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Dizionario biografico: Nadasti-Nuvoloni [ versione stampabile ]

NADASTI-NUVOLONI

NADASTI LUCINDA
Parma 1664/1688
Non si sa se il nome di Lucinda, con il quale soltanto la si trova nell’elenco dei comici di Parma del 1664, sia stato anche il suo nome di battesimo. Lucinda è la prima donna, quasi sempre amante di un certo Valerio o Orazio o Ubaldo, nei famosi Scenarj pubblicati da Adolfo Bartoli, uno dei quali, di uno sconosciuto P.C., s’intitola: L’onorata fuga di Lucinda. La Nadasti è riportata nell’elenco dei comici del Duca di Modena del 1688, tra i quali ella figura per le parti di seconda donna.
FONTI E BIBL.: A. Bartoli, Scenari inediti della commedia dell’arte, Firenze, 1880; L. Rasi, I comici italiani, volume III, Firenze, 1905, 173; N. Leonelli, Attori, 1944, 130.

NADOTTI ANTONIO
Calestano 31 maggio 1921-Musiara Superiore 30 marzo 1944
Figlio di Giuseppe e Caterina Vignali. Sin da giovanissimo manifestò amore per la musica, in particolare per il violino. Vinse anche un concorso di musica sinfonica a Firenze il 7 maggio 1940: la sua esecuzione venne trasmessa alla radio. Il Nadotti fu certamente uno dei migliori allievi dell’Alessandri al Conservatorio di Parma. Venne chiamato alle armi subito dopo i primi successi che stavano arrivando in campo musicale. In tempo di guerra, durante un volo sulla Sicilia, riportò gravi ferite sia alle mani che alle gambe. Una volta fatto ritorno a casa, entrò nelle file dei partigiani, nella 143a Brigata Garibaldi Aldo. Operò nella zona di Fragno, ma non mancarono azioni compiute anche sul Montagnana. Denunciato da una spia, cadde in una imboscata con altri due compagni, Buraldi e Zinelli, e ucciso. Fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Valoroso combattente, sempre distintosi in numerose azioni, si offriva volontariamente di compiere una ardita azione di collegamento. Scoperto dal nemico veniva catturato ed ucciso.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 31; Caduti Resistenza, 1970, 84; Gazzetta di Parma 28 marzo 1994, 25.

NAEVIUS CAIUS PARMA
Parma 144 d.C.
Libero e pretoriano, è documentato in latercolo rinvenuto a Roma, con data 144 d.C., dove è definito cives con domus Parma. La gens Naevia è documentata in Parma.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 131.

NAEVIUS PUBLIUS LICINIANUS
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Di condizione incerta, fu dedicatario di un’epigrafe, poi perduta, con il simbolo dell’ascia, attribuibile al periodo imperiale (formula D.M.): espressioni come hominis incomparabilis (ll. 6-8) e et memoriae (ll. 2-3) sono caratteristiche del linguaggio cristiano. La gens Naevia, molto diffusa in Italia e nelle province, è ampiamente documentata nella Tabula Veleiate, presente nell’Emilia occidentale e in tutta la Cisalpina. A Parma si trova documentata in questa sola epigrafe ma sono noti altri due Parmenses con tale nomen. Licinianus è pure cognomen molto diffuso, caratteristico soprattutto delle Spagne e della Gallia meridionale, rarissimo tuttavia in Cisalpina a nord del Po e presente a Parma in questo solo caso. È ben documentato nella Tabula Veleiate, nella quale sono anche menzionati numerosi fundi Liciniani. Licinianus potrebbe indicare il nome del genitore reale o adottivo oppure quello di un precedente padrone.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 132.

NAEVIUS SEXSTOS
Parma II secolo d.C.
Figlio di Sexstos. Libero, annoverato da Flegonte di Tralles tra i longevi della città di Parma, vissuti centocinque anni. La gens Naevia, molto diffusa in Italia, fu presente anche a Parma.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 133.

NAGEL ADELAIDE
Parma 12 aprile 1850-Belem 15 aprile 1891
Studiò canto (mezzosoprano) alla Regia Scuola di musica di Parma dal 1868 al 1870 e si perfezionò al Liceo Rossini di Bologna. Nel marzo 1875 cantò la parte di Ines nei Falsi monetari di Lauro Rossi al Teatro Reinach di Parma. Il Dacci scrisse che percorse una splendida carriera nei principali teatri italiani e stranieri. Fu molto attiva in Brasile: nel 1884 la si trova a Belem, sia al Teatro Circo Cosmopolita nelle operette Giroflè, Girofla di Lecocq e in Giulietta e Romeo (giugno), che il mese dopo nel Teatro da Paz. Nel 1885, pur continuando sempre a cantare, si fece impresario e ritornò nel giugno al Teatro Circo Cosmopolita con la sua Compagnia Lirica Italiana, che presentò operette e opere buffe cantate in portoghese, per esibirsi dal 3 dicembre a tutto gennaio 1886 al Teatro da Paz. Dopo aver portato la sua compagnia a San Luis, nel mese di febbraio ritornò al Teatro da Paz di Belem con La favorita, alternando opere e operette (Trovatore, La bella Elena, Ernani, Traviata, Boccaccio e Ruy Blas). Entrata in crisi, cedette la direzione della compagnia per ritornare, dopo la ristrutturazione, a dirigerla e a cantare nel gennaio 1887, sempre al Teatro da Paz. A febbraio ritornò a San Luis, poi ancora al Teatro da Paz. Nel luglio portò la compagnia al Teatro Circo Cosmopolita con un repertorio misto di opere e operette. Sposò il tenore Fausto Scano. Morì di tubercolosi e in povertà.
FONTI E BIBL.: G.N.Vetro Reinach, 80; Salles, Epocas do teatro no Grao-Para, Belem, UFPA, 1994.

NAGHEL Adelaide, vedi NAGEL Adelaide

NALDI FILIPPO
Borgo San Donnino 1886-
Risiedette a Ravenna, da dove collaborò alla Gazzetta di Venezia, al Regno e alla Libertà. Diresse Il Rinnovamento e pubblicò uno scritto sull’Italia e l’Austria: Per l’italianità.
FONTI E BIBL.: T. Rovito, Dizionario letterati e giornalisti, 1907, 180.

NALLI AUGUSTO
Parma 1880
Compositore. Il 3 ottobre 1880 venne eseguita alla chiesa della Steccata di Parma una sua Messa con la direzione di Eraclio Gerbella. La Luce scrisse che il lavoro presentava echi operistici e che l’autore dimostrava di essere un principiante.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

NALLI LODOVICO
Parma 1831
Fu indicato dalla Direzione Generale di Polizia come cooperatore allo scoppio e alla propagazione della rivolta durante i moti del 1831. Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato con requisitoria d’arresto.
FONTI E BIBL.: O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 191.

NALLI ROSINA, vedi FACCONI ROSINA

NANDIN DEMETRIO
Collecchio 1892/1907
Consigliere comunale di Collecchio dal 1892, fu nominato Sindaco il 2 ottobre 1892 e tale rimase fino al 1906. Fu poi, per poco più di un anno, ancora consigliere.
FONTI E BIBL.: U. Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 22 febbraio 1960, 3.

NANI ENRICO
Parma 4 novembre 1872-Roma 22 dicembre 1940
Nato da famiglia di patrioti. Trasferitosi a Roma fin dai primi anni di vita, iniziò a studiare canto con Antonio  Cotogni, il grande baritono e maestro di canto. Entrato in attività, fece una carriera artistica brillante. Nel 1900, a 27 anni, debuttò a Codogno in Cavalleria e Pagliacci e subito dopo a Piacenza nella Traviata. L’anno dopo, novembre 1901, in uno storico Rigoletto al Teatro Comunale di Bologna, assieme a un Caruso ineguagliabile Duca di Mantova, furono rivolte entusiastiche ovazioni al Nani che interpretò il buffone gobbo. Subito dopo fu un ottimo Germot in una Traviata con Gemma Bellincioni che si alternava con la Darclée. Questi spettacoli lo consacrarono baritono di fama e Rigoletto rimase sempre uno dei suoi personaggi di grande successo. Nel 1902 fu al Teatro alla Scala di Milano in Hänsel e Gretel diretto da Toscanini, teatro in cui tornò nell’Otello di Verdi nel 1914. Al San Carlo di Napoli cantò per cinque stagioni, per tre fu confermato al Massimo di Palermo, per due al San Carlo di Lisbona e alla Fenice di Venezia, per tre al Liceo di Barcellona, per due al Conservatorio di Pietroburgo, al Khledivediale del Cairo, al Municipale di Santiago del Cile, all’Imperiale di Vienna e al Politeama di Torino. Fu varie stagioni al Colon di Buenos Aires, come pure cantò a Brescia, al Comunale di Cesena (con Bonci nel Faust di Gounod nel 1904), a Trieste e a Genova in vari teatri. Abbandonò la carriera nel 1924. Possedette un ricco repertorio, che per l’estensione della voce spaziava dall’Africana al Barbiere, e una bella azione scenica. In più, poiché fu anche professore di lettere, parlò e cantò in quattro lingue: italiano, francese, spagnolo e russo.
FONTI E BIBL.: Arnese; Ciotti; De Angelis; Frassoni; Levi; Raggi; C. Schmidl; Trezzini; Tintori; Cronologie dei teatri di Brescia e La Fenice di Venezia; B. Molossi, Dizionario biografico, 1957, 111; G.N. Vetro, Voci del ducato, in Gazzetta di Parma 19 dicembre 1982, 3.

NANNICINI POLICARPO
Parma 1895-23 luglio 1916
Figlio di Agostino. Ingegnere, fu tenente nel 2° Reggimento Genio durante la prima guerra mondiale. È da presumersi morto nel combattimento del 23 luglio 1916.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 26 settembre 1916; G. Sitti, Caduti e decorati, 1919, 169.

NANTELMINO
Berceto 1251/1254
Il Nantelmino fu canonico della chiesa di Berceto. Già ricevuto come tale dal 1251, divenne in quel tempo scrittore del Papa col titolo di Maestro. Siccome i canonici di Berceto avevano cura d’anime e perciò dovevano fare residenza, trovavano forte opposizione a essere accettati quelli che stavano al servizio del Papa. Per cui papa Innocenzo IV nel 1254 (Perugia, 11 luglio) emise una bolla di indole generale colla quale ordinò che dovessero essere accettati nonostante l’obbligo della cura d’anime, anche i canonici non residenti.
FONTI E BIBL.: G. Schianchi, Berceto e i suoi arcipreti, 1927, 23.

