Istituzione delle Biblioteche del Comune di Parma
Storia di ieri: Gli anni di Guido Picelli in Unione Sovietica

di Elena Dundovich


La Rivoluzione d’Ottobre, e il suo fascino sulle  giovani generazionidi militanti comunisti, socialisti e anarchici, e l’ascesa del fascismo, con gli scontri del biennio rosso e la marcia su Roma del 1922, furono determinanti nel creare le condizioni per la formazione in Unione Sovietica di un’emigrazione politica italiana dai tratti sempre più stabili (1).

Il processo migratorio vero e proprio si concentrò negli anni compresi tra il 1921 e il 1933
(2): finita la guerra civile tra le forze controrivoluzionarie e i bolscevichi, con la vittoria di questi ultimi, il sogno da tanti nutrito in una società più giusta e solidale sembrò prossimo a realizzarsi; la presa del potere da parte di Mussolini rese urgente la necessità di far uscire dal Paese quanti venivano perseguitati dal regime per le proprie idee politiche. Una scelta che si fece ancor più necessaria dopo la promulgazione delle leggi fascistissime e la fine, in Italia, di ogni libertà di opinione e di espressione.

In quel decennio furono approssimativamente tra i 400 e i 500 gli italiani che, lasciata l’Italia, giunsero in Unione Sovietica e vi si stabilirono
(3). Alcuni erano perseguitati per le proprie opinioni, altri, ricercati per reati politici, erano riusciti a sottrarsi all’arresto ed erano stati processati in contumacia; altri ancora, catturati e poi condannati dal Tribunale Speciale, una volta scontata la pena avevano scelto la via dell’esilio per sottrarsi all’ostracismo che li circondava in Italia (4). Quasi i due terzi erano iscritti al PCd’I (5) (di cui molti avevano ovviamente un passato socialista), il 10 per cento erano membri del PSI e altrettanti erano gli anarchici mentre gli altri erano genericamente antifascisti senza un’appartenenza precisa ad alcun partito.

Guido Picelli fu un rappresentante tipico di quella generazione di militanti comunisti costretti a lasciare l’Italia: nato a Parma, il 9 ottobre 1889, più volte arrestato per la sua attiva militanza prima nel PSI, per cui fu eletto anche deputato, e poi nel PCI all’epoca del biennio rosso (nell’agosto del 1922, al comando di 400 Arditi del popolo, sconfisse, dopo giorni di scontri a fuoco, gli squadristi di Italo Balbo), Picelli lascia l’Italia nel 1932. Francia, Svizzera, Lussemburgo, Germania, Belgio e poi ancora i Baltici o il Mare del Nord sono le usuali tappe del lungo viaggio degli esuli. Un pellegrinaggio verso l’ignoto fatto di marce estenuanti, passaporti contraffatti, la continua angoscia di essere catturati al momento di attraversare illegalmente le frontiere, aiutati dal partito o dal Soccorso Rosso Internazionale che sostiene le vittime della reazione fascista
(6), impressi nella memoria alcuni nomi e recapiti di compagni a cui fare riferimento nei luoghi di arrivo. Nel cuore l’ansia di un futuro sconosciuto, la commozione per gli affetti lasciati, la consapevolezza dell’esperienza unica che li attende e di cui essi saranno in qualche modo coprotagonisti al fianco dei grandi capi della Rivoluzione d’Ottobre e del popolo sovietico.

È così anche per Picelli che lascia l’Italia prima per la Francia, nel febbraio 1932, poi per il Belgio, da dove nell’agosto, passando per Berlino, partirà alla volta di Mosca con un falso passaporto spagnolo
(7). Qui giunge il 26 agosto del 1932 (8) e vi rimarrà insieme alla moglie, seppur con alcuni intervalli e brevi missioni in alcuni Paesi europei, sino al 29 settembre del 1936 (9) quando ritornerà in Francia e da lì in Spagna per combattere nelle Brigate Internazionali (10)

Picelli arriva in Urss con lo scopo di seguire un corso di addestramento all’Accademia Militare
(11) ma, per ragioni non note, ciò non accade (12). Trova inizialmente lavoro come operaio insieme ad altre maestranze italiane alla fabbrica di cuscinetti a sfera“Pervyj Podšipnikovyj Zavod imeni Kaganovic” (o“I GPZ”)(13), costruita a Mosca tra il 1930 e il 1932 dalla società italiana RIV di Villa Perosa di proprietà della FIAT (14). Poi, grazie alla raccomandazione di Luigi Longo, detto Gallo (15), insegna, come del resto molti altri quadri medi del partito, alla Scuola leninista (16), occupandosi di strategia e tattica militare, incarico non del tutto secondario che tiene sino al 9 ottobre del 1934 (17). Nel 1933, con il consenso dei dirigenti del PCI che si trovano a Mosca (18), chiede di iscriversi alla VKP(b) (19).

