A liberazione avvenuta, gli amici pubblicarono un volumetto di sue Lettere, che furono lodate da Benedetto Croce e che sono uno dei documenti piØ probanti della sua consapevole maturitl intellettuale.
FONTI E BIBL.: Molossi, Dizionario biografico, 1957, 149; Decorati al valore, 1964, 73; Lettere di Gacomo Ulivi, Modena, 1974, 15-17.

ULRICA GIOVANNI, vedi ULRICI GIOVANNI

ULRICI GIOVANNI
Colorno 1783/1793
Farmacista, fu pioniere del volo con aerostati. I primi lanci di globi volanti nel territorio di Parma furono tentati negli ultimi giorni del dicembre 1783, cioè alla distanza di tre mesi e mezzo dal primo esperimento pubblico dei fratelli Montgolfier e a circa un mese e mezzo dal primo lancio in Italia, avvenuto a Milano il 14 novembre a opera di Marsilio Landriani. Il 29 dicembre il macchinista di Corte, mattei, lancis da Colorno un pallone ad aria calda ma l’esperimento ands pressochÄ fallito. Il 31 dicembre, dal parco della deliziosa di Colorno, alla presenza della famiglia ducale regnante, l’Ulrici lancis un pallone ad aria infiammabile. L’aerostato, riempito di idrogeno ottenuto dalla limatura di ferro trattata con l’acido vitriuolico, si levs trionfalmente e velocemente tra la meraviglia e gli applausi dei presenti, sparo presto alla vista e fu ritrovato sette giorni dopo a Sissa, a circa sette miglia di distanza. Questi due primi esperimenti ebbero carattere privato e solo un ristretto numero di persone fu ammesso ad assistervi, tanto che cronache e giornali ne fanno appena cenno, con qualche confusione sui giorni di esecuzione.
FONTI E BIBL.: Parma Economica 5 1968, 41.

ULTRAMARINO GIACOMO, vedi PANIZZARI GIACOMO

ULUHOGIAN LEONE
Tadem 10 ottobre 1897-Parma 1964
Alla vigilia della prima guerra mondiale fu inviato dalla famiglia a compiere gli studi nel Collegio Armeno Moorat-Raphael a Venezia. Conseguita ivi la maturitl, mentre nel frattempo aveva perso gran parte dei familiari nel genocidio armeno del 1915, si iscrisse alla facoltl di Medicina presso l’Universitl di Padova. Dopo la disfatta di Caporetto, si trasfero all’Universitl di Parma, dove conseguo la laurea in Medicina e Chirurgia nel luglio del 1922 con il massimo dei voti. Comincis l’attivitl facendo molti interinati nella provincia di Parma, il che gli permise di conoscere bene i paesi dell’Appennino e di diventare appassionato cacciatore, passione che lo accompagns per tutta la vita insieme a quella per il calcio (giocs con il Parma A.S.) e per l’automobilismo (partecips con entusiasmo alle prime edizioni della Parma-Poggio di Berceto). La mancanza della cittadinanza italiana per molti anni gli impedo di prendere parte ai concorsi pubblici negli ospedali. Apro allora una Casa di cura a Bozzolo (Mantova), nel cui ospedale aveva prestato per un certo tempo la sua attivitl di chirurgo con grande successo. Nel 1933 sposs un’armena di Costantinopoli, Maria Sinan, che lo affiancs con dedizione per tutta la vita, anche professionale. Nel 1939 trasfero la Casa di cura a Parma, in via traversetolo: ebbe inizio per lui il periodo di lavoro piØ intenso e ricco di soddisfazioni. Durante la seconda guerra mondiale si prodigs nella cura di feriti e malati, accorrendo con la sua Topolino, che aveva attrezzato ad ambulanza, dovunque ci fosse bisogno di un intervento. Protesse e ports in salvo ebrei e ricercati, senza curarsi del rischio che questo comportava per lui e per la sua numerosa famiglia (ebbe cinque figli). Nell’immediato dopoguerra si recs a Parigi per una specializzazione in urologia. Continus poi la sua attivitl di chirurgo e urologo in Parma. Si spense all’etl di 67 anni a causa di una malattia tumorale.
FONTI E BIBL.: Uluhogian, notizie manoscritte.