NAPOLEONE INCISO, vedi SONCINI WILLIAM

NAPOLITANO ALMERINDO
Saviano 12 maggio 1899-Busseto 19 gennaio 1987
Conseguita la laurea in lettere, dopo aver insegnato a Benevento e a Nuoro, approdò giovanissimo a Busseto nel 1925 quale insegnante al ginnasio, per passare più tardi alla scuola media, di cui fu poi preside. Per quarantacinque anni fu grande suscitatore e organizzatore di energie culturali: dalla biblioteca (di cui fu per oltre quarant’anni bibliotecario), all’asilo infantile, al turismo scolastico, alla Pro loco, alla Società Dante Alighieri, alla Pubblica assistenza. Ebbe al suo attivo alcune pubblicazioni, tra le quali si ricordano La Biblioteca del Monte di pietà di Busseto e i suoi Bibliotecari, Biblioteca di Busseto: 40 anni di cronaca, Il teatro Verdi di Busseto e le sue origini, Una antica famiglia: I Casali, Versi all’antica, Cinquant’anni e più di vita bussetana.
FONTI E BIBL.: A. Napolitano, Biblioteca di Busseto, 1965, 75-76; Gazzetta di Parma 11 gennaio 1987, 20.

NAPPO, vedi UBALDI ENZO

NARBONELARA LUIGI
Colorno 1737-Torgau 1833
Politico e militare di grande valore, fu assai apprezzato all’estero, specialmente in Francia dove fu Ministro della guerra col re Luigi XVI (1791) e poi aiutante di campo di Napoleone Bonaparte.
FONTI E BIBL.: U. Imperatori, Italiani all’estero, 1956, 195.

NARDI ERMENEGILDO
Parma 29 dicembre 1824-Parma 9 aprile 1867
Figlio di Pellegrino e di Costanza Zerbini. Falegname, seguì Giuseppe Garibaldi nei Mille di Marsala e venne ascritto in Talamone come semplice milite alla 7a compagnia comandata da Benedetto Cairoli, la più numerosa e la più signorile (Abba, Storia dei Mille, seconda edizione, Firenze, R. Bemporad, 1906, 57-59), composta di 130 militi, fra i quali 24 erano studenti di legge, 12 di medicina, 14 di matematica, 2 di farmacia. Compiuta l’impresa garibaldina, il Nardi riprese in Parma l’esercizio del suo mestiere. Morì all’ospedale, in condizioni di povertà.
FONTI E BIBL.: F. Poggi, Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1933, 3, 677; A. Ribera, Combattenti, 1943, 280.

NARDINI CARLO
Genova 15 gennaio 1803-Parma 8 giugno 1868
Nato da Giulio e da Giovanna Berna. Si stabilì giovanissimo in Parma assieme alla famiglia e vi compì gli studi, laureandosi nel 1826 in medicina. Fervente repubblicano e mazziniano intransigente, patriota della prima ora, fu anche relegato per motivi politici nel Castello di Compiano (1821). Prese parte ai moti del 1831 e fu per questo sottoposto a sorveglianza dalla polizia, che del Nardini redasse la seguente scheda segnaletica: Appartenne al consesso civico, ebbe commissioni dal Governo provvisorio e si vorrebbe da taluni che appartenesse alla combriccola, che proponeva la dichiarazione di decadenza di S.M. dal trono. Continua ad essere sospetto. Era a costui diretta una lettera da Genova molto sospetta che veniva recata da Enrico Melloni per la quale, come per altre due, soggiacque agli arresti in Genova. D’indole battagliera, sostenne molte dispute scientifiche, tra le quali si ricorda quella col Caggiati, professore di clinica medica e protomedico del Ducato di Parma. Nel novembre del 1859 fu nominato dal dittatore Farini segretario dell’Università degli Studi di Parma, carica che tenne sino al luglio 1866.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Il risorgimento italiano, 1915, 415; Il Presente 10 Giugno 1868, n. 161; Aurea Parma 1 1930, 18-19; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 191.

NARDINI GIOVANNI
Parma 1788-Parma 1854
Calcografo, fu allievo e poi discreto collaboratore di Paolo Toschi. Tra le sue più note stampe è Redemptor mundi (dal Guercino).
FONTI E BIBL.: Nagler, Künstlerlex., 1841, X, 132; Andresen, Handbuch f. Kupferstichsammler, 1870, II; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, 1931, XXV; Mostra di acquerelli di Paolo Toschi a Parma, 1947, 17; L.Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; P.Martini-G. Capacchi, Arte incisione a Parma, 1969; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1973, 2186.

NARDINI GIROLAMO
Parma prima metà del XIX secolo
Economo e custode dell’Accademia di Belle Arti di Parma, fu incisore in rame, attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: P.Martini, Scuola delle arti belle, 1862, 37.

NASALI Girolamo, vedi NASALLIGirolamo

NASALLI FRANCESCO
Parma 21 luglio 1799-Piacenza 5 aprile 1877
Nacque dal conte Gaetano. Stabilitosi in Piacenza, si laureò in sacra teologia e fu poi dottore in ambo le leggi. Canonico della Cattedrale di Piacenza, prelato domestico di Sua Santità e Vicario Capitolare, fu cultore di belle lettere fin dalla prima gioventù. Diede alle stampe un’ode di lieto augurio per l’ingresso negli Stati Parmensi della duchessa Maria Luigia d’Austria. Si fregiò della medaglia d’argento per i benemeriti della salute pubblica per essersi segnalato con atti di coraggiosa pietà durante la prima epidemia del colera in Piacenza nel 1836 (tra l’altro il Nasalli stabilì la sua dimora nell’Ospedale dei colerosi).Del Nasalli scrisse un cenno necrologico l’arciprete Tononi.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 294-295.

NASALLI GAETANO
Varese Ligure 1760c.-Piacenza 1825
Figlio di Girolamo, conte, e di Giulia Ratti. Nato da una famiglia nobilitata dal duca Ferdinando di Borbone nel 1769, si stabilì prima a Parma, dove ricoprì importanti cariche nell’amministrazione francese (consigliere di Prefettura e sostituto del segretario generale), nell’Università, dove insegnò Diritto civile dal 1790 al 1818 (e come professore anziano, dal 1819), e nel governo luigino (consigliere di Stato), poi a Piacenza, di cui fu nominato governatore dal 1818, carica che tenne fino alla morte.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario Biografico dei Piacentini, 1899, 295; Calendario di Corte 1818-1819 sgg.; E. Benassi, L’Università di Parma sotto la dominazione francese, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1940, 73 sgg.; Archivio di Stato, Filo Università 1057, n. 235, n. 276, Ruolo de’ Provigionati 1800, n. 67, 176; F. Rizzi, Professori, 1953, 102; Enciclopedia di Parma, 1998, 480.

NASALLI GIROLAMO
Parma 16 agosto 1792-post 1849
Figlio del conte Gaetano e di Gaetana Rocca Fani. Fu Governatore di Guastalla e di Parma, Consigliere di Stato, Ministro dei Lavori Pubblici, Agricoltura e Commercio e poi degli Affari Esteri nel Governo Provvisorio di Parma del 1849, e Cavaliere di Prima Classe dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio. Il Nasalli fu anche Presidente dell’Opera parrocchiale di San Lazzaro Parmense.
FONTI E BIBL.: V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare, Appendice II, 1935, 387.

NASALLI GIULIO
Parma 8 maggio 1795-post 1831
Conte. Guardia d’Onore in Francia dal 5 luglio 1813, fu congedato il 7 giugno 1814. Partecipò alle seguenti campagne militari: 1813 in Sassonia, 1814 in Francia al blocco di Magonza, 1814 e 1815 a Napoli e in Francia. Fu Alfiere al servizio di Parma dal 7 settembre 1814. Durante i moti del 1831 era tenente: si tenne a Borgo San Donnino con un distaccamento di 20 uomini mentre gli altri andavano su Fiorenzuola. Fu messo in aspettazione di servizio ma non figurò tra gli inquisiti.
FONTI E BIBL.: A. Del Prato, L’anno 1831, 1919, XXII; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 192.

NASALLI IGNAZIO
Parma 7 ottobre 1750-Roma 7 dicembre 1831
Nato dal conte Girolamo e dalla nobildonna Giulia Ratti, sorella di Andrea, arcivescovo di Adrianopoli. Aspirò a entrare tra i Gesuiti ma, soppressa la Compagnia da papa Clemente XIV, fu ordinato sacerdote secolare (1785). Completò gli studi nella Pontificia Accademia dei Nobili a Roma, della quale fu anche pro-presidente, e percorse una gloriosa carriera. Gli avvenimenti del 1798 lo indussero a ritornare a Parma, dove fin dal 1791 era membro del collegio teologico. Canonico della Cattedrale di Piacenza (1799), prelato domestico di papa Pio VII (20 marzo 1800), seguì questo Papa a Parigi, dove partecipò all’incoronazione di Napoleone Bonaparte avvenuta il 2 dicembre 1804 (la sua effige compare nel famoso quadro di David al Louvre) e dove fu cumulato di alte onorificenze e di preziosi donativi. Pio VII, rientrato in Roma dopo la cattività di Savona e di Fontainebleau, richiamò  il Nasalli, che in quel periodo aveva condotto vita privata a Piacenza, e gli affidò delicate missioni. Il Nasalli trattò presso la Santa Sede, con piena soddisfazione dei duchi, gli affari ecclesiastici del Ducato di Parma, per il quale preparò anche un progetto di concordato. Fu poi referendario di Segnatura, luogotenente civile del vicariato di Roma, inviato pontificio presso la Corte di Ferdinando VII di Spagna, arcivescovo titolare di Cirro (27 dicembre 1819) e nunzio apostolico in Svizzera. Quivi, con paziente e non sempre fortunata sagacia, trattò coi Cantoni l’aspro problema dell’erezione di nuove diocesi, che ancora nella conferenza di Langenthal del 1824 era ben lungi da una soluzione soddisfacente, e coi Grigioni la soppressione del convento di Münster. Lasciando in Svizzera il suo incaricato Pasquale Tommaso Gizzi, si recò nei Paesi Bassi, inviatovi da Pio VII (breve del 22 luglio 1823), dove lavorò con sapiente tenacia per definire un concordato che salvaguardasse i diritti della Santa Sede minacciati dalle pretese giuseppinistiche del re Guglielmo I, appoggiato dalla chiesa giansenistica di Utrecht. Un documento prezioso della sua vasta opera è l’abbondante carteggio. Vecchio e spossato dal lavoro, ritornò infine a Roma, rinunciando alla nunziatura svizzera, che fu affidata a Pietro Ostini (11 dicembre 1826). A premiare il suo zelo prudente e indefesso, papa Leone XII, che gli fu legato da affettuosa amicizia, lo elesse cardinale del titolo di Sant’Agnese fuori le mura (25 giugno 1827). Partecipò ai conclavi donde uscirono i papi Pio VIII e Gregorio XVI. Morì a Palazzo Altieri. Legò le sue sostanze alla chiesa di Sant’Agnese in Roma (dove fu sepolto), alla Cattedrale di Piacenza, alle collegiate di Borgonovo, Trevonzo e Santa Maria di Campagna. Leone XIII, alla fine del secolo, lo ricordava ancora con commossa venerazione.
FONTI E BIBL.: Moroni, XLVII, 233-238; M.De Camillis, in Osservatore Romano 22 maggio 1949; M.De Camillis, in Enciclopedia cattolica, VIII, 1952, 1661; Dizionario ecclesiastico, II, 1955, 1101; Enciclopedia ecclesiastica, VII, 1962, 401-402; E.F.Fiorentini, Personaggi piacentini dell’ultimo secolo, Piacenza, 1972, 81-83.