Chiuso il periodo di insegnamento alla scuola leninista, Picelli lavora per un certo periodo al Komintern, ed è membro del Comitato direttivo del Club degli Emigrati politici di Mosca incaricato di seguirne l’attività teatrale, sua grande passione
(20). Il Club, la cui sede principale era nella capitale ma che aveva filiali anche in molte altre città sovietiche, era un punto di riferimento sociale e politico estremamente importante per gli emigrati italiani. Il club moscovita teneva i contatti con il gruppo dirigente del partito, prima in Italia e poi in Francia dopo il 1926, illustrava le decisioni prese dalla VKP(b) e dal governo sovietico, favoriva le occasioni di incontro comune e le riunioni in cui i temi del momento potevano essere spiegati e discussi in italiano. Il Club di Mosca e i gruppi a esso affiliati non erano solo luogo di incontro politico o di ritrovo ma svolgevano anche alcune mansioni di carattere organizzativo: tenere i contatti con i direttori delle scuole di partito e il PCI per organizzare i gruppi di studio italiani, suggerire al Comitato esecutivo del PCI come calibrare l’invio di nuovi italiani a seconda dei posti liberi disponibili nelle scuole, proporre i nomi dei compagni che potevano essere fatti rientrare in Italia o perché finito il corso o perché amnistiati. Infine, e non era certo una funzione irrilevante, il Club garantiva l’iscrizione degli emigrati italiani al partito comunista bolscevico (21).

Nel marzo del 1935, conclusasi, per ragioni non chiare, anche l’esperienza al Comintern e chiuso il Club, Picelli, angustiato dalla prospettiva di tornare a lavorare in fabbrica, scrive a Togliatti una prima lettera accorata:

Compagno Ercoli, avevo chiesto di fare un lavoro per cui sento una maggiore attitudine e nel quale mi sento a posto più che in qualsiasi altro. – la fabbrica fu per me una soluzione provvisoria. Dopo il licenziamento dalla Leninista avvenuto in un modo molto singolare e quello più recente dal Comintern, sono indotto a pensare che taluno mi ritenga incapace e che l’esperienza della guerra e quella della guerra civile non mi abbiamo servito a nulla. Ho chiesto perciò al Partito un giudizio deciso sul mio conto, a proposito di questo particolare lavoro. Non so ancora nulla, a meno che la risposta avuta ieri sera dal compagno Roasio, voglia significare che io non ho effettivamente le capacità necessarie per questa branca di lavoro. Così dicasi anche per la soluzione da me posta pochi giorni fa […] Ritornare in fabbrica non sono disposto anche perché le mie condizioni di salute non me lo consentono. Come è facile comprendere l’attuale mia situazione è una delle peggiori […](22).


E ancora, dopo pochi giorni, una seconda missiva rivolta sempre al capo del PCI ormai prossimo a essere eletto uno dei segretari della Terza Internazionale:


Compagno Ercoli, ho atteso invano una risposta precisa alle quistioni poste a voce e per iscritto nella mia precedente e cioè: soluzione per una nuova sistemazione a Mosca in base alle mie attitudini e fiducia o meno da parte del partito nei miei riguardi in materia militare. Posso interpretare questo atteggiamento e l’invito a tornare in fabbrica come una mia liquidazione politica. Certo che se così fosse avrei ancora qualcosa da dire. Ora però non mi è più possibile rimanere in questa
posizione. E allora il dilemma è: o bere, o affogare. Costretto a rientrare nella produzione, dopo esserne uscito per decisione di organismi politici, ho deciso di andare a lavorare in una fabbrica di una città del sud dell’Urss. Come emigrato politico, il Comitato di Mosca potrà darmi al riguardo delle indicazioni precise. Ho detto costretto perché né tornare in fabbrica né andare in provincia, non era nelle mie intenzioni
(23).


La risposta di Togliatti, che giunge a Picelli attraverso Antonio Roasio, in quel momento referente italiano della Sezione Quadri dell’IKKI, è categorica: “Rispondigli che per ora torni alla fabbrica”. Pochi giorni dopo Cernomordik, per lunghi anni vicedirettoree poi capo della Sezione Quadri del Komintern (24), scrive personalmente al Comitato di partito della fabbrica “Cuscinetti a sfera”, per annunciargli il ritorno di Picelli nello stabilimento (25).

Picelli è inquieto, amareggiato, tanto più che il clima generale nel Paese si sta facendo ogni giorno più teso e soffocante non solo per lui ma anche per molti altri emigrati politici italiani che vivono in Urss o che con lui lavorano in fabbrica. Già tra la fine del 1934 e gli inizi del 1935 i primi arresti colpiscono infatti la comunità italiana in Urss
(26). Senza poter immaginare gli orrori del Grande Terrore (27) che dispiegò tutti i suoi violenti effetti tra il luglio 1937 e l’agosto 1938, il clima politico va di giorno in giorno facendosi più cupo per le comunità straniere che vivono in URSS. Su ordine del Politbjuro (28) e sotto la stretta sorveglianza dell’NKVD, i centri dirigenti dei partiti a Mosca vengono via via incaricati di eseguire un’attenta verifica delle comunità straniere che vivono in URSS. Lo scopo era quello di individuare i casi sospetti, ovvero di identificare quegli emigrati politici che avessero assunto nel passato orientamenti politici sbagliati, compiendo opera di frazione, simpatizzando per i nemici del regime e del PCI, Trockij e Bordiga in prima linea (29). Per i dirigenti del PCI operare in tal senso non era difficile: tutti gli emigrati politici, una volta giunti in URSS, si presentavano al rappresentante del PCI a Mosca presso la Terza Internazionale per registrare il proprio arrivo, trovare un primo alloggio e cercare lavoro. La regola prevedeva che ciascuno compilasse un questionario, o anketa, con i propri dati personali e consegnasse anche una propria autobiografia nella quale dovevano essere segnalate le vicende del proprio passato politico. I documenti andavano a formare un dossier (30) che veniva passato alla Sezione Quadri del Komintern, organo incaricato di archiviare ma anche aggiornare i dati di tutti i dirigenti di partito e di tutti gli emigrati stranieri che si recavano in URSS (31). Copia dei fascicoli veniva poi direttamente passata agli archivi dell’NKVD. Tra il 1936 e il 1938 alcuni dirigenti e quadri medi, tra cui Antonio Roasio, referente italiano della Sezione Quadri, Domenico Ciufoli, allora rappresentante del PCI presso la Terza Internazionale, Paolo Robotti (32) e lo stesso Palmiro Togliatti che supervisionò l’intera operazione nei periodi in cui fu a Mosca, esaminarono dunque con cura la composizione politica e sociale della comunità italiana in URSS. Tra i vari nomi di emigrati compare anche quello di Guido Picelli, soprannominato Ferro, sospettato di mantenere legami pericolosi con altri emigrati politici italiani di simpatie trozkiste(33).