UMBRICIUS LUCIUS SECUNDUS
Parma II/III secolo d.C.
Di origine libertina, figlio di Bettia Chrysis, moro a diciotto anni e nove mesi d’etl. k documentato in un’epigrafe postagli dalla madre. Umbricius Å nomen etnico, che rimanda a un’origine geografica remota. In cispadana si rileva un altro L.Umbricius Secundus. Secundus Å cognomen comunissimo, diffuso dappertutto.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 183.

UMILE DA PARMA, vedi CATTANI LORENZO

UNGHERIA, vedida UNGHERIA

URBANI GIAN ALBERTO o GIOVANNI ALBERTO, vedi SANSEVERINO SIMONE GIOVANNI ALBERTO

URBANO
Parma 366/381
Fu Vescovo di Parma probabilmente gil dal 366. Semiariano e scismatico, fu un seguace dell’antipapa Ursino (o Ursicino). Che anche Urbano fosse un seguace di Ursino appare dalla lettera del Concilio Romano agli imperatori Graziano e Valentiano (fine del 378) e dai piØ Å qualificato come ariano e seguace di Ursino (Mercati, Magani). Sta di fatto che i padri del Concilio Romano con la loro lettera intesero informare gli Imperatori circa i condannati della fazione di Ursino, i quali ritenevano abusivamente le loro chiese benchÄ fosse stato loro ordinato di sottoporsi al giudizio dei vescovi in virtØ di ubbidienza. Dopo avere narrato la storia della ribellione di Ursino, che aveva provocato lo scisma, aggiungono: furor Ursini qui honorem arripere est conatus indebitum; vestrae clementiae relegatus Ursinus, per eos quos illicite ordinavit, vilissimum quemque occulte licet sollicitare conatur: eoque exemplo nonnulli episcopi qui male ecclesiis incubant, usu temeritatis suae et profani conspiratione contemplus ne adquiescant Romani sacerdotis judicio, lacessunt, ita ut etiam qui se intelligunt pro meritorum suorum ratione damnandos vel damnatos esse viderunt, redempta vulgi multitudine, judices suos terrore mortis exagitent, contemptisque cognitoribus fugatis, illicitum obtineant sacerdotium. Id circo statuti imperialis non novitatem, sed firmidinem postulamus. indignum quippe est ut conventus quisque adhibita manu eo sit munitior, quo flagitiosior fuerit. A questo punto i padri del Concilio citano alcuni casi particolari: Sicut Parmensis episcopus dejectus judicio nostro ecclesiam tamen retinet impudenter. Damnatus aeque Florentius Puteolanus. Da cis appare che Urbano fu un seguace di Ursino, capo di quel partito, detto dei rigoristi, dal Papa dichiarato scismatico. Gli imperatori Graziano e Valentiniano non tardarono di inviare un rescritto al vicario Aquilino rinfacciandogli la mancanza di energia verso gli ursiniani. Vi si stabilisce di trattenere con la forza Ursino nella Gallia perchÄ non determini nuovi moti e di allontanarne i seguaci. Di Urbano Å detto: Non bene capiti consultum, si quid turbarum vesanus agitaverit, Parmensis episcopus, eo perniciosior, quod inclytae urbi magis proximus et imperitorum multitudinem magis exagitat et ecclesiam, de qua judicio sanctorum praesulum dejectus est, inquietat: inanem videlicet gloriam sententiae gravioris expectans: quem si quid decessor tuus devoti vigoris habuisset, protinus ultra fines debuisset extrudere. Il nome di Urbano appare anche nell’opera Specimine et commentario Maximini Ariani episcopi in synodum aquilejensem (anno 381), nella aggiunta pubblicata per la prima volta alle opere di sant’ambrogio: Denique ut Urbani Parmensis episcopi ceterorumque causas praetermittamus, certe leontium Salonitanum, ex ejus audistis mandato, ambitus gradus sacerdotalis ut reum detexistis et quomodo a vobis detectum ipse in communione sine vestro reatu suscepit, sicuti id tempore conspirationis vestrae apud Aquilejam idem cum spe etiam apud vos reparationis illo advenisse publicis auribus intimasse cognoscitur. Il passo Å importante sia perchÄ Å l’unico documento che ne ricordi esplicitamente il nome sia perchÄ rivela che anche dopo la sua deposizione dimors in Parma. Circa il tempo dell’episcopato di Urbano a Parma, Å necessario fare alcune considerazioni. Papa Damaso, eletto nel 366, si trovs immischiato subito nella lotta personale con Ursino, suo competitore, e con i suoi adepti, nonchÄ in quella generale contro gli ariani. Nell’anno successivo tenne un concilio nel quale condanns i vescovi ursacio e Valente, i capi della fazione ariana, e annulls gli atti del concilio di Rimini, perchÄ affetto di eresia. Atanasio nella lettera agli Africani si congratuls con Damaso e insistette perchÄ fosse altreso condannato Aussenzio, vescovo di Milano. La condanna fu nominalmente pronunciata nel concilio di Roma del 369, ove, insieme a lui, furono condannati parecchi altri vescovi ariani ed eretici. SicchÄ tutto lascia credere che Urbano, dipendente dal metropolita di Milano, sia stato deposto in quel concilio. Se si osserva ancora che Urbano fu un seguace di Ursino e si scontrs con  Damaso nel 367, pus ragionevolmente supporsi che fosse gil Vescovo, anche perchÄ non Å credibile che, eletto da Damaso e, dopo due anni appena deposto, si desse a seguire l’avversario Ursino. Per queste considerazioni si pus stabilire che Urbano fu vescovo di Parma almeno da prima del 366 e fino al 381.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Vescovi della Chiesa Parmense, 1936, 28-36; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 237.