NASALLI MARIA GIUSEPPA
Piacenza 1719-Parma 1777
Fu clarissa cappuccina e poi badessa del monastero di Santa Maria della Neve in Parma.
FONTI E BIBL.: E. Nasalli Rocca, Maria Giuseppa Nasalli, abbadessa delle Cappuccine vecchie di Parma, in Frate Francesco 14 1963, 204s.; F. da Mareto, Le cappuccine, 1970, 304.

NASI CARLO
Parma 1891/1898
Avvocato, fu eletto deputato di Parma nella XVII legislatura. Alla Camera sedette al centro destra, votando a favore del Rudinì. Fu molto assiduo ai lavori parlamentari prendendo spesso la parola e facendo parte di commissioni.
FONTI E BIBL.: T. Sarti, Il Parlamento Subalpino e Italiano, due volumi, Roma, 1896, e 1898; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori, 1941, II, 242.

NASSI CARLO
Parma 1646 c.-Parma 25 febbraio 1707
Pittore, dovette essere considerato un buon copista in quanto del Nassi restano ricevute di pagamenti per quadri ripresi da dipinti di Ludovico Carracci e dello Spada nel Palazzo del Giardino di Parma. Abitò col figlio Francesco nella vicinia di San Nicolò, come risulta da un’annotazione fiscale secondo la quale i due devono per uso della Peruca l’anno 1701, 4 lire e 12 soldi all’anno per ciascuno. Il Nassi fu anche incisore.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F.Becker, Künstler-Lexikon, volume XXV, 1931; Dizionario Bolaffi pittori, VIII, 1975, 93; Aurea Parma 2 1980, 161.

NASSI FRANCESCO
Parma 29 agosto 1672-Parma 1723
Figlio di Carlo. Incise su rame la celebre Notte del Correggio, che si trova a Dresda, e non senza buona grazia, come si esprime l’Affò. Il Nassi dedicò l’opera a Giuseppe Olgiati, vescovo di Parma dal 1694 al 1711, con otto versi latini, per cui è presumibile che avesse una discreta cultura. Nel 1722 dipinse una Morte di San Giuseppe per la chiesa di Santa Cristina di Parma.
FONTI E BIBL.: U.Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, volume XXV, 1931; Dizionario Bolaffi pittori, VIII, 1975, 93; Aurea Parma 2 1980, 161-162.

NASTRUCCI FRANCESCO
Parma 19 gennaio 1839-Busseto 23 marzo 1910
Intraprese lo studio del violino (allievo di Giuseppe Del Maino) presso il Regio Conservatorio di Musica di Parma, ove entrò nel 1847 per uscirne diplomato nell’aprile 1856. Nel marzo 1856 divenne professore presso la Ducale orchestra di Parma. Animato da spirito patriottico, nel 1859 abbandonò il posto per partire volontario sotto le insegne garibaldine. Riprese poi la carriera artistica, che lo vide prima viola nell’Orchestra Regia di Parma nonché nelle orchestre di Milano, Venezia, Padova e dei principali teatri italiani. Dal febbraio del 1874 si stabilì a Busseto ove svolse attività di direttore dell’orchestra teatrale e di insegnante di strumenti ad arco dal 1881, subentrando al Bassoli, nonché di insegnante di strumenti a fiato dal 1883, subentrando al Cocchi, presso la locale Scuola di Musica. Godette della stima e dell’amicizia di Giuseppe Verdi, del maestro Faccio, di altri illustri artisti e dell’intera cittadinanza.
FONTI E BIBL.: Necrologio, in Libertà 26 marzo 1910; P. Bettoli, Fasti musicali, 1875, 109-110; G. Dacci, Cenni storici e statistici intorno alla Reale Scuola di Musica in Parma, Parma, L. Battei, 1888, 266-267; E. De Giovanni, Piacentini illustri alla Scuola Musicale in Parma (1818-1888), Piacenza, UTP, 1927, 5-6; C. Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, supplemento, 561; B. Molossi, Dizionario dei parmigiani grandi e piccini dal 1900 a oggi, Parma, LTP, 1957, 111; Orchestre, 179; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 288; P.Datilini, in Dizionario Biografico Piacentino, 1987, 186-187.

NASTRUCCI GINO
Fontanellato 18 gennaio 1879-Milano 15 luglio 1958
Figlio di Francesco, intraprese lo studio del violino sotto la guida del padre, lo proseguì al Regio Conservatorio di Parma e nel 1896 ottenne il diploma presso il Liceo Musicale di Bologna. Fece il suo debutto a Lucca e da qui inizò la sua brillante carriera che lo vide far parte delle orchestre più stimate nelle più importanti stagioni liriche in Italia (Venezia, 1897) e all’estero (Lisbona, 1898 e 1901, New York, 1913, e Buenos Aires, 1899). Dal 1904 al 1913 appartenne all’Orchestra della Scala di Milano e, al tempo stesso, fu dal 1909 primo violino e direttore del Quartetto Nastrucci, con Luigi Abbiate o Ugo Nastrucci (violoncello), Marco Segrè e G. Albisi. Per desiderio di Toscanini, dal 1922 divenne primo violino di spalla alla Scala di Milano (vi rimase fino al 1933). Inoltre, di Toscanini fu anche allievo prediletto come direttore d’orchestra e in questa veste fu attivo a Busseto fino al 1937: si ricordano la sua direzione dell’Aida nel 1910 e del Trovatore nella stagione d’autunno del 1933.
FONTI E BIBL.: Concerti: il quadretto Nastrucci, in Libertà 29 febbraio 1912; Il quartetto Nastrucci stasera al Filodrammatico, in Libertà 1 marzo 1912; Il quartetto Nastrucci, in Libertà 2 marzo 1912; G.  Limo, I cinque musicisti Nastrucci, in VC, XI, 1970, 158; Fu violoncello con Toscanini, in Selezione Piacentina II 1957, 23; Cittadino che si distingue, in Nuovo Giornale 10 marzo 1929; C. Schmidl, Dizionario Universale dei Musicisti, supplemento, 561; M. Ferrarini, Parma teatrale ottocentesca, Parma, Casanova, 1946, 143-144; D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 288; P. Datilini, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 187.

NASTRUCCI MARIA
Parma 1895
Arpista. Nel marzo 1895 fu scritturata al Teatro Reinach di Parma. Non risulta tra i diplomati del Conservatorio di Parma.
FONTI E BIBL.: Otello 3 marzo 1895.

NASTRUCCI UGO
Piacenza 1875-Milano gennaio 1938
Figlio di Francesco, studiò violoncello alla Regia Scuola di musica di Parma, dove si diplomò nel 1896. Debuttò lo stesso anno a Brescia nell’orchestra diretta da Toscanini e dette inizio a una carriera che lo vide nei maggiori teatri. Nel 1898 e 1899 fu a Torino, sia al Teatro Regio che ai concerti sinfonici dell’Esposizione Nazionale, poi a Zurigo, Francoforte e Lisbona. A Londra si fermò un gran numero di stagioni fino al 1910, anno in cui fu scritturato da Toscanini come primo violoncello al Teatro alla Scala di Milano. Quando la Scala chiuse per la guerra, diventò direttore dell’orchestrina sui transatlantici Conte Verde e Conte Biancamano. Si fermò negli Stati Uniti al Teatro Metropolitan fino al 1922, anno in cui fu espulso per le leggi sull’immigrazione, quindi ritornò alla Scala come violoncello. Fu anche compositore e si specializzò in riduzioni e trascrizioni di opere per le incisioni della Voce del padrone. Fece parte per anni del Quartetto Nastrucci, in cui primo violino era il fratello Gino.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia di Parma, 1998, 480.

NATALI RANIERO
Parma 22 giugno 1711-
Figlio di Francesco. Suoi affreschi si trovano nell’oratorio di Santa Teresa a Parma.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker, volume XXV, 1931; R. Bossaglia, V. Bianchi e L. Bertocchi, Due secoli di pittura barocca a Pontremoli, Cassa di Risparmio di Carrara, Genova, 1974; Dizionario Bolaffi pittori, VIII, 1975, 95.

NATTINI AMOS
Genova 16 marzo 1892-Parma 3 ottobre 1985
Arrivato all’arte dall’esempio del prozio pittore e incisore Amos Oppizio Nattini, frequentò l’Accademia per breve tempo, preferendo volgere altrove i suoi studi, osservando e meditando sul vero. Si diplomò in ragioneria. Per molti anni si appassionò allo studio dell’anatomia. Eseguì un grande disegno illustrante le terzine della Canzone del Sacramento di D’Annunzio. Questo lavoro fu molto lodato e il Nattini continuò (1911) nell’illustrazione dell’opera Canzoni d’oltremare di D’Annunzio: il poeta lo chiamò Pittore degli Spiriti e lo chiamò a Parigi, ove il Nattini restò fino alla conflagrazione della prima guerra mondiale. Durante questa, il Credito Italiano di Genova lo incaricò della propaganda figurativa per i prestiti di guerra: dipinse vaste composizioni simboliche, di molte decine di quadrature, a ornamento del Ponte Monumentale di Genova e per far fronte della Sede del Credito Italiano della stessa città. In seguito illustrò la Divina Commedia, che gli costò oltre vent’anni di lavoro ma gli procurò larghi consensi. L’opera, monumentale, frutto di un febbrile lavoro, uscì nel VI centenario della morte del poeta (1921), imponendosi alla critica e al pubblico soprattutto perché in essa riemergevano nel taglio compositivo e nell’impostazione figurativa i più eletti canoni dell’arte italiana. Con una tecnica sottile, con lo smalto dei colori, con l’audacia delle inquadrature, la cui efficacia a volte prevale sullo slancio emotivo, sempre sorretto da un ragionamento formale impeccabile, il Nattini nella sua visione fantastica concretizza elementi di realtà tangibile, particolarmente nel vigoroso impianto dei nudi che si staccano con risalto plastico e scultoreo dai fondi magistralmente armonizzati e ricchi di tonalità trasparenti. Nel 1931 un costituito Comité France-Italie, presieduto dall’Accademico di Francia Pierre De Nolhac, a nome del Ministero dell’Istruzione Francese, invitò il Nattini a Parigi per una sua Mostra Dantesca al Jeu de Paume. Centomila visitatori e un numero notevole di articoli critici ne suggellarono il successo. Due sono le edizioni della Divina Commedia del Nattini: la maggiore, di proporzioni monumentali, terminata a Milano nel 1939 (Istituto dantesco italiano), e la minore (ma sempre di rispettabili dimensioni), stampata, pure a Milano, nel 1961 (A la chance du Bibliofile). Il cammino del Nattini sugli itinerari danteschi, iniziò praticamente nel 1915, con tre tavole.Segnò poi una pausa dovuta alla prima guerra mondiale e raggiunse le dieci tavole nel 1921. Il complesso di venti tavole fu terminato nel 1927 e quello di trenta nel 1929. Una Cantica intera, cioè un terzo dell’opera, composta da 35 tavole, vide la luce nel 1931.Poi, tra il 1931 e il 1939, il Nattini terminò le restanti due Cantiche, composte di 66 canti complessivi, realizzando finalmente i tre preziosi volumi dell’opera completa. Nel 1938 fu eletto Accademico di merito dell’Accademia Ligustica. Il Nattini fu inoltre professore accademico dell’Accademia di Belle Arti di Parma. Il Nattini fece parte della resistenza e venne imprigionato e processato dalla Gestapo.Fuggì poi sull’Appennino parmense. Dal 1923 al 1941 visse a Milano, poi si ritirò a Oppiano di Gaiano. Nel 1946 fu eletto sindaco di Collecchio. Si dedicò particolarmente alla raffigurazione di equini in libertà (Diligenza del Far-West, Ritirata di cavalleggeri, Traino misto della lesa, Muli nella neve, Cavalli enosigei, Lipizzano, Morello sauro, Palomino, Berberi di Maremma, Addio Palù, Eros tra i cavalli, Epona) e fu, inoltre, abile pittore battaglista. In quest’ultima branca, spiccano notevoli le vaste composizioni sulla Battaglia di Fornovo (1945, alla Cassa di Risparmio di Parma) e sulla Carica del Reggimento Guide a Monzambano, sulla Carica dei Carabinieri Reali a Pastrengo (1938) e sulla Carica del Savoia Cavalleria ad Isbuscensky (1942). Del Nattini vi è poi tutta la serie di opere nelle quali la natura non è soltanto ambiente ove si svolge una battaglia ma è protagonista essa stessa: Pascolo al Tugo, La raccolta delle ginestre sopra Cargalla, Bosco di Corniglio, Capo Santa Chiara a Genova, Il monte Orsaro, La via dell’amore a Riomaggiore, Sotto Roccalanzona, Lampi a Oppiano e Prima neve alla stalla. Altre sue opere figurano alla Camera di Commercio di Parma, nel Consorzio Agrario di Parma, nella Banca Emiliana, alle Costruzioni Meccaniche Luciani di Parma e alle Costruzioni Meccaniche Riva di Milano. Nella sua produzione interferirono diversi stimoli culturali, dal simbolismo floreale, così vivo all’inizio del XX secolo, ai richiami accademici, che lo spinsero soprattutto allo studio del Signorelli e di Michelangelo, da un realismo piuttosto oleografico fino a una scenografia cui non furono estranei nemmeno gli effetti di una certa produzione cinematografica tendente al colossale. Non mancarono nemmeno spunti espressionistici, particolarmente nell’Inferno, e atteggiamenti desunti dai preraffaelliti, soprattutto nel Purgatorio, e ovunque è diffusa una sensualità dannunziana.
FONTI E BIBL.: F. Botti, Collecchio, Sala Baganza, Felino, 1961, 75-76; U.Ojetti, in Il Corriere della Sera 5 maggio 1931; C.Semenzato, in Enciclopedia Dantesca, IV, 1973, 13; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1973, 2194; Francesco Scaramuzza, 1974, 81; T. Marcheselli, Strade di Parma, III 1990, 264-265; T.Marcheselli, in Gazzetta di Parma 4 ottobre 1985, 6.

NAUDIN EMILIO CLODOVALDO
Parma 23 ottobre 1823-Bologna 5 maggio 1890
Figlio del pittore Giuseppe, di famiglia francese stabilitasi in Italia, e di Margherita Leoni. A sette anni fu iniziato nella musica dal Simonis. Perché figlio di pittore di Corte, nel 1833 entrò gratuitamente nel Collegio Maria Luigia di Parma e vi percorse tutti gli studi inferiori. All’Università, seguitando a coltivare la musica, si volse agli studi della medicina e chirurgia, che poi interruppe, per dedicarsi interamente al canto. Studiò il canto a Milano con Giacomo Panizza e debuttò a Cremona nella Saffo di Pacini nel 1843. Nel 1846 fu al Carlo Felice di Genova e nella stagione 1849-1850 all’Apollo di Roma in Poliuto, Due Foscari e Luisa Miller, distinguendosi subito dopo alla Pergola di Firenze nei Puritani e ad Ascoli Piceno nella Lucia. A Roma cantò di nuovo all’Apollo nel 1851 (tra l’altro, prima esecuzione locale dello Stiffelio di Verdi) e nel 1855 (prima esecuzione locale di Traviata) e all’Argentina nella primavera 1855. Si fece conoscere in Russia (Odessa 1851, Pietroburgo 1853-1854) e debuttò al Drury Lane di Londra e alla Scala di Milano (1858). Ormai celebre, continuò la carriera al Real di Madrid, al Theatre Italien di Parigi (1862-1864), al Covent Garden di Londra (1863-1868) e al S. Carlos di Lisbona (1867). Intanto arricchì il suo repertorio con Sonnambula, Frà Diavolo e Muta di Portici di Auber, Lucrezia Borgia, Ballo in maschera, Rigoletto e Africana (che cantò in prima esecuzione nel 1865 per una esplicita clausola del testamento di Meyerbeer). Nella primavera 1869, al Covent Garden, apparve anche in Don Giovanni, Don Pasquale e Linda. Pur sembrando in declino vocale al corrispondente londinese della Gazzetta dei Teatri, si ripresentò a Londra fino al 1874,  ma apparve anche in forma eccellente a Pietroburgo (1873-1874), a Mosca (1874-1875) e in Spagna (quasi tutti gli anni tra il 1875 e il 1879). Dal 1880 si esibì, pressoché esclusivamente nella Lucia, in teatri italiani non di primo piano, riuscendo talora a compensare le deficienze vocali con le risorse del mestiere e del temperamento. Nell’estate 1882 fu applaudito ancora al Ristori di Verona e al Teatro Scribe di Torino, ma quando, dopo un periodo d’inattività, si ripresentò sulle scene, fu sonoramente disapprovato e si ritirò (Bologna, Teatro Corso, marzo 1885). Bellissimo, elegante, avventuroso, il Naudin incarnò il mito romantico del tenore re del melodramma, rivaleggiando con Mario anche in sfarzo e prodigalità. Meno grand seigneur e meno dotato, moralmente e culturalmente, di Mario, negli ultimi anni dovette  ridursi ad accettare un misero impiego presso il Casino di Montecarlo. Come tenore, conobbe vibrazioni drammatiche che gli consentirono di misurarsi anche col Trovatore, ma, sia per temperamento che per suggestiva soavità di timbro, rientrò nel novero degli interpreti patetici alla Moriani (non per nulla Edgardo fu il suo personaggio favorito). Tuttavia, grazie alla prestanza scenica, all’amore per i costumi ricercati e lussuosi, alla raffinatezza dello stile vocale e al gusto tutto francese di una recitazione accurata ed elegantissima, brillò in personaggi spregiudicati o addirittura cinici, quali il Duca di Mantova e, soprattutto, Fra’ Diavolo. Il Naudin fu socio onorario della Società Filarmonica di Bologna, di quella di Firenze e della Congregazione pontificia di Santa Cecilia. Fu insignito della Croce di cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro (oltre che di varie onorificenze avute da governi esteri) e accademico e membro di molti istituti. Morì al termine di una lenta arteriosclerosi cerebrale che negli ultimi tempi lo rese paralitico. Fu sepolto nella Certosa di Bologna.
FONTI E BIBL.: L. Mastrigli, Uomini illustri nella musica, 1883, 334-335; A. Pariset, Dizionario biografico, 1905, 74-75; M. Ferrarini, Cantanti celebri, in Aurea Parma 1938, 49-52; Enciclopedia spettacolo, VII, 1960, 1047; Parma. Vicende e protagonisti, 1978, III, 318; Dizionario musicisti UTET, 1987, V, 331; Dizionario Opera lirica, 1991, 607-608; Grandi di Parma, 1991, 89.

NAUDIN GIUSEPPE
Parma 10 maggio 1792-Parma 5 dicembre 1872
Figlio di Filippo e Maria Corsini. Discendente da una famiglia francese trasferitasi a Parma all’epoca dei primi Borbone, il Naudin frequentò lo studio di Paolo Toschi specializzandosi nell’arte della miniatura e dell’acquerello. Dopo un certo periodo di collaborazione col Toschi e col Raimondi, durante il quale perfezionò ancora di più la sua tecnica puntigliosa, acquistò notorietà attraverso una serie di raffinate copie all’acquerello degli affreschi di Correggio. Come acquerellista e miniaturista, di purissima estrazione neoclassica, raggiunse ben presto fama nazionale. Maria Luigia d’Austria lo nominò pittore di Corte e gli affidò l’educazione artistica della figlia Albertina. Accademico d’onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma, il Naudin dipinse acquerelli dagli affreschi di vari pittori e compose squisiti quadri delle residenze di campagna e degli interni del Palazzo ducale di Parma comprendenti La sala di Ricevimento, La sala del Trono, La sala di Conversazione e La sala di studio dei figli di Maria Luigia d’Austria. Ebbe diverse committenze private, tra cui Palazzo Carmi e la Villa Tedeschi. Fu assiduo frequentatore della Corte e Maria Luigia d’Austria perfezionò, sotto la sua guida, la sua arte di non disprezzabile acquerellista. I quadri di piccolo formato costituiscono le testimonianze più rappresentative dell’attività del Naudin. La maggior parte delle sue opere sono conservate al Museo Glauco Lombardi di Parma: Il castello di Torrechiara, Il giardino privato di Maria Luigia, posto tra la Pilotta e il Palazzo Ducale (altra versione si trova a Parma, in collezione privata), Sala del trono, Sala di ricevimento, Sala di soggiorno, Camera da letto di Maria Luigia, Costume di contadina parmense, Ritratto di dama di Palazzo, Ritratto di Chiara Mazzucchini Guidoboni-Cerati, Ritratto della contessa Castagnola, Monumento a Rodolfo d’Asburgo, Camera da letto di Neipperg, Ritratto di Albertina di Montenuovo, Ritratto di Guglielmo di Montenuovo, Sala da studio, Ritratto di Alberto Sanvitale, La duchessa Maria Luigia in un viale del Casino dei Boschi. Noto in tutta Italia, al Naudin furono commissionate opere anche da altre città e gli furono conferite varie attestazioni di merito: nel 1872 il Re d’Italia lo fregiò di medaglia d’oro e delle insegne mauriziane.
FONTI E BIBL.: G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani, 1877, 275; G. Copertini, Pittura dell’Ottocento, 1971, 25; A.O. Quintavalle, La Regia Galleria di Parma, Roma, 1939; G. Allegri Tassoni, Mostra dell’Accademia parmense, catalogo, Parma 1952; R. Tassi, Acquarelli di Naudin, in Aurea Parma 1969; G. Copertini, La pittura parmense dell’800, Milano, 1971; P. Martini-G. Capacchi, Arte incisione a Parma, 1969; G.L.Marini, in Dizionario Bolaffi Pittori, VIII, 1975, 97; Disegni Antichi, 1988, 106;   A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 274; Aurea Parma 3 1993, 248.

NAULI GIACOMO
Parma 1198
Fu avvocato in Parma nell’anno 1198.
FONTI E BIBL.: F. da Mareto, Indice, 1967, 639.

NAVARESI ANGELO
Parma 12 maggio 1912-Eia 16 novembre 1944
Partigiano, venne fucilato dai nazifascisti.
FONTI E BIBL.: T. Marcheselli, Strade di Parma, II, 1989, 108.

NAVARRO GIOVANNI
Parma 19 settembre 1782-
Figlio di Giuseppe. Nel 1803 fu volontario dell’Artiglieria Italiana, poi Sergente e nel 1812 Sottotenente al servizio di Francia.Nel 1814 fu Sottotenente del Reggimento Maria Luigia di Parma. Prese parte alle seguenti campagne: 1805 Napoli, 1808-1811 Spagna, 1813 Germania, 1814 Italia (ferito due volte), 1815 Napoli e Francia.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 29.

NAVE FEDERICO
Parma prima metà del XVIII secolo
Ricamatore attivo nella prima metà del XVIII secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, VII, 144.

NAVE, vedi anche DALLA NAVE

NAZARI ANTONIO, vedi AZARI ANTONIO

NAZZARI FRANCESCO
Parma 5 febbraio 1920-Pellegrino Parmense 11 febbraio 1945
Figlio di Rambaldo. Partigiano della 31a Brigata Garibaldi, fu decorato di medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente motivazione: Nel corso di un rastrellamento, mentre la propria formazione era costretta a ritirarsi, volontariamente si attardava per mettere in salvo le armi e munizioni. Scoperto da forte pattuglia nemica, si difendeva strenuamente; colpito a morte, si abbatteva esanime al suolo.
FONTI E BIBL.: Decorati al valore, 1964, 105; Caduti resistenza, 1970, 84.

NAZZARI FRANCO, vedi NAZZARI FRANCESCO

NAZZARI GIUSEPPE
Parma-post 1815
Nella stagione di Fiera del 1815 danzò al Pubblico Teatro di Reggio Emilia nel ballo Gundenberga.
FONTI E BIBL.: P. Fabbri-R. Verti; G.N. Vetro, Dizionario, Addenda, 1999.

NEGRI ALESSANDRO
Parma 1662
Figlio di Nicola. Fu immatricolato tra gli Ufficiali dell’Arte dei falegnami di Parma nell’anno 1662.
FONTI E BIBL.: Beghini, 1713, 2; Il mobile a Parma, 1983, 255.

NEGRI ANTONIO MARIA GIUSEPPE
Parma 19 agosto 1698-Parma 10 novembre 1785
Figlio di Agostino e di Maria Maddalena Beghi. Fu giureconsulto e podestà di Torrechiara. Nel 1730 pubblicò il poema Puer Marianus. Il Negri si sposò con una zia paterna di Pietro Fainardi, magistrato. Grande sostenitore dei Gesuiti, il Negri scrisse e improvvisò versi latini, parlava con scioltezza lo spagnolo e scrisse versi in quella lingua.
FONTI E BIBL.: A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1833, IV, 174-175.

NEGRI AUGUSTO
Parma 1 dicembre 1823-Parma 9 aprile 1862
Figlio di Luigi, attrezzista teatrale, continuò nell’impresa paterna presso il Teatro Ducale di Parma, prima con il nome della ditta paterna, poi con il suo. Lavorò anche in altri teatri e in quello di Reggio Emilia fu presente in un grande numero di stagioni dal 1847 alla morte.
FONTI E BIBL.: Fabbri e Verti; Inventario; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

NEGRI CORRADO
Montesalso di Varano de’ Melegari 1316
Figlio di Guglielmo Guidotto. Fu medicus oculorum e tenne cattedra di medicina all’Università di Parma nell’anno 1316.
FONTI E BIBL.: M. Castelli, I Pallavicino di Varano, 1997, 153.

NEGRI GAETANO
Guastalla 1797-Parma 12 settembre 1849
Dopo aver preso la laurea a Parma ed essersi perfezionato a Bologna nella scuola del celebre clinico Giacomo Tommasini, fu medico a Guastalla (1823). Nello stesso anno fu riconosciuto appartenere alla società dei carbonari, per cui fu condannato e costretto a espatriare. Si recò in Inghilterra ove conobbe Ugo Foscolo, che poi, insieme col dottore inglese George Frederik Collier, assistette negli ultimi giorni di vita. Rimase a Londra fino al 1835, nel quale anno si stabilì definitivamente a Parma.
FONTI E BIBL.: Dizionario risorgimento, 3, 1933, 684; O. Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 192; S. Fermi, Due patrioti parmigiani compagni di esilio di Ugo Foscolo: Gaetano Negri e Filippo Bacchi, in Gazzetta di Parma 10 settembre 1927.

NEGRI GAETANO
Parma 8 agosto 1847-Parma 6 ottobre 1878
Figlio di Alessandro e Santa Borziga.Fu scrittore storico e patriota. Combattè nella campagna per l’indipendenza italiana del 1866.
FONTI E BIBL.: Cenno necrologico, in Il Presente 9 ottobre 1878; G. Sitti, Il Risorgimento italiano nelle epigrafi parmensi, Parma, 1915, 193; F. Da Mareto, Bibliografia, 1974, 745.

NEGRI GIOVANNI
Cereseto di Compiano 1857-Piacenza 1928
Si laureò in lettere nel 1884 all’Università di Pisa. Nello stesso anno conseguì il diploma di magistero alla Scuola Normale di Pisa e nel 1885 si laureò in filosofia. Si dedicò quindi all’insegnamento di lettere nelle scuole medie superiori di varie città italiane (Ascoli, Cagliari, Forlì, Bergamo, Pavia) e nel 1903 si trasferì a Piacenza per ricoprire la cattedra di italiano e storia dell’Istituto tecnico Romagnosi.A Piacenza il Negri rimase per il resto della vita. Spirito profondamente religioso, concepì l’insegnamento come una missione alla quale si dedicò interamente. Critico acuto e penetrante, dotato di una vasta erudizione non solo letteraria ma anche filosofica, biblica e patristica, rivolse in modo particolare la sua attenzione al Manzoni e al Leopardi. Pubblicò infatti Sui Promessi Sposi di A. Manzoni. Commenti critici, estetici e biblici (Milano, 1903-1906, due volumi), ove analizza il romanzo dimostrando una straordinaria erudizione e prende in esame la critica precedente, tra cui quella di Fogazzaro, alla quale dedica l’ultima parte del saggio. Sul Leopardi compose un’opera di carattere antologico in sei volumi (Divagazioni Leopardiane, Pavia, 1894-1899) nella quale sono raccolti innumerevoli saggi e note critiche sul corpus poetico del recanatese. Il Negri si occupò anche di Dante e pubblicò alcuni articoli su riviste specializzate e in raccolte di studi vari.
FONTI E BIBL.: E. De Giovanni, Piacenza dovrebbe ricordare la figura di Giovanni Negri, in Libertà 3 novembre 1951; E. Mandelli, Studi danteschi di Vittorio Osimo e di Giovanni Negri, in Piacenza e Dante, Piacenza, 1967, 158-163; Mille pagine sui Promessi Sposi di un professore del Romagnosi, in Libertà 26 novembre 1973; C.E. Manfredi, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 290-291.

NEGRI GIUSEPPE
Parma 1679/1681
Falegname, nel 1680 fu immatricolato tra gli ufficiali dell’arte.
FONTI E BIBL.: Il mobile a Parma, 1983, 255.

NEGRI GIUSEPPE, vedi anche NEGRIMarco Antonio Giuseppe

NEGRI LUIGI
Parma 21 gennaio 1804-Borgo San Donnino 24 febbraio 1844
Figlio di Domenico e Rosa Spaggiari. Allievo di Giovanni Zurlini, attrezzista teatrale, nel marzo 1832 prese il suo posto al Teatro Ducale di Parma e vi fu nominato stabilmente nel 1835. Era proprietario e inventore degli attrezzi in uso nel Teatro. Lavorò anche per altre scene e la Gazzetta di Parma del 2 febbraio 1839 scrisse che la sua attività era accolta con gradimento al Teatro Municipale di Reggio Emilia, dove infatti lavorò per molte stagioni tra il 1833 e il 1843. Lo Stocchi riporta: Forse in Italia non è secondo ad altri, tant’è l’eleganza e la solidità e tanto il rigore storico che si riscontrano ne’ suoi lavori; ai quali non comuni pregi aggiungi la puntualità nel soddisfare alle commissioni, e la modicità dei prezzi. L’impresa fu continuata dal figlio.
FONTI E BIBL.: Fabbri e Verti; Inventario; Stocchi; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

NEGRI MARCO ANTONIO GIUSEPPE
Parma 14 settembre 1726-Parma 1805
Nacque da una figlia di Domenico Poncini, Felicia Maria Margherita, che aveva sposato nel 1717 Giovanni Antonio Negri. Dato che aveva appreso presso lo zio Bernardo Poncini l’arte organaria per la quale divenne famoso, aggiunse il suo cognome a quello paterno. Nel 1760 costruì l’organo di San Pietro d’Alcantara in Parma e l’anno dopo quello della parrocchia di Calestano. Nel 1764 fu la volta di quello della chiesa di Santa Cristina (restaurato nel 1983), nel 1769 quello di San Tomaso e nel 1774 probabilmente costruì l’organo di Trecasali, poi a Basilicagoiano. Nel 1780 ricostruì quello di Benedetto Antegnati del 1574 in cornu Evangelii della Steccata di Parma. Nel 1793 costruì uno strumento a Sorbolo (poi in Sant’Uldarico in Parma) e nel 1798 uno a Vigatto.
FONTI E BIBL.: Malacoda 37 1991, 9; Enciclopedia di Parma, 1998, 548.

NEGRI NICOLA
Parma 1662
Nell’anno 1662 fu immatricolato tra gli Ufficiali dell’Arte dei falegnami di Parma.
FONTI E BIBL.: Beghini, 1713, 2; Il mobile a Parma, 1983, 255.


NEGRI ODOARDO
Parma 1887/1907
Fu il titolare della Premiata Fabbriceria Lavori Cemento e Marmo Artificiale Lavori di decorazione e Cemento Portland. Realizzò il portale in cemento lavorato alla martellina a imitazione della pietra, progettato da Lamberto Cusani, collocato all’ingresso dell’Aula Magna dell’Università di Parma (1907).
FONTI E BIBL.: Gli anni del liberty, 1993, 157.

NEGRI ORESTE
Parma 1862-Torino 24 marzo 1905
Fu cantante di buon valore.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

NEGRI OTTAVIO
Parma-Parma post 1647
Sacerdote, fu nominato tenore alla chiesa della Steccata di Parma, su proposta del duca Ranuccio Farnese, il 14 gennaio 1622. Assai bisognoso, ebbe un donativo di 100 libbre imperiali il 26 febbraio 1638. Più volte partecipò alle funzioni religiose solenni della Cattedrale di Parma fin dal 1633. Il 25 gennaio 1639 fu investito di un beneficio in Cattedrale, che rinunciò il 12 settembre 1644. Alla Steccata figurò ancora tra i musicisti fino al 7 febbraio 1647.
FONTI E BIBL.: N. Pelicelli, Musica in Parma, 1936, 89.

NEGRI PIETRO
Parma prima metà del XIX secolo
Pittore attivo nella prima metà del XIX secolo.
FONTI E BIBL.: E. Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, IX, 206.

NEGRI TULLIO
Reggio Emilia 4 giugno 1908-Debra Amba 28 febbraio 1936
Figlio di Gioacchino e di Ines Cavalli. Si stabilì giovanissimo a Parma insieme alla famiglia. Nel febbraio del 1921, appena quindicenne, il Negri entrò nel Partito fascista. Con le squadre d’azione del Fascio di Parma partecipò a numerose spedizioni punitive contro sovversivi. Dopo aver preso parte alla marcia su Roma, fu ferito, alla periferia di Parma, in un’imboscata (11 febbraio 1923). Tutta la sua giovinezza fu dedicata alla vita del Fascio di Parma, nel quale venne chiamato a posti di responsabilità e di fiducia: fu Aiutante Maggiore del Fascio Giovanile Filippo Corridoni col grado di Aspirante Capo Maggiore e Capo dell’Ufficio Sportivo della Federazione dei Fasci di Combattimento. Dopo aver sposato Laura Rutili, il Negri continuò a partecipare attivamente alle organizzazioni del Partito fascista seguendo il Corso di preparazione politica, dove si distinse tra i migliori allievi. Ai primi segni del probabile conflitto africano, il Negri, abbandonata ogni carica politica, lasciò l’impiego presso la Società Emiliana di Esercizi Elettrici e, per quanto dichiarato inabile al servizio militare in colonia, riuscì tuttavia ad arruolarsi nella 180a Legione A. Farnese, chiamata a far parte della 2a Divisione camicie nere 28 Ottobre. Assegnato al comando della Farnese, il Negri, subito dopo lo sbarco e l’inizio delle operazioni militari, prese parte alle due avanzate su Adigrat e Macallè (ottobre e novembre 1935). Venne poi comandato a guardia della base legionale posta a Enda Teclaimanot e tornò in linea con la Legione al Passo di Uarieu verso la metà di febbraio. All’alba del 28 febbraio 1936, mentre la Legione lasciava il passo di Uarieu per dirigersi al Mai Beles, iniziando l’azione dei Roccioni di Debra Amba, il Negri venne comandato insieme a poche altre camicie nere, a restare di guardia al materiale del comando, ma con insistenti istanze presso i suoi superiori ottenne di prendere parte all’imminente combattimento. Il Negri fu tra i primi a cadere eroicamente sul campo di battaglia, colpito al petto da una pallottola esplosiva. Alla sua memoria venne concessa la medaglia di bronzo al valore militare, con la seguente motivazione: Comandato a rimanere alla base con i materiali del comando, insistentemente chiese ed ottenne di partecipare al combattimento. Nella lotta lasciava gloriosamente la vita sul campo. La salma del Negri fu sepolta a Passo Uarieu, nel Cimitero Medaglia d’oro Padre Reginaldo Giuliani.
FONTI E BIBL.: Parmensi nella conquista dell’impero, 1937, 234-235; Decaduti al valore, 1964, 93.

NEGRINI CARLO, vedi VILLA Carlo

NEGRI PONCINI CARLO DOMENICO GIUSEPPE
Parma 13 febbraio 1776-post 1813
Figlio di Marco Antonio Giuseppe e Maddalena Artusi.Costruì l’organo di Careno di Pellegrino nel 1813.Altri organi attribuibili al Negri Poncini sono in Parma (San Tommaso, Sant’Andrea) e in provincia (oratorio della Rocca di Fontanellato, Monticelli, Mulazzano).
FONTI E BIBL.: Malacoda 37 1991, 9.

NEGRI PONCINI MARCO ANTONIO GIUSEPPE, vedi NEGRIMarco Antonio Giuseppe

NEGRONI EVARISTO
Carzeto 1852-post 1949
Iniziò la carriera di organista nel Natale del 1870 alle Roncole. Per diversi anni, fino a quando non fu aperta la tramvia Soragna-Busseto, dopo aver lavorato l’intera settimana da sarto, partiva la domenica per tempo e a piedi faceva l’itinerario Carzeto, Soragna e Roncole per l’andata, Madonna dei Prati, Samboseto e Carzeto per il ritorno: in complesso più di venti chilometri di strada. La retribuzione era di due lire e cinquanta per ogni servizio. Verdi assistette spesso alle sue funzioni e una volta anzi entrò in chiesa con Boito e altri illustri personaggi (giugno 1895). In quell’occasione il Negroni suonò come suo solito riduzioni di opere verdiane. Quando si presentò per salutare il Maestro, questi, battendogli bonariamente una mano sulla spalla, gli disse: Bravo giovanotto! Incontrò il Maestro ancora qualche volta a Sant’Agata, dove fu organista per un quinquennio. Nel 1917 fu accettato nella casa di riposo dei musicisti. Ma quasi subito tutti i locali furono trasformati in ospedale militare. Rientrò perciò in famiglia con una pensione di 200 lire mensili. Nel 1924 la casa riaprì, ma il Negroni, per ragioni familiari, non vi fece ritorno e perdette anche la pensione. Nel 1949 era ancora in vita.
FONTI E BIBL.: Furlotti, Riflessi e profili; G.N. Vetro, Dizionario, 1998.

NEGRONI GIUSEPPE PIO
Parma 12 luglio 1751-Parma 22 novembre 1805
Vestì l’abito francescano il 30 ottobre 1766.Per molti anni fu professore di filosofia nelle Regie Scuole di Guastalla.Poi, trasferito a Parma, vi fu Lettore giubilato, Commissario di Terra Santa, Prefetto degli Studi e Consultore del Santo Uffizio (Atti Capit., t.2, 209, 243 e 245).Dopo la morte dell’Affò, il commissario generale Ilario da Montemagno, ottenute le necessarie facoltà dalla Santa Sede, con lettera del 7 giugno 1797 lo nominò Ministro provinciale.La nomina fu poi pubblicata nel convento di Parma il 14 settembre dello stesso anno (Atti Capit., t. 2, 243 e 244).Nel settembre 1798 il Negroni fu poi nominato con apposita lettera patenteDefinitore dell’Ordine (Atti Capit., t. 2, 245).Governò la Provincia in momenti di grande difficoltà politica ed economica. Nel 1800, quando tutto era già preparato per la celebrazione del Capitolo provinciale in Parma, l’aprirsi delle ostilità tra Francia e Austria e il conseguente instaurarsi del dominio napoleonico sull’Italia settentrionale costrinse la sacra Congregazione a prorogare per un anno (che diventarono poi tre) il provincialato del Negroni.
FONTI E BIBL.: G. Picconi, Ministri e Vicari Provinciali, 1908, 288-290.

NEGRONI LUIGI ANTONIO, vedi NEGRONI GIUSEPPE PIO

NEIPPERG ADAM ALBRECHT ADALBERT
Salisburgo 8 aprile 1775-Parma 22 febbraio 1829
Nacque da Leopold Joseph e Maria Ludovica contessa di Wildenberg Werther.Dal nonno, famoso nell’arte militare, e dal padre, ambasciatore abilissimo, ereditò quelle doti che, incentivate dall’educazione ricevuta all’Accademia, prima a Stoccarda e poi a Strasburgo, ne fecero un valoroso uomo d’armi e un eccellente uomo politico.A soli sedici anni si arruolò nel IIReggimento Ussari e da quel momento il Neipperg (baiardo tedesco, come lo chiamò Madame de Staël) percorse una brillantissima carriera militare. Da giovane ufficiale si distinse nelle prime guerre contro la Francia rivoluzionaria, segnatamente nelle battaglie di Jemmapes e di Neervinden.Fu fatto prigioniero con lo Stato maggiore e più volte ferito, perse un occhio (Dorlen, 1794), che fu costretto a tenere sempre bendato.Prima capitano, poi colonnello, infine aiutante di campo generale, combattè tra il 1805 e il 1809 in Italia, in Tirolo e in Polonia sotto l’arciduca Ferdinando d’Austria.Nel 1810 fu a Parigi. Nel 1811 fu inviato in missione presso il principe reale (poi re di Svezia) Bernardotte e seppe guadagnarlo nel 1813 alla causa della coalizione europea contro Napoleone Bonaparte.Divenuto feld-maresciallo dopo la battaglia di Lipsia, concluse con Gioacchino Murat, re di Napoli, un trattato di alleanza (11 gennaio 1814), ma non riuscì a fare lo stesso con Eugenio de Beauharnais, viceré d’Italia.Nel 1815 spiacque all’imperatore Francesco, come militare per essere giunto tardi sul campo di battaglia di Tolentino e come diplomatico per aver fatto partecipare gli Inglesi alla convenzione di Casalanza (20 maggio). Per organizzare lo scambio dei prigionieri, fu ambasciatore a Stoccolma in occasione del Trattato di alleanza tra Russia e Svezia.Nel 1813 sposò la contessa Teresa Remondini (nata contessa Pola) ed ebbe da lei quattro figli.Fu insignito dell’Ordine di San Giorgio di Russia e nominato commendatore dell’Ordine di Maria Teresa.Dopo il ritorno di Napoleone Bonaparte in Francia (1815) fu nominato comandante del I Corpo d’Armata e combatté contro Gioacchino Murat.Fu presente al Congresso di Vienna.Nel 1816 arrivò a Parma come cavaliere d’onore di Maria Luigia d’Austria (assieme alla quale era stato l’anno prima in Svizzera), che fece il suo solenne ingresso nel Ducato, e a Parma rimase fino alla morte. Ebbe la carica di ministro degli Esteri e degli Affari militari: svolse la sua attività con grande zelo ed equilibrio anche nei momenti più delicati.Dopo la morte di Napoleone Bonaparte, già vedovo, il Neipperg sposò morganaticamente la Duchessa (1821), della quale era stato precedentemente amante e dalla quale ebbe due figli: Albertina e Guglielmo.Al suo fianco condusse la vita politica del Ducato con equilibrio e saggezza.Il Neipperg non fu soltanto uomo d’armi e amministratore della cosa pubblica ma fu anche un uomo coltissimo: amò le arti e la poesia, ma soprattutto la musica, che coltivò con passione essendo egli stesso un ottimo pianista.Appassionato di opere liriche, sempre attento alle novità, protesse gli artisti. Improntata anche la propria vita a un’austera rigidezza, non tollerò nel governo del Ducato palesi ingiustizie o prepotenze.Carattere indipendente e tenace, dovette a lungo combattere contro le imposizioni del Metternich e dello stesso imperatore d’Austria, che tendevano a infeudare il Ducato alla politica austriaca.Di sentimenti aristocratici, comprese però lo spirito dei nuovi tempi: fu nemico delle persecuzioni e quando non poté ribellarsi agli ordini che venivano da Vienna, cercò di mitigare il danno con l’intervento della bontà sovrana.Nei procedimenti penali, dove altrove vigeva la tortura e l’arbitrio, col Neipperg trionfarono le maggiori garanzie di un procedimento legale, libertà di difesa e rispetto ai giudicabili.La gravità delle pene inflitte ai carbonari lascia un’ombra sulla fama di mitezza di Maria Luigia d’Austria e del Neipperg, ma occorre non dimenticare le intromissioni del Duca di Modena e gli ordini tassativi della Real Imperiale Corte di Vienna, ai quali non era possibile ribellarsi apertamente.Sta però di fatto che il governo ducale cercò in tutte le maniera di mitigare le asprezze delle condanne inflitte, sia coll’accordare sussidi alle famiglie dei condannati, sia coll’abolizione di confische, commutazioni di pene per amnistie e designazione di luoghi di espiazione.Il monumento funebre del Neipperg, scolpito da Lorenzo Bartolini, fu collocato nella chiesa di San Ludovico.
FONTI E BIBL.: P.Schiarini, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 686-687; un Aperçu militaire sur la bataille de Marengo del Neipperg è stato pubblicato da H.D. Prior in Revue de Paris, luglio 1906; un saggio del carteggio tra il Neipperg e il Metternich su Parma è stato presentato da E.Loevison in Archivio Storico per le Province Parmensi XXXIII 1933, 269-304; F.Maestri, Elogio di S.E. il Conte Alberto Adamo di Neipperg, Parma, 1829; Enciclopedia Italiana, XXIV, 1934, 533; Dizionario Storico Politico, 1971, 892; E.Massa, in Parma.Vicende e Protagonisti, 1978, III, 201-202; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 8.

NEIPPERG ALBERTINA MARIA
Parma 1 maggio 1817-Fontanellato 26 dicembre 1867
Figlia del conte Adam e della duchessa Maria Luigia d’Austria. Nacque quando il legittimo consorte di Maria Luigia d’Austria, Napoleone Bonaparte, era ancora in vita.Nonostante lo stretto riserbo imposto dal Metternich, la notizia fece il giro delle corti d’Europa.La Neipperg fu denunciata come figlia di ignoti nei registri del parroco che la battezzò (la Duchessa nell’agosto del 1816 aveva soppresso i registri dello stato civile, forse proprio per evitare, sapendosi incinta, pubbliche situazioni imbarazzanti).L’atto fu poi modificato con l’aggiunta del cognome Montenuovo (italianizzazione del cognome Neipperg).La Neipperg fu inizialmente affidata alle cure di persone di fiducia, tra cui il dottor Giuseppe Rossi e Marianne de Pury.Abitò in una casa poco lontana dal palazzo Ducale, congiunta a esso da un corridoio che permetteva il passaggio al riparo da occhi indiscreti. Di indole dolce, intelligente e colta, fu legatissima alla madre, dalla quale ereditò la passione per le arti e per i lavori più raffinati. Ebbe maestri valenti, che seppero trarre profitto dalle buone attitudini del suo ingegno e che le insegnarono con la storia, la geografia, le matematiche, le scienze naturali, la filosofia e le lettere, anche musica, ballo e disegno.Molti suoi scritti furono stampati nelle raccolte del tempo.Quando scoppiarono nella capitale del Ducato i moti del 1831 fuggì colla madre a Piacenza, accompagnata dal conte Luigi Sanvitale, che, pure essendo di idee liberali, non giudicò opportuna l’ora della riscossa fissata dai congiurati. Il 28 ottobre 1833, al Casino dei Boschi di Sala, andò sposa allo stesso conte Luigi Sanvitale.Testimone della sposa fu il cavaliere Lorenzo de Richer, in rappresentanza del principe di Metternich, per lo sposo il marchese Giuseppe Paveri Fontana.Ebbe quattro figli, due maschi (Alberto e Stefano) e due femmine morte prematuramente.La serenità della vita familiare fu turbata più tardi dall’esilio del marito, condannato dal duca Carlo di Borbone, che volle così punire la sua partecipazione, nel 1848, al Governo provvisorio.La Neipperg (che aveva preso parte alle feste civili celebrate nella Cattedrale di Parma) sopportò confische, depredazioni e umiliazioni.Si ritirò a vivere con i figli nel castello di Fontanellato, dando prova di grande forza d’animo e di notevole equilibrio.Ritornato finalmente il marito (1856), la Neipperg manifestò ancora una volta la forza del suo carattere quando consentì che uno dei figli partisse per la guerra d’Indipendenza, pur sapendo che il fratello Wilhelm combatteva dalla parte dell’Austria.La Neipperg morì di pleurite. Redasse in francese una relazione sui moti del 1831, non destinata alla pubblicazione, dal titolo: Memorie personali della contessa Albertina Sanvitale sui moti del ’31 a Parma. La sua generosità verso gli indigenti fu proverbiale: aprì, tra l’altro, durante l’epidemia di colera il suo palazzo di Fontanellato agli infermi.Come ha evidenziato Farinelli, il suo monumento funebre, opera di Cristoforo Marzaroli, posto in San Giovanni Evangelista a Parma, è in questo senso significativo: la Neipperg vi è raffigurata mentre un vecchio le bacia la mano e un’orfanella in punta di piedi le si aggrappa alle vesti.
FONTI E BIBL.: C. Pigorini Beri, Parole sulla tomba della contessa Albertina Sanvitale, Parma, Rossi Ubaldi, 1868; V.De Castro, Cenni biografici del conte Luigi Sanvitale, Borgomanero, 1873; O.Masnovo, I moti del ’31 a Parma, Torino, Società editrice internazionale, 1925, I.Bellini, in Dizionario Risorgimento, 4, 1937, 205-206; Orestano, Eroine, 1940, 318; G.Adorni, Discorso, Parma, 1870, 173; G. Adorni, Vita del conte Stefano Sanvitale, Parma, 1840, 111; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri o benemeriti nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, Genova, 1877, 403-407; P.Martini, Prefazione alle Poesie di Jacopo Sanvitale, Prato, 1875, 137; M. Bandini, Poetesse, 1942, 213; G.Adorni, Della contessa Alberta Sanvitale, Ricordazione alle alunne della Scuola normale femminile di Parma fatta il 9 gennaio 1868, Parma, Ferrari, 1868; P.Marenghi, Alla memoria del conte Luigi e della contessa Albertina (22 epigrafi), Parma, Ferrari, 1876; R.Ricci, Memorie della baronessa Olimpia Savio, Milano, 1911; F.da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 709-710; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 10; Gazzetta di Parma 13 aprile 1992, 5.

NEIPPERG ALBERTO ADAMO, vedi NEIPPERG ADAM ALBRECHT ADALBERT

NEIPPERG MARIA LUIGIA, vedi ABSBUrGO LORENA MARIA LUDOVICA LEOPOLDiNE

 

 

NEIPPERG WILHEM ALBRECHT
Sala 8 agosto 1821-Dobling 7 aprile 1895
Nacque dal conte Adam e dalla duchessa Maria Luigia d’Austria.Il Neipperg, come in precedenza la sorella Albertina, venne registrato con il cognome Montenuovo, traduzione italiana di Neipperg.Trascorsi i primi anni al Ferlaro di Sala e a Parma, nel 1831 si trasferì a Vienna, dove intraprese la carriera militare (1838, II battaglione cacciatori) raggiungendo il grado di generale di Cavalleria. Allorché iniziarono i primi moti delle guerre d’indipendenza il Neipperg si trovò a Milano, col grado di Capitano al comando di un reggimento.Proprio allora, un comitato di cittadini incitò tutti i Milanesi dall’astenersi dal fumare, volendo così toccare il governo austriaco nella borsa poiché solo la vendita del tabacco rendeva  quattro milioni di lire all’anno.Secondo il Correnti, negli  ultimi giorni del 1847 era già malsicuro fumare per le strade: il primo gennaio poi del 1848, che era sabato, nessuno più si vide.Se qualcuno, ignaro dell’ordine segreto o austricante, usciva col sigaro in bocca veniva schernito da monelli ed una manata gli gettava il sigaro dieci passi lontano.Il Neipperg volle percorrere le vie più centrali della città col sigaro in bocca: davanti al Caffè Cova uno schiaffo incognito gli cacciò il sigaro in gola.La reazione degli Austriaci, che pare avesse origine proprio da questo atto, fu delle più crudeli, tanto che si contarono ben cinquantanove feriti e sei morti. Il Neipperg rivelò singolari abilità di stratega quando, nelle file austriache, combatté nella prima e nella seconda guerra d’Indipendenza: da colonnello combatté nel 1848 sotto Radetzky in Italia, poi sotto Windischgraetz in Ungheria e Transilvania, nel 1849 fu promosso maggiore generale e nel 1854 luogotenente maresciallo.Nel 1859 comandò una divisione in Italia, dal 1860 coprì la carica di governatore dei Sette Comuni e nel novembre 1866 fu inviato con lo stesso ufficio in Boemia.Nel 1851 sposò la principessa Julienne Batthyany Strattmann e con lei ebbe tre figli:Albertina (nata nel 1853), Alfredo (1854) e Maria Sofia (1869). Nel 1864 ricevette i titoli di principe e Altezza serenissima e il diritto di unire alle proprie armi quelle della Duchessa di Parma e del conte di Neipperg.Fu cavaliere dell’Ordine di Leopoldo, cavaliere dell’Ordine di Maria Teresa e della Corona di ferro, Ciambellano imperiale, consigliere intimo, proprietario del X Reggimento dei Dragoni e infine cavaliere del Toson d’Oro.Appassionatissimo di musica, lasciò alcune composizioni molto apprezzate, alle quali si dedicò specialmente dopo il congedo (1878). Nel 1878 il Neipperg donò all’Accademia di Belle Arti di Parma una riproduzione fotografica al vero di una parte della Madonna di San Sisto di Raffaello e in tale occasione venne nominato Socio d’Onore. Fu anche appassionato numismatico.Nel 1880 si ammalò di una non ben accertata malattia mentale e venne quindi rinchiuso in un manicomio, dal quale non uscì più.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia militare, 1933, V, 300; Parma nell’Arte 2 1980, 121-123; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 12.

NELLI, vedi GIOVANNELLI IGINO

NELLO, vedi VINCENZI SANTE

NEMBRINI CARLO
Ancona 1613-Ancona 16 agosto 1677
Figlio del conte Giovanni.Fu governatore in diverse città dello Stato Pontificio e Vicelegato di Bologna e di Ferrara.Fu nominato Vescovo di Parma da papa Innocenzo X il 1° luglio 1652.Prese possesso della Diocesi per procuratore (Carlo Cesarini) il 1° agosto 1652.Entrò in Diocesi in forma privata il 5 agosto 1652 e fece il solenne ingresso in Cattedrale il 29 settembre 1652.Celebrò la messa pontificale la festa di Ognissanti dell’anno 1652, a cui intervenne la duchessa Margherita, moglie di Ranuccio Farnese, con le due figlie.Il 22 ottobre 1652 il Nembrini nominò dodici esaminatori comprendendovi non solo uomini del clero secolare ma anche di tutti gli ordini regolari.Nel 1653, per aderire ai desideri del Nembrini, il Capitolo fece realizzare una grossa croce d’argento, di grande valore, per riporvi le reliquie del Santo Legno della Croce: si utilizzò il denaro lasciato dal canonico Galeazzo Bernieri.L’anno seguente il Nembrini fece avvisare l’abate e i monaci di San Giovanni Evangelista dal canonico Curzio Arcioni (che della detta reliquia era il conservatore) di non solennizzare nella loro chiesa l’invenzione della Croce nel giorno in cui si solennizzava in Cattedrale e di differire la funzione al mese di settembre o in qualunque altro mese. Per i buoni uffici del Nembrini praticati presso il duca Ranuccio Farnese, i canonici ebbero la conferma di poter eleggere un loro rappresentante alla Congregazione dell’ufficio dei cavamenti, che avrebbe avuto la precedenza sopra il commissario dei cavamenti. L’anno 1654 il Nembrini soppresse la parrocchia di San Moderanno e l’aggregò alla Cattedrale. Il 17 dicembre 1654 Nicolò Busseti, cancelliere vescovile, a nome del Nembrini, presentò in dono al Capitolo una teca d’argento in cui erano riposte alcune reliquie di San Carlo Borromeo, che egli aveva ricevuto in dono dall’arcivescovo di Milano con le loro autentiche.Il 14 novembre 1655 il Nembrini pubblicò un editto col quale, dopo aver manifestato che nella visita pastorale che andava giornalmente facendo alla Diocesi aveva trovato una grande quantità di benefici i cui obblighi erano trasandati per la tenuità dei redditi, notificò una lettera nella quale si diceva che il Papa voleva avere notizia di tutti i benefici ecclesiastici di qualunque stato e qualità fossero, in città e in ogni altro luogo della Diocesi di Parma.In esecuzione dei comandi del Pontefice, il Nembrini assegnò ai beneficiati della città il termine di un mese e a quelli della Diocesi due mesi dalla pubblicazione del suo editto per consegnare una nota distinta e giurata della rendita dei loro benefici agli atti del cancelliere della Curia.Ma poi, mosso dalle suppliche dei deputati del clero, prolungò il termine di altri 50 giorni con suo decreto del 20 dicembre 1655.Terminata la visita pastorale, il Nembrini fece il sinodo Diocesano, per il quale furono destinati i giorni 5, 6 e 7 giugno 1669. Nel primo giorno, mentre si pubblicavano i decreti sinodali, si alzò un rumore e continuò tanto che il lettore dovette fermarsi.Nel dopo pranzo il Capitolo si convocò nella Cattedrale per prevenire i disordini.Non pochi del clero pregarono i canonici di intercedere presso il Nembrini affinché mitigasse alcuni decreti che parevano loro troppo rigorosi.Ma poiché vi era una gran alterazione di animi il Capitolo si divise: alcuni volevano che si facessero noti al Nembrini i reclami, altri pensavano che non si dovesse fare alcun rapporto al Nembrini, perché egli non credesse che i canonici fossero gli autori di quelle istanze.Per questi motivi la terza giornata del Sinodo fu procrastinata fino all’8 del mese.Ma non era ancora finita la lettura dei decreti che alcuni si levarono gridando non placet, ripetendo più volte queste parole.Il Nembrini allora fece alcuni decreti a favore del clero, poi fu costretto a prorogare la sessione ad altro giorno e infine ad abbandonare il Sinodo, commettendo al Capitolo di sedare il tumulto e di frenare i più esagitati.Il Nembrini, accertato che i divini uffizi venivano celebrati con negligenza e confusione nella Cattedrale e che il culto divino era in gran parte scemato, perché da qualche tempo, essendo mancata la maggior parte di quei beneficiati che erano istruiti nel canto fermo, erano succeduti a questi altri inesperti del medesimo, volle riparare a questo inconveniente.Perciò chiamò l’arciprete Bacialupi affinché persuadesse il Consorzio a fare un decreto che obbligasse i Consorziali a imparare il canto e poi egli stesso fece un precetto ai massari del Consorzio, che diede occasione ai consorziali di appellarsi a Roma, ottenendone l’inibizione. Il Nembrini fu costretto a ricorrere alla Curia romana per la revoca dell’inibizione. Pubblicò poi un decreto col quale stabilì che da quel giorno i consorziali non potevano essere accettati se non si fossero mostrati istruiti nel canto gregoriano, con esame sostenuto davanti al Vescovo o al suo vicario o a persone dai medesimi deputate, sotto pena di 25 scudi, e assegnò un termine di sei mesi per imparare il canto e fare l’esame.Questo decreto fu approvato dalla sacra Congregazione dei Riti il 22 maggio 1668.Ma nel 1670 il Nembrini, a istanza dei Consorziali, mitigò il decreto e ridusse l’obbligo ai soli guardacoro, agli ebdomadari e ai diaconi (che prima di ricevere le collazioni dei loro benefici furono obbligati all’esame del canto).Essendo stato fatto consigliere e ministro del Duca il vicario Cesarini, il Nembrini nominò il canonico Lelio Boscoli all’ufficio di vicario generale (3 settembre 1670). Il 25 febbraio 1672 notificò al Capitolo per mezzo del canonico Curzio Arcioni il suo desiderio di erigere in Cattedrale la Confraternia dei Santi Giovanni e Fermo.Molti si ascrissero a questa pia unione sull’esempio del Nembrini.L’11 aprile 1672 nominò alla prebenda vacante del Pizzo Superiore il proprio nipote Giuseppe Nembrini, prevosto di San Pietro.Nel 1674 ebbe luogo il secondo Sinodo del Nembrini.La prima sessione si tenne il 27 aprile: dopo che le cose erano state discusse in private congregazioni, si pubblicarono i decreti della residenza.Il marchese arcidiacono Giuseppe Pallavicino recitò un’orazione intorno agli obblighi della vita chiericale.Il secondo giorno fece un’orazione il canonico Arcioni.Andrea Fantoni lesse i decreti ad alta voce e tutti approvarono. Il 23 febbraio 1676 il Nembrini fece trasportare il corpo della venerabile suor Margherita Cristalli, monaca benedettina, in Sant’Uldarico di Parma.Il 17 agosto 1677 pervennero al vicario Boscoli due lettere, una della sorella del Nembrini e l’altra del suo segretario Alessandro Marchetti, che annunziavano che il Nembrini era gravemente ammalato: una febbre continua proveniente da gran fiacchezza di stomaco, la quale concorrendo con altra qualità di male sostenuti in quest’inverno, facevano disperare della sua salute.Una settimana dopo, recatosi in Ancona per rimettersi in forze, il Nembrini vi morì all’età di 64 anni.Fu sepolto in San Ciriaco, Cattedrale di Ancona, nel muro a sinistra dell’altare maggiore presso l’organo, con la seguente iscrizione: Carolus Nembrinus episcopus ecclesiae Parmensis cui annos V. supra XX sanctissime praefuit caritate morum et probitate vitae praesertim integritate justitiae ac profusione in pauperes aeque carus principibus populis ac concivibus suis jacet hic supremum diem expectans obiit die XVI Augusti MDCLXVII.aetatis suae LXIV.Il Nembrini consacrò la chiesa di Santa Maria della Neve di Parma delle monache Cappuccine il 19 settembre 1653 e la chiesa di San Vitale il 17 novembre 1658.Consacrò inoltre l’oratorio di San Basilide il 18 ottobre 1655 e la chiesa parrocchiale di San Martino di Traversetolo.Il Nembrini dichiarò soppresse in Parma più parrocchie: oltre a quella, già ricordata, di San Moderanno, San Biagio, San Lorenzo, San Michele del Pertugio, Sant’Antonino e San Michele del Canale.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi, II, 1856, 246-278; A. Schiavi, Diocesi di Parma, 1940, 241-242.

NEOBURGO, vedi NEUBURG

NERI ALVARO
Borgo San Donnino 26 luglio 1873-Venezia post 1938
Figlio di Emilio. Studiò nel Regio Conservatorio di Parma con Paolo Cristoforetti il flauto e con Telesforo Righi composizione, diplomandosi nel 1893 nell’uno e l’anno dopo nell’altra.Conseguì anche i primi premi del lascito Barbacini e della Cassa di Risparmio di Parma.Nel 1894 coprì il posto di professore di flauto nel Liceo Marcello di Venezia, del quale nel 1916 venne nominato anche bibliotecario.Dal 1904 al 1918 nello stesso Istituto insegnò anche teoria e solfeggio. Nel 1933 fu collocato in pensione per limiti d’età. Compose alcune liriche.Nel 1920 vinse con la canzone El primo amor il primo premio nel Concorso per le canzoni veneziane.Pubblicò qualche volumetto di teoria musicale.
FONTI E BIBL.: C. Schmidl, Dizionario Universale Musicisti, 3, 1938, 565.

NESCITO, vedi FAGGI ANICETO

NETO, vedi AJOLFI ENRICO

NEUBI MAIOLO
Parma 999/1002
Fu monaco e abate del monastero di San Giovanni Evangelista in Parma.Secondo Angelo Edoari da Erba (Historia Parmensi), fu consacrato Vescovo di Parma sedente papa Silvestro II e imperante Ottone III.Il Neubi non risulta però in nessun altro catalogo dei vescovi di Parma (Pico, Ughelli, ecc.).
FONTI E BIBL.: M. Zappata, Corollarium Abbatum, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1980, 90.

NEUBURG DOROTHEA SOPHIE
Neuburg 5 luglio 1670-Parma 15 settembre 1748
Nacque da Philipp Wilhelm, conte elettore palatino del Reno, e da Isabella Amalie d’Assia.Il 15 gennaio 1690, in una lettera a Ranuccio Farnese duca di Parma, l’elettore lo informò che, grazie agli ottimi uffici del suo inviato conte Fabio Perleti, stava per giungere a buon fine il contratto nuziale tra il principe Odoardo Farnese e la Neuburg.Era un’unione questa che, patrocinata dallo stesso Imperatore, avrebbe scontentato la Corte francese ma resi più solidi i legami dei duchi di Parma con la casa d’Austria.Le nozze per procura avvennero il 3 aprile e il 26 dello stesso mese, accompagnata da Odoardo Scotti marchese di Vigoleno e da un seguito numerosissimo, la Neuburg entrò in forma privata in Parma.Il matrimonio venne celebrato, dopo un solenne ingresso nella città parata a festa, il 17 maggio, con uno sfarzo straordinario: banchetti sontuosi, corse di berberi, accademie di lettere e d’armi, lotte, corse di gala, rappresentazioni musicali e teatrali, che si avvalsero delle straordinarie soluzioni scenografiche di F.Galli Bibiena, riempirono di ