Fino al 27 dicembre 2021 con l'esposizione del dipinto di Pablo Picasso "Femme sur un fauteuil" (olio su tela, 1962) con cui si conclude il progetto espositivo "I Quadri di Pietro. Capolavori dalla Collezione Barilla d'Arte Moderna", dopo l'esposizione di opere di James Ensor e Alberto Savinio, Atanasio Soldati, Chaim Soutine, Max Ernst, Giorgio Morandi, Fernand Léger, Renato Guttuso e Jean Dubuffet.

la

prima tela della grande collezione d’arte di Pietro

BarillaEgli si recò a Bologna per conoscere l’artistanel 1957 dopo aver ammirato una sua natura mor

Di fronte a noi abbiamo una fotografia del sentimento un ritratto intimo di una relazione d’arte e di vita, una pagina biografica dell’intensa storia tra Picasso e la giovanissima Jacqueline, incontrata nell’atelier di ceramica Madoura a Vallauris, nell’estate del 1952. Due anni dopo, nel giugno del 1954, la ragazza concede all’artista di ritrarla e inizia la storia che li vede insieme come coppia tre mesi dopo. 

Essa diviene così la sua musa ispiratrice per gli ultimi vent’anni di vita, mutando la sua forma, non una, ma ben 400 volte: tanti sono i suoi ritratti realizzati dall’artista. Lei è il perno dell’“époque Jacqueline” in cui la figura dal lungo collo e dal profilo pronunciato viene ripetuta senza mai avere la stessa forma e la stessa sostanza: diventa ceramica, scultura, incisione e disegno talmente tante volte da divenire quasi un simbolo. Ma non si carica però di significato; essa rappresenta l’oggetto di una perpetua e continua ricerca del senso del segno artistico e della sperimentazione estetica.

Questo quadro, come la quasi totalità delle opere realizzate nella maturità, reca una data precisa (con giorno, mese e anno), quasi a voler fissare il tempo con delle istantanee della propria esistenza. Si va così componendo un’autobiografia dell’artista, quasi un film composto di fotogrammi quotidiani. E in questa storia personale entra Jacqueline qui ritratta con uno stile che sarà predominante solo a partire dal ’64 quando il

Cubismo di sintesi di Picasso si arricchisce di segni calligrafici codificabili e prende forma attraverso una tecnica pittorica fatta di pennellate fluide, violente, piene. Questi elementi contribuiscono qui a creare un’opera intima, illuminata da una luce tagliente e diretta, quasi come quella di una candela che squarcia il buio. Diventano evidenti i riferimenti agli artisti che l’Autore più sente vicini in questo momento: Velásquez, proprio per la composizione cupa, e Van Gogh, per il taglio della figura. Questo quadro non rappresenta un punto di arrivo (che per altro non esiste nel percorso dell’artista andaluso) ma solo una delle tante sue tappe.

Il progetto espositivo “I Quadri di Pietro. Capolavori dalla Collezione Barilla d’Arte Moderna” ha proposto l'esposizione di dodici opere, tra quelle più amate da Pietro Barilla, esposte a cadenza mensile nelle sale della Pinacoteca Stuard per raccontare, attraverso il pennello di grandi Maestri, la passione di una vita, vissuta all’insegna dell’eccellenza.

Il progetto, curato da Giancarlo Gonizzi, è voluto e organizzato dal Comune di Parma e dalla Famiglia Barilla.


Pietro Barilla nasce a Parma il 16 aprile 1913. Dopo la licenza media completa la sua esperienza con due anni di studio in Germania. Dal 1931 affianca il padre in azienda occupandosi delle vendite e della comunicazione. Dopo aver preso parte alla Campagna di Russia, e con la fine della guerra, guida l’azienda assieme al fratello Gianni in una fase di sviluppo e innovazione tecnologica comprendente la costruzione dello stabilimento di Pedrignano, entrato in funzione nel 1969. Dal 1980 fino alla sua scomparsa, il 13 settembre 1993, porterà la Barilla a un forte sviluppo anche nei mercati europei. 

L’amore per la cultura, e in particolare per l’arte, aveva accompagnato da sempre la sua attività imprenditoriale. Dagli anni del dopoguerra, il supporto di Pietro Barilla alla vita culturale parmigiana è stato rilevante, a fianco di personaggi come Attilio Bertolucci, Pietro Bianchi, Erberto Carboni, Carlo Mattioli, Roberto Tassi.

Come galleria d’arte utilizza gli uffici e il prato che circonda lo stabilimento di Pedrignano viene impreziosito negli anni da sculture, come il monumento “Campi di grano”, di Pietro Cascella, posato nel 1982 per ricordare i 100 anni di lavoro dell’Impresa.

Chi cammina oggi per gli uffici può godere di una mostra permanente composta da oltre 300 opere, selezionate personalmente da Pietro Barilla, che abbracciano la storia dell’arte del Novecento, toccando correnti e movimenti artistici dal Divisionismo al Surrealismo, integrando pittura e scultura in un mix di grande intensità.

E pensa che io non sono un collezionista – ebbe modo di affermare Pietro in una intervista – ho sempre cercato le opere d’arte perché mi sentivo attratto, perché capivo che racchiudevano un significato e un messaggio non solo per me, ma anche per gli altri, e io lo dovevo condividere”.

La scelta di un’opera rappresentava per Pietro, oltre che una gioia profonda, anche l’occasione di nuovi rapporti, spesso destinati a trasformarsi in amicizie durature capaci di lasciare “traccia” anche nel tessuto della collezione.

Artisti come Burri, Cascella, Guttuso, Maccari, Manzù, Marini, Mattioli, Morandi, Morlotti, Pomodoro, Vangi, sono rappresentati con un numero cospicuo di opere distribuite nel tempo ed in grado di raccontarne in sintesi la parabola artistica.

Dotato di una felice predisposizione per il bello, Pietro Barilla ha costituito negli anni un ordinato racconto di arte, aiutato anche dall’amico e critico parmigiano Roberto Tassi (1921-1996), curatore della esposizione che volle organizzare alla Fondazione Magnani Rocca nell’aprile 1993 in occasione dei suoi ottant’anni.

Tra le tante opere della Collezione compaiono dipinti di Chagall, De Chirico, Ernst, Picasso, Sutherland e sculture di Moore, Rodin e di altri grandi Maestri dell’arte moderna.

Quanto contasse l’arte nella sua vita di imprenditore è lui stesso a dichiararlo in un’altra intervista:

L’arte … è il mio orizzonte e il mio respiro, mi dà calore e mi fa guardare in avanti. L’arte non racconta solo il presente, i nostri bisogni, le nostre necessità pratiche. È infinitamente più ricca, descrive la nostra anima in tutta la sua complessità, i suoi tormenti, i suoi dubbi, la sua fede, le sue aspirazioni. Mostra come vorremmo vivere, ciò che vorremmo essere. Ci ricorda ciò che possiamo diventare. L’arte è una strada che tracciamo davanti a noi, una strada di perfezione, un insegnamento, un monito, un comando, una chiamata.

Io però non ho mai cercato solo l’oggetto d’arte, ho desiderato anche il rapporto con gli artisti, che mi hanno sempre trasfuso il gusto della creazione e, nello stesso tempo, il bisogno di perfezione. E sembrerà forse strano, ma da loro ho anche imparato a guardare il mondo con occhi ingenui, stupiti, con una stupefacente semplicità. Soprattutto dai pittori e dagli scultori. Attraverso di loro vedi cose che non vedevi e cose che anche gli altri non vedono o dove gli altri non sono ancora arrivati. L’opera d’arte, allora, non ci rappresenta come siamo, ma come vorremmo essere, non risponde alle domande di oggi, ma a quelle del tempo che verrà”.