URSINI LUCIO
Roma-Parma 31 luglio 1630
Dimors fin dall’adolescenza a Parma. Entrs nella Compagnia di GesØ, si laures e fu introdotto alla Corte del duca Ranuccio Farnese e poi del figlio Ottavio. Moro durante l’epidemia di peste.
FONTI E BIBL.: P. Alegambe, Heroes Societatis Jesu, 1658, 303-304.

URSUS
Fornovo 854
k il primo arciprete di Fornovo di cui si abbia memoria. k ricordato per aver sostenuto tenacemente di fronte alle autoritl civili e religiose il diritto della pieve di Fornovo a percepire le decime di monte Spina, localitl inclusa a torto, secondo il suo parere, nel territorio della pieve di Varsi. Ebbe, comunque, un verdetto sfavorevole.
FONTI E BIBL.: L. Merusi, Fornovo di Taro, 1993, 63.

USARIO LISIADE, vedi PEZZANA GIUSEPPE

USBERTI GIUSEPPE
Parma o Fontanellato 1829
Fu membro della III riunione degli scienziati italiani.
FONTI E BIBL.: I. CantØ, Italia scientifica, 1844, III, 155; F.da Mareto, Indice, 1967, 927.

USBERTI VINCENZO
Parma 1828/1856
Laureato in teologia, si impegns nella costruzione di un asilo e fu parroco di San Michele dell’Arco (1828-1856) in Parma.
FONTI E BIBL.: L. Farinelli, Il carteggio Zani, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1986, 375.

USIGLIO EMILIO
Parma 8 gennaio 1841-Milano 8 luglio 1910
Nato da famiglia israelita. Avviato agli studi musicali a cinque anni con G.Barbacini (pianoforte), fu poi allievo a Borgo San Donnino di G.Rossi (armonia), quindi a Pisa di C.Romani e infine a Firenze di Teodulo Mabellini (contrappunto e composizione). Esordo come compositore teatrale a Torino (Locandiera, Teatro Vittorio Emanuele), appena ventenne. Come direttore d’orchestra ottenne fama soprattutto per l’interpretazione di opere verdiane, ma legs il suo nome anche alla ripresa, con innovazioni, del Mefistofele di Boito (Bologna, 1875) e alle prime italiane di Hamlet di Thomas (Venezia, 1876) e di Carmen di Bizet (Napoli, 1879). Apprezzato anche all’estero, perdette la fiducia degli impresari teatrali soprattutto perchÄ alcolizzato (dests scalpore a Perugia, l’improvviso abbandono delle recite di Aida nel 1874). Affetto anche da sorditl, fu costretto a dirigere in teatri minori e smise di comporre. Trascorse gli ultimi quindici anni di vita a Milano, in ritiro e pressochÄ estraneo alla musica. La moglie, Clementina Brusa, rinomata cantante, lascis al Conservatorio di Parma una somma per l’istituzione di un premio intitolato all’Usiglio e da assegnare, con concorso triennale, a un autore italiano di opere comiche. L’Usiglio fu infatti anche poeta umoristico e satirico e il continuatore e l’ultimo esponente (sulla scia di Ricci, Ferrari, Rossi, De Gioiosa) della tradizione dell’opera buffa, che cercs di ricondurre allo spirito e alla vitalitl originari. Gli schemi formali, il linguaggio armonico e l’orchestrazione delle sue opere erano volutamente antiquati e si riallacciavano ai modelli rossiniani, facendosi pers col tempo sensibile nel suo stile una certa inclinazione verso l’operetta, che andava allora affermandosi e che fino col soppiantare nei favori del pubblico le sue opere, le quali, pure, godettero per alcuni anni di una certa popolaritl, in virtØ della loro piacevole invenzione melodica e della autentica e spiritosa vivacitl. Di autentica allegria, di aggraziato melodismo e di un certo calore Å permeato un suo spartito che, eseguito per la prima volta al Teatro Alfieri di Firenze nel 1868, tenne cartello a lungo nei teatri italiani: Le Educande di Sorrento, considerata l’opera meglio riuscita dell’Usiglio insieme con Le Donne curiose. Gil cavallo di battaglia del celebre buffo Baldelli, Le Educande varcarono il secolo XIX (nel 1911 furono rappresentate anche a Berlino). L’Usiglio compose le seguenti opere teatrali: La locandiera (libretto G.Barilli, da Goldoni; Torino, 1861), L’ereditl in Corsica (Milano, 1864), Le educande di Sorrento (R.Berninzone; Firenze, 1868; rappresentata anche col titolo La figlia del generale; versione tedesca Berlino, 1911), La scommessa (B.Prado; Firenze, 1870), La secchia rapita, in collaborazione con C.Bacchini, E.De Champs, R.Felici, G.Gialdini e G.Tacchinardi (A.Anelli, da Tassoni; Firenze, 1872), Le donne curiose (A.Zanardini, da Goldoni; Madrid, 1879), Le nozze in prigione (A.Zanardini, da La mariÄe du mardi gras di Labiche; Milano, 1881) e La guardia notturna ossia La notte di San Silvestro (non rappresentata). Inoltre realizzs musica da camera, balli e romanze.
FONTI E BIBL.: G.Monaldi, Ricordi viventi di artisti scomparsi, Campobasso, 1927; M.Ferrarini, Emilio Usiglio, in Aurea Parma 1938; M.Tartak, in GROVE; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 149-150; recensione della Scommessa, in Nuova Antologia agosto 1870; A.Galli, Emilio Usiglio, in Teatro Illustarto, 12 1881; A.Iraci, Rinascita del Morlacchi perugino, in La Scala ottobre 1955; Enciclopedia dello spettacolo, IX, 1962, 1363; Dizionario Ricordi, 1976, 676; M.Mariani, in Dizionario dei musicisti UTET, VIII, 1988, 137.

UTTINI LUIGI
Parma 27 agosto 1869-Fontanigorda 4 settembre 1941
Figlio di Giacinto e Adelaide Silva. Nato da una modesta famiglia operaia, inizis assai presto a lavorare in una stamperia, dove apprese il mestiere di tipografo. Continuando per proprio conto gli studi (per avere maggiore disponibilitl di tempo, lascis la stamperia e divenne commesso in un ufficio di assicurazioni), riusco a conseguire la laurea in giurisprudenza presentando la tesi Il fondamento storico, etico e giuridico della proprietl collettiva. La sua adesione al socialismo risale all’epoca degli studi universitari, favorita dall’insegnamento del Laghi, del quale le carte di polizia lo definiscono vittima. Svolse attiva propaganda tra gli studenti e fonds il primo circolo socialista universitario, di cui fu presidente. Il 25 aprile 1894 usco il primo numero di un quindicinale da lui diretto, I Nuovi Goliardi, organo degli studenti socialisti di Parma: fu un’esperienza breve, che cesss nel luglio dopo soli sei numeri, ma su cui conversero l’attenzione e la collaborazione di noti dirigenti socialisti (Andrea Costa ed E.Ferri a esempio) e di illustri esponenti del mondo culturale (quali A.Graf o E.De Amicis). Durante tutta la sua permanenza a Parma l’Uttini parve collocarsi su posizioni antiriformiste, che trovarono alimento dapprima nell’ambiente studentesco e ancor piØ in seguito nel quotidiano contatto con i braccianti del Parmense, di cui fu infaticabile organizzatore. Rappresentante delle organizzazioni della provincia, partecips al I Congresso nazionale delle leghe contadine, tenutosi a Bologna nel dicembre 1901, nel quale sostenne la necessitl di escludere i piccoli proprietari dalla costituenda Federterra e propose per essi una struttura separata di tipo cooperativo. Nel 1904 fu tra i principali organizzatori dello sciopero generale del settembre, alla testa dei dimostranti che si raccolsero in segno di protesta davanti alla sede della Camera del lavoro, e venne, una settimana dopo, condannato a 3 mesi e 22 giorni di detenzione. Nel settembre 1897 partecips a Bologna al V Congresso nazionale socialista, dove intervenne su questioni amministrative. Collabors negli anni successivi al settimanale L’Idea, organo della federazione socialista parmense, che inizis le pubblicazioni nel maggio 1900. Fu delegato al Congresso nazionale di Imola nel settembre 1902 e il 19 aprile 1903, al congresso provinciale tenutosi a San Secondo Parmense nel quale tenne la relazione sull’organizzazione sindacale, fu designato membro del comitato federale. Eletto consigliere comunale di Parma nel 1902, l’anno successivo venne espulso dal partito per avere votato a favore di stanziamenti per il Teatro Regio ma venne riabilitato e riammesso dopo pochi mesi. Ancora candidato alle elezioni politiche del 1904, fu sconfitto per soli tre voti dai due avversari, il moderato Cardani e il repubblicano Olivieri. Nel luglio 1905 rassegns le dimissioni dalla direzione dell’Idea per dissidi con i compagni di partito, dimissioni che vennero accolte dalla federazione. Trasferitosi a Genova nel maggio 1906, svolse la profssione di avvocato e continus la milizia socialista. Membro della commissione esecutiva della sezione genovese dal gennaio 1908, venne eletto nello stesso anno consigliere comunale. In questa cittl l’Uttini modifics progressivamente le proprie posizioni, sino ad allinenarsi con l’ala piØ a destra del riformismo genovese e a dichiarare, nel marzo 1923, di non volere assolutamente alleanze, o semplici contatti, cogli altri partiti estremi. Nell’agosto 1912 appoggis L.Calda quando questi si dimise dal partito in segno di solidarietl con i compagni espulsi al congresso di Reggio Emilia e di lo a poco adero al Gruppo socialista autonomo costituitosi a Genova per iniziativa dello stesso Calda e di P.Chiesa.Lo scoppio del primo conflitto mondiale vide l’Uttini, con gli altri autonomi, schierato a favore dell’intervento. Dopo Caporetto, a seguito dell’iniziativa di G.Canepa per la costituzione dell’Unione socialista italiana cui aderirono socialisti di ogni tendenza uniti nella piattaforma della difesa nazionale, si costituo anche a Genova una sezione dell’Unione Socialista Italiana, di cui l’Uttini nel gennaio 1918 venne eletto segretario. Il gruppo si presents da solo alle elezioni politiche del 1919 (io sarei per l’unione di tutti i veri socialisti ma pregiudiziale deve essere la lotta contro il bolscevismo straniero e italiano) con la lista del Partito del lavoro, nella quale l’Uttini fu candidato insieme a Canepa, G.Lerda e G.Giulietti. Nel dicembre 1922, in seguito alla fusione dei gruppi autonomi genovesi con la locale sezione del Partito Socialista Unitario da poco costituitasi, l’Uttini divenne segretario della nuova sezione socialista unificata e nel mese successivo venne eletto membro del comitato regionale del Partito Socialista Unitario. Apertasi la campagna elettorale del 1924, nel gennaio l’Uttini fu costretto a difendersi a colpi di pistola da un’aggressione fascista nel corso di una conferenza privata tenuta dal deputato E.Gonzales: fu a Genova il primo grave episodio di intolleranza, durante il quale vennero feriti lo stesso Gonzales e V.Faralli. Alla riunione del consiglio nazionale del partito tenutasi il 2 e 3 febbraio a Roma l’Uttini sostenne comunque, con F.Turati, C.Prampolini e Canepa, la tesi astensionista. Con l’entrata in vigore delle leggi eccezionali, alla fine del novembre 1926 l’Uttini venne assegnato al confino nel Comune di Matera per la durata di undici anni. Liberato il 15 dicembre 1927, torns a Genova dove non svolse piØ attivitl politica, pur continuando a professarsi socialista. Per molti anni consulente legale della Camera del lavoro e di varie federazioni di categoria prima del 1926, ricopro anche numerose cariche in seno alle organizzazioni associative genovesi, dalla presidenza del Consorzio cooperativo di consumo, all’amministrazione della Banca ligure, alla presidenza della Cooperativa Teatro del Popolo, che i socialisi unitari promossero a Genova nel 1923.
FONTI E BIBL.: Il Lavoro 1919-1924; B.Riguzzi, Sindacalismo e riformismo nel Parmense, Bari, 1931; G.Perillo, Le elezioni politiche del 1924 in Liguria, in Movimento Operaio Socialista 6 1955; Alfa (Perillo), I partiti della classe operaia e le elezioni politiche in Liguria fino al 1924, in Movimento Operaio Socialista 3-4 1958; Perillo, I Comunisti e la lotta di classe in Liguria negli anni 1921-1922, in Movimento Operaio Socialista 3-4VIII, 1962; Lotte agrarie in Italia. La Federazione nazionale dei lavoratori della terra 1901-1926, a cura di R.Zangheri, Milano, 1960; Perillo, I Comunisti e la lotta di classe in Liguria (novembre 1922-novembre 1926), in Movimento Operaio Socialista 1 e 2-31971; O.Bevegni, in Movimento Operaio Italiano, V, 1978, 154-156.

UTTINI LUIGIA
Saliceto Piacentino 1787-1851
Fu moglie (1812) di Carlo Verdi e madre di Giuseppe.
FONTI E BIBL.: E.Ottolenghi, La madre di Verdi, in Bollettino Storico Piacentino 35 1940, 65-67; S.Fermi, Ancora della madre di Verdi e di alcuni membri della famiglia Uttini di Saliceto Piacentino, in Bollettino Storico Piacentino 36 1941, 72-76; Onoranze alla madre di Giuseppe Verdi, in Bollettino Storico Piacentino 41 1946, 62-63; A.Rapetti, Molte ragioni per sostenere che Verdi Å anche un po’ nostro, in Libertl 27 dicembre 1950; F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 1104.


 

 
 
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