Così come molti altri italiani che lavorano alla fabbrica di cuscinetti a sfera, Picelli tra il 1935 e il 1936 diventa oggetto di indagine degli organi di partito interni allo stabilimento e quindi anche della Sezione Quadri del Komintern a cui i primi passano tutte le informazioni. Le accuse che gli vengono mosse
(34) sono di essere un “compagno italiano senza partito” e di aver organizzato una riunione “frazionista” nel suo appartamento per “dare il benvenuto al compagno Masi (35) giunto da Taškent”. Isolato, Picelli cerca di fare chiarezza e fa appello una volta ancora a Togliatti cercando, con una nuova lettera, di attirare la sua attenzione mettendo in risalto il proprio impegno nello smascherare gli emigrati italiani sospettati di trockismo all’interno della fabbrica e la propria purezza ideologica:


Compagno Ercoli, vi trasmetto copia della mia biografia e della lettera inviata al Comitato di Partito della fabbrica ove lavoro. In seguito all’esito della questione Visintini (36), nella nostra fabbrica si è creata una situazione falsa. Malgrado la risoluzione [adottata] al Club, Visintini nella riunione tenuta tempo fa al Comitato di fabbrica è riuscito ad avere ragione mentre noi che abbiamo [difeso] nella riunione stessa la rivoluzione, abbiamo avuto torto. Non solo, ma Visintini, collegato come era ai trockisti Siciliano e Merini (37), oggi è il segretario di Partito della fabbrica, il compagno fedele alla linea del partito e l’informatore sul conto nostro presso gli organi politici. Si verifica questo assurdo: Visintini influisce talmente dopo il “successo” da lui riportato sulla grave questione politica, che ai compagni Sallustio, Baldi e Sarti (38) è stata ritirata la tessera del V.K.P.(b) ed è stato loro detto da parte del Segretario del partito: 1. che a Visintini bisogna credere perché è un operaio mentre a Ferro no perché è un ufficiale! (Ferro è il mio nome in fabbrica). 2. che con Ferro non bisogna più parlare. Ma è possibile che un segretario di una grande fabbrica come la nostra, sulle informazioni di un compagno di cui era stata chiesta l’espulsione dal Partito Russo, possa formulare giudizi di tal genere e arrivi persino a consigliare il boicottaggio di un altro compagno? Con l’invio della qui unita copia della lettera e della biografia, intendo mettere al corrente della cosa gli organi politici superiori […](39) Contro il bordighismo in Italia ho sempre lottato. Ho sempre difeso la linea ell’Internazionale Comunista. In Francia, nell’emigrazione, ho lottato contro il trockismo e anche nell’URSS al Club degli emigrati politici e nella fabbrica “Cuscinetti a sfera” ho partecipato alla lotta contro i trockisti italiani. Per quasi due anni ho sostenuto la linea del partito contro Merini, Siciliano e Visintini. Per quasi due anni è durata la lotta politica per lo smascheramento di costoro nella nostra fabbrica. Visintini rappresentava l’ultimo anello della catena e contro di lui il rappresentante del Partito comunista italiano presso il Comintern aveva approvato la richiesta di espulsione da VKP(b). Ora si è detto ai compagni Sarti, Sallustio e Baldi che non debbono più parlare con me. Non comprendo la ragione di un tale provvedimento ed è grave che un compagno, membro di partito dal 1922, nella fabbrica dove lavora, possa pensare di essere considerato come un elemento estraneo […](40) Da quando milito nel partito comunista non ho mai partecipato a gruppi di opposizione né ho mai svolto attività frazionista né di destra né di sinistra(41).


I funzionari italiani e sovietici della Sezione Quadri del Komintern si occupano in maniera ricorrente di lui in quelle settimane: a fine marzo Cernomordik riceve la richiesta di verificare le accuse che sono state mosse contro il compagno Ferro. Nel giugno seguente, in un documento firmato da Stella Blagoeva (42), Domenico Ciufoli e Antonio Roasio, la conclusione raggiunta sul suo conto è che “il compagno Ferro Carlo […] ha fatto domanda di prendere la cittadinanza sovietica […] Il compagno Ferro è politicamente buono, si orienta bene. È necessario dargli la possibilità di vivere in Urss come riserva del PCI e come cittadino sovietico” (43).

Ma Picelli, che è ben consapevole di quanto la sua posizione e la sua incolumità siano a rischio, come quella del resto di molti altri emigrati politici italiani in quel momento, non vuole restare in Unione Sovietica e già ai primi di luglio inoltra la prima richiesta per andare in Francia a lavorare tra l’emigrazione. Ancor di più la sua voglia di partire si accresce dopo lo scoppio della guerra civile spagnola: sogna di tornare sui campi di battaglia ma spera anche, nello stesso tempo, di sfuggire a un futuro incerto. Non è l’unico emigrato italiano a seguire questa strada, altri, in quei mesi, si rivolsero ai dirigenti del PCI che vivevano a Mosca con la richiesta di andare a combattere in Spagna
(44). Erano i dirigenti del PCI che operavano la prima scrematura decidendo chi fosse “degno” di lasciare il territorio sovietico e chi invece non lo fosse. Era solo dopo questa prima selezione che le domande, accompagnate dai giudizi dei dirigenti del PCI, venivano inoltrate ai funzionari del Komintern e da questi alle competenti autorità sovietiche per il rilascio dei  necessari documenti per l’espatrio (45). È quasi superfl uo osservare che solo per coloro che vantavano un’indiscussa fedeltà al partito i dirigenti del partito caldeggiavano la possibilità di ottenere il rilascio dei documenti necessari all’espatrio.

Sul caso Picelli la decisione non fu semplice. In un primo momento l’NKVD parve rifiutare di concedere l’autorizzazione all’espatrio tanto che Cernomordik, probabilmente su insistenza di Manuil’skij a cui Picelli si era direttamente rivolto per sveltire la sua pratica
(46), sollecitò alla polizia politica sovietica una nuova risposta. Infine l’NKVD dichiarò che “non vi erano ragioni per rifiutare una sua partenza ma si posseggono alcuni dati che non consentono di inviarlo al lavoro per conto dell’IKKI” (47). Partire dunque sì, ma senza alcuna veste ufficiale.

Il caso Picelli non era però destinato ancora a chiudersi. Lasciata l’Urss alla fine di settembre del 1936 e giunto in Francia, il suo comportamento dette adito a nuove perplessità di cui ampiamente parlano i documenti stilati in Spagna da Antonio Roasio, Edoardo D’Onofrio e Pietro Pavanin sul suo conto. In quel periodo si trovarono a operare in Spagna non solo semplici militanti comunisti o di altro orientamento politico giunti a difendere la causa repubblicana,
ma anche molti dirigenti e quadri medi del PCI: Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Vittorio Vidali, Giuseppe Di Vittorio, Ambrogio Donini, Velio Spano, Felice Platone, Rita Montagnana, Teresa Noce, Tina Modotti, Antonio Roasio, Edoardo D’Onofrio, Matteo Secchia, Giuliano Pajetta, solo per ricordare alcuni nomi
(48). Così come molti semplici militanti alcuni di essi erano giunti in Spagna direttamente dall’esperienza sovietica (49), altri invece dalla Francia o da altri paesi d’Europa.

Tutti i volontari italiani
(50), organizzati nelle Brigate Internazionali, vissero in Spagna in quegli anni sotto il loro stretto controllo politico e ideologico: infatti, mentre la guerra divampava, alcuni dirigenti comunisti italiani, parte dei quali svolsero un ruolo estremamente importante come commissari politici delle Brigate Internazionali, schedarono minuziosamente la maggior parte degli italiani che stavano combattendo e fra questi anche coloro che erano partiti dall’Unione Sovietica. Il censimento (51), che fu redatto soprattutto tra il 1937 e il 1938, aveva anche una natura e uno scopo politici oltre che semplicemente anagrafici e riguardò 3354 italiani circa (52). Per realizzarlo una fonte di fondamentale importanza furono le biografie che tutti gli italiani dovevano scrivere e consegnare ai commissari politici prima di essere arruolati nelle Brigate Internazionali. Esso fu realizzato ad Albacete (53) prevalentemente da Pietro Pavanin, membro tra il 1937 e il 1939 della sezione italiana dell’Ufficio Quadri del Partito comunista spagnolo, sotto la direzione di Edoardo d’Onofrio, membro dell’Ufficio Quadri della Delegazione delle Brigate Internazionali (54). Alla sua redazione parteciparono però anche altri dirigenti del PCI presenti in Spagna (55) come per esempio appunto lo stesso Antonio Roasio, soprattutto nei primi mesi del 1937 (56).

Nel suo libro di memorie “Un uomo contro: Francia, Spagna, URSS
(57), Pietro Pavanin ricorda l’attività che egli svolse in Spagna, dopo essere stato ferito sul fronte di Madrid, prima ad Albacete (58) e poi, dall’aprile 1938, su richiesta di D’Onofrio, a Barcellona dove entrò a far parte della Commissione Esteri del Comitato Centrale del Partito comunista spagnolo. Qui rimase sino al 6 febbraio del 1939 quando, con il fronte repubblicano ormai in aperta ritirata, anch’egli dovette lasciare la città per evacuare in Francia. Partì con un camioncino carico di
documenti. Alla frontiera incontrò qualcuno, forse D’Onofrio stesso, a cui  consegnò quel prezioso materiale
(59) una parte del quale è stato rinvenuto più di sessanta anni più tardi a Mosca negli archivi della Terza Internazionale.

Tra queste carte vi sono anche alcuni documenti riguardanti la condotta di Picelli prima in Francia e poi in Spagna nei pochi mesi che precedettero la sua morte in combattimento. Secondo le notizie riferite da Giuseppe Dozza per conto dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCI, arrivato a Parigi Picelli riallacciò i rapporti con Carlo Masi ormai da tempo rientrato in Francia dall’Unione Sovietica ed espulso dal PCI nel 1936 in quanto trockista e attraverso costui conobbe Dino Mariani (Elmo Simoncini), noto esponente del Partito socialista massimalista italiano. Masi avrebbe convinto Picelli, che in realtà era già stato scelto come capo del gruppo dei compagni che partivano per la Spagna, a recarsi a Barcellona e a prendere contatto con alcuni esponenti del POUM. Intercettato da due compagni del PCI non identificati nei documenti rinvenuti, costoro lo convinsero a partire immediatamente per Albacete dove fu nominato capitano comandante della compagnia e vicecomandante del battaglione Garibaldi
(60).

Inizialmente il suo comportamento diede adito a scandalo tanto che si legge in uno dei documenti riguardanti il caso:

Bisogna fare un’inchiesta severa, conoscere la verità sui suoi legami con i trockisti. Bisogna tenere presente che non può certo ignorare che cosa sono i trockisti. Ha una considerazione esagerata di sé stesso. Non si esclude niente quanto alle ragioni del suo comportamento. Bisogna decidere se utilizzarlo e come utilizzarlo in caso di risposta favorevole dopo il risultato dell’inchiesta. In tutti i casi tenere conto che è un uomo conosciuto e popolare. Ha il vizio di bere troppo. Può fare dei gesti eroici ma anche dei gesti sconsiderati. Moderare il suo temperamento troppo effervescente […]. Ha troppo poco senso politico (61).

In realtà nessuna misura disciplinare venne adottata poiché – riporta un altro documento – “al fronte si è comportato bene. Sul suo errore ha scritto al Comitato Centrale del PCI, dichiarando tutti i fatti e facendo autocritica. Il CC del PCI ha deciso di non adottare alcuna misura disciplinare e di aspettare quale sarebbe stato il suo comportamento al fronte – ha preso parte rilevante nella battaglie contro i fascisti spagnoli ed eroicamente è morto tra le fila delle milizie spagnole” (62).

Sul suo coraggio in battaglia e sulla sua morte eroica del resto nessuno nutrì mai alcun dubbio. Ecco come la raccontano Edoardo D’Onofrio e Pietro Pavanin alcuni anni dopo:

Fu nominato capitano di compagnia e aggiunto al comandante del Battaglione Garibaldi. Ha preso parte alle operazioni di Mirabueno […] il 5, sempre con il battaglione polacco, […] due compagnie del battaglione “Garibaldi”, sotto il comando di Picelli, si mettono in marcia per occupare il punto stabilito. Questa marcia era stancante. Il compagno Picelli, invece di dirigere l’azione, era alla testa della colonna, davanti a tutti, malgrado l’ordine che egli aveva avuto di prendere il suo posto di comandante e non quello di avanguardia della colonna. Appena la colonna è arrivata vicino alla montagna e ha preso posizione […] una raffica di mitra improvvisa ha preso il compagno Picelli che è morto. Il suo corpo si trovava sotto il tiro di una mitragliatrice nemica piazzata a 500 m di là ed era impossibile andare a prenderlo. È stato possibile farlo solo di notte. La sua condotta in Spagna è stata buona. Picelli aveva buone qualità militari, una grande volontà e amore per le cose militari e ha sempre cercato di fare del suo meglio. Ma le sue conoscenze militari erano soggette al suo temperamento di partigiano impulsivo e temerario. Era amato dai soldati tanto quanto era stato amato dai cittadini di Parma quando ne era stato il tribuno. Dal punto di vista politico Picelli era debole, ciò che faceva era […] ai suoi sentimenti e alla sua impulsività di tribuno popolare. Questo spiega gli errori che ha commesso. Picelli è morto come ha combattuto, di fronte al nemico” (63).


NOTE

(
1) Sulla storia dell’emigrazione italiana in URSS si vedano i volumi di R. CACCAVALE, Comunisti Italiani in Unione Sovietica, Milano, Mursia, 1995, D. CORNELI, Il redivivo tiburtino, Milano, La Pietra, 1977, «La fattoria degli animali – Orwell. Bollettino delle vittime italiane dello stalinismo», a cura di M. Braccini, Torino, 1985, E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo. Il Komintern, il PCI e la repressione degli antifascisti italiani in URSS (1936-1938), Roma, Carocci, 1998, G. LEHNER, F. BIGAZZI, La tragedia dei comunisti italiani, Milano, Mondadori, 2000, E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, L’emigrazione italiana in URSS: storia di una repressione, in ID., a cura di, Gulag. Storia e memoria, Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 177-232.

(
2) Con l’arrivo al potere di Hitler e i primi segni tangibili di una politica espansionistica tedesca che poneva in discussione il vecchio ordine europeo, Stalin decise la progressiva chiusura delle frontiere agli stranieri. La corrente migratoria diretta dall’Italia e da altri Paesi europei verso l’Unione Sovietica si ridusse progressivamente a partire dal 1935-1936.

(
3) Sul dato non vi è certezza, anche se la cifra può essere considerata attendibile e viene accettata da quasi tutti gli studiosi che si sono occupati del tema. La nuova chiusura degli ex archivi sovietici (dove, peraltro, è stato possibile lavorare tra il 1992 e il 1996 con margini di ricerca ampi ma mai completi) induce alla cautela quanto si affrontano numeri e statistiche. Sulle varie ipotesi che sono state avanzate sulla dimensione dell’intera comunità italiana in URSS (compresi quindi i nuclei di italiani che vivevano ormai da più di un secolo in Crimea) si veda G. LEHNER, La Tragedia dei comunisti italiani, cit., pp. 45-46.

(
4) Non tutti però emigrarono in URSS perché ricercati o perseguitati. Alcuni infatti furono indotti alla partenza da una forte spinta di natura ideologica, convinti di offrire in tal modo il proprio contributo all’edificazione di una società più giusta. Più rari invece furono i casi di coloro che decisero di emigrare per ragioni economiche. Questo tipo di fl usso migratorio fu in realtà molto esiguo (non più di poche decine di persone) e si verificò soprattutto dopo il 1929, cioè dopo la Grande Crisi.

(
5) D’ora innanzi PCI.

(
6) Sull’organizzazione internazionale di soccorso ai combattenti della rivoluzione (Meždunarodnaja organizacija pomošci borcam revoljucii, MOPR, nota fuori dall’URSS con il nome di Soccorso Rosso Internazionale) si vedano K. CETKIN, Desjatiletie MOPR, Moskva 1932; E.D. STASOVA, 10 let MOPR, Moskva 1933; A.I. AVRUS, Proletarskij internacionalizm v dejstvii, Saratov 1971. Sul ruolo della MOPR, soprattutto per quanto riguarda gli anni Trenta, poco è stato scritto. Alcuni documenti sono in W.J. CHASE, Enemies within the Gates? The Comintern and the Stalinist Repression, 1934-1939, New Haven and London, Yale University Press, 2001, pp. 106-108 e 133-134.

(
7) Rossijskij Gosudarstvennyj Archiv Social’no-Politiceskoj Istorii (Archivio Statale Russo di Storia sociale e politica), d’ora innanzi RGASPI, fond (f.) 495, opic’ (op.) 221, delo (d.) 1245, «An den Verbindungsdienst des Sekretrariats des EKKI», M.B. Cernomordik, 9 settembre 1936, p. 66.

(
8) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Biografia – Picelli Guido», marzo 1936, pp. 22-25.

(
9) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Picelli Guido/Ferro Carlo», 7 gennaio 1937, p. 21.

(
10) F. SICURI, Il guerriero della rivoluzione, Parma, UNI.NOVA, 2010.

(
11) Il Voennyj Politiceskij Institut Tolmacëv, noto anche come Accademia militare, era stato fondato nel 1919, nel pieno cioè della guerra civile, proprio per offrire una preparazione di tipo politicoideologico ai militari. Il corso durava quattro anni e si tenevano lezioni di marxismo, leninismo, di storia del movimento operaio internazionale e di quello dei singoli Paesi, di storia della guerra civile russa, di russo, francese e di altre materie ancora. Già negli anni Venti vi studiò un primo gruppo di italiani, tra cui Gastone Sozzi, in E. DUNDOVICH, L’apprendistato dei “rivoluzionari di professione”: le scuole internazionaliste in Urss, in M. RIDOLFI (a cura di), Gastone Sozzi. Le passioni politiche, i sentimenti, l’antifascismo, Società editrice «Il Ponte Vecchio», Cesena, 2006.

(
12) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Lettera di Guido Picelli al compagno Manuil’skij», 5 agosto 1936, pp. 54-55.

(
13) Il dato è riportato anche nel verbale di interrogatorio di Roberto Anderson, ingegnere capo responsabile della produzione assunto nel 1932, si veda a questo propostito E. DUNDOVICH, F. GORI, Italiani nei lager di Stalin, Bari-Roma, Laterza, 2006, p. 41.

(
14) E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, L’emigrazione italiana in
URSS: storia di una repressione, cit., pp. 212-215.

(
15) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Lettera di Gallo alla direzione della MLŠ», p. 40.

(
16) Sin dall’inizio degli anni Venti vi era stato nella Russia bolscevica un pullulare di corsi, scuole e istituzioni politico-militari alla cui vita parteciparono molti comunisti stranieri, italiani inclusi.Tra le scuole che dipendevano dal Komintern (note con il termine di “scuole internazionaliste”) la Scuola internazionale leninista di Mosca (Meždunarodnaja Leninskaja Škola) fu la più famosa. Sulle scuole si vedano A. Galliussi, I figli del partito, Firenze, Vallecchi, 1961, riedito dalla Bietti, Milano, nel 2000; G.M. ADIBEKOV, E.N. ŠACHNAZAROVA, K.K. ŠIRINJA, Organizacionnaja Struktura Kominterna, 1919-1943, op. cit.; A. AGOSTI, La Terza Internazionale, Storia documentaria, vol. I, t. II, 1919-1923, Roma, Editori Riuniti, 1974; A. ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977.

(
17) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Meždunarodnaja Leninskaja Škola. Richiesta della Sezione di licenziamento del collaboratore», 9 ottobre 1934, p. 37.

(
18) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Roncoli [Mario Montagnana] au Comité Central du P.C.(b) de l’Union Soviétique», 29 dicembre 1933, p. 84a.

(
19) E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo, cit., p. 169.

(
20) E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, Refl ecions on the Gulag. With a Documentary Appendix on the Italian Victims of Repression in the USSR, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Anno Trentasettesimo, 2001, Milano, Feltrinelli, pp. 537, 540.


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21) E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, L’emigrazione italiana in URSS: storia di una repressione, in ID., a cura di, Gulag. Storia e memoria, cit., pp. 192-194.  
                                 
(
22) RGASPI, f. 495, op. 221, d.1245, «Lettera di Picelli a Ercoli», 9 marzo 1935, pp. 74-74a.

(
23) RGASPI, f. 495, op, 221, d. 1245, «Lettera di Picelli a Ercoli», 14 marzo 1935, pp. 73.

(
24) Fu vicedirettore tra il 1932 e il 1936 e poi capo della Sezione Quadri dal luglio al dicembre del 1936, in G.M. ADIBEKOV, E.N. ŠACHNAZAROVA, K.K. ŠIRINJA, Organizacionnaja Struktura Kominterna, 1919-1943, cit., pp. 194-195. 

(
25) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Cernomordik al Comitato di partito della VKP(b) della fabbrica «Cuscinetti a sfera», 20 marzo 1935, p. 68.

(
26) E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, L’emigrazione italiana in URSS: storia di una repressione, in ID., a cura di, Gulag. Storia e memoria, cit., p. 200.

(
27) Sul terrore di stato sovietico e sul “Grande Terrore” del 1937-1938 si vedano O. CHLEVNJUK, Stalin e la società sovietica negli anni del terrore, Perugia, Guerra, 1997; O. CHLEVNJUK, I nuovi dati, e T. MARTIN, Un’interpretazione contestuale alla luce delle nuove ricerche, «Storica», 2000, 18/2000, pp. 13-37; La police politique en Union Soviétique, 1918-1953, «Cahiers du Monde Russe», Avril- Décembre 2001, 42/2-3-4; A. GRAZIOSI, L’Urss di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica, 1914-1945, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 255-444.

(
28) W.J. CHASE, Enemies within the Gates? The Comintern and the Stalinist Repression, 1934-1939, cit., pp. 102-145. 
       
(
29) E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo, cit. pp. 129 e ssg.

(
30) Quello di Picelli è conservato appunto al RGASPI, fondo 495, op. 221, d. 1245.

(
31) Sull’attività degli organi del Komintern e sui suoi funzionari negli anni Venti e Trenta si veda il volume di G.M. ADIBEKOV, E.N. ŠACHNAZAROVA, K.K. ŠIRINIJA, Organizacionnaija Struktura Kominterna, 1919, 1943, cit.

(
32) Accanto a essi lavorarono come informatori del Komintern anche Ilio Barontini, Battista Buzzi, Livio Amadei, Bindo Regazzi.

(
33) E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo, cit., p. 169. L’etichetta di oppositore
gli sarebbe rimasta a lungo, come dimostra un documento rinvenuto nel fascicolo processuale di Ugo Citterio, emigrato politico italiano arrestato nel 1940, cfr. E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, Refl ecions on the Gulag, cit., p. 496.

(
34) G. BOCCHI, L’eroe di Parma e di Spagna, «Espresso», 2 ottobre 2008.

(
35) Quasi sicuramente si tratta di Carlo Masi, che era stato insegnante di politica economica alla scuola leninista. Espulso dal PCI nel 1936, lascia l’Unione Sovietica e si reca in Francia, E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, Refl ecions on the Gulag, cit., p. 326.

(
36) Su Luciano Visintini si veda E. DUNDOVICH, F. GORI, E. GUERCETTI, Refl ecions on the Gulag, cit., p. 468.

(
37) Siciliano era lo psueodonimo di Luigi Calligaris, Merini quello di Ezio Biondini. I due lavoravano entrambi nella stessa fabbrica di Picelli e furono arrestati nel 1934 con l’accusa di partecipazione a un’organizzazione trockista controrivoluzionaria. Sul loro caso cfr. ivi, pp. 340 e 347-348.

(
38) Su Salvatore Sallustio, Angelo Gallori (vero nome di Baldi) e Mario Sarti si veda ivi, rispettivamente pp. 172 e 453 su Sallustio, pp. 177n e 619 su Angelo Gallori, pp. 537, 585, 618, 619 su Mario Sarti. Cfr. anche E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo, cit., p. 169. Anche loro lavoravano alla fabbrica di cuscinetti a sfera.

(
39) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Lettera di Picelli a Ercoli», 2 febbraio 1936, p. 30.

(
40) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Al Comitato di Partito della fabbrica “Cuscinetti a sfera” di Mosca nel nome di Kaganovic», gennaio 1936.

(
41) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Biografia», gennaio 1936 e ivi, «Biografia-Picelli Guido», marzo 1936, pp. 22-25.

(
42) Figura inquietante e ancora in parte misteriosa della storia del Komintern degli anni Trenta. Stella Blagoeva, figlia del fondatore del Partito comunista bulgaro Dimitr Blagoev (1856-1924), lavorò per lunghi anni alla Sezione Quadri del Komintern e fu probabilmente anche segretaria personale di Dimitrov. Ella si occupò in particolar modo delle questioni riguardanti il Partito comunista italiano, quello spagnolo e quello portoghese. Tutto ciò che riguardava la comunità degli italiani in Unione Sovietica passò in quegli anni sotto il suo controllo, cfr. P. HUBER, L’appareil du Komintern, 1926-1935. Premier aperçu, «Communisme»,
40/41, 1995, p. 24.

(
43) RGASPI, f. 495, op. 221. d. 1245, «Conclusione sul compagno Ferro Carlo/Picelli Guido», 10 giugno 1936, p. 51.

(
44) Sulla storia degli emigrati italiani che dall’URSS andarono a combattere in Spagna si veda E. DUNDOVICH, Dall’URSS alle Brigate Internazionali: Ugo Citterio e i sogni di una generazione, «Spagna Contemporanea», n. 23, 2003.

(
45) E. DUNDOVICH, Tra esilio e castigo, cit., p. 155.

(
46) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245 «Lettera di Guido Picelli al compagno Manuil’skij», 5 agosto 1936, pp. 54-56.

(
47) RGASPI, f. 495, op. 221. d. 1245, «Ferri Carlo», s.d., pp. 9-10.

(
48) Nel secondo dopoguerra molti di essi hanno raccontato la propria esperienza in Spagna. Fra i molti volumi si ricordano L. LONGO, Le Brigate Internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, Roma, 1957 e, sempre dello stesso autore ma in collaborazione con C. Salinari, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e rifl essioni di un militante comunista, Milano, Teti Editore, 1976; T. NOCE, Rivoluzionaria professionale, Milano, La Pietra, 1974; G. PAJETTA, Ricordi di Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1977; V. VIDALI, Il Quinto Reggimento, Milano, La Pietra, 1973; ID., Spagna lunga battaglia, Milano, Vangelista Editore, 1975; ID., La caduta della repubblica, Milano, Vangelista Editore, 1979.

(
49) Antonio Roasio e Matteo Secchia, per esempio, giunsero in Spagna  direttamente dall’URSS.

(
50) Sul ruolo dei volontari italiani nella guerra civile spagnola si vedano F. GIANNANTONI, F. MINAZZI, a cura di, Il coraggio della memoria e la guerra civile spagnola (1936-1939). Studi, documenti inediti e testimonianze, con la prima analisi storico-quantitativa dei volontari antifascisti italiani, Varese, Edizioni Arterigere, 2000; P. AMBROSIO, a cura di, In Spagna per la libertà, Vercellesi, Biellesi e Valsesiani nelle Brigate Internazionali, Vercelli, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, 1996; N. ISAIA, E. SOGNO, Due fronti. La guerra di Spagna nei ricordi personali di opposti combattenti di sessant’anni fa, Firenze, Libera Libri, 1998.

(
51) RGASPI, f 495, op. 10a, d. 190 e d. 202, Censimento – Informazioni sui volontari italiani in Spagna, Rigoletto Martini, Pietro Pavanin, Edoardo d’Onofrio e altri, 1940.

(
52) Se si calcola che, secondo le stime più recenti, gli italiani che combatterono in Spagna furono circa 3400, ciò significa che furono censiti in quegli anni dagli esponenti del PCI quasi tutti gli italiani combattenti nelle guerra civile tra il 1936 e il 1939, comunisti e non. Cfr. F. GIANNANTONI, F. MINAZZI, a cura di, Il coraggio della memoria, cit.

(
53) Come ricorda Longo, la base di Albacete venne creata, su ordine del Ministero della Guerra, come unità indipendente delle Brigate Internazionali con il compito di operare come centro di mobilitazione per le unità al fronte e direzione generale di tutti i servizi, Le Brigate Internazionali in Spagna, cit., p. 156.

(
54) D’Onofrio ricopriva anche la carica di rappresentante del PCI presso il Partito comunista spagnolo, come ricorda Teresa Noce, Rivoluzionaria professionale, cit., p. 210.

(
55) Fra i quali anche Giuseppe Di Vittorio.

(
56) Ricorda nelle sue memorie a questo proposito Roasio: «[…] nella primavera del 1937 per decisione del partito spostai la mia base di attività ad Albacete, a disposizione del comando generale delle Brigate Internazionali, per organizzare l’ufficio quadri, cioè l’ufficio matricola […] durante i pochi mesi di permanenza ad Albacete, aiutato dal compagno Pavanin reduce dall’ospedale per una grave ferita, ci mettemmo all’opera per preparare la scheda personale di ogni volontario: l’unità in cui combatteva, la sua qualifica, l’indirizzo dei familiari […]», Figlio della classe operaia, cit., p. 132.

(
57) Conselve (Pd), Editoriale Arci Nova, 1989.

(
58) Ad Albacete Pavanin lavorò appunto sotto la supervisione di Roasio prima al servizio censura della corrispondenza in lingua italiana, poi al servizio personale della XII Brigata per occuparsi dei feriti, ivi, p. 85.

(
59) Ivi, pp. 87-88.

(
60) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Ferri Carlo», s.d., pp. 9-10. Sul suo comportamento in Francia e a Barcellona si veda anche la ricostruzione di F. SICURI, Il guerriero della rivoluzione, cit., pp. 256-261.

(
61) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Picelli Guido – Battaglione Garibaldi», s.d., p.12.

(
62) RGASPI, f. 495, op. 221, d. 1245, «Ferri Carlo», s.d., pp. 9-10.

(
63) RGASPI, f. 495, op. 221, 1245, «Picelli Guido (Italien)», 21 agosto 1940, Edo, Pavanin, p. 8.

 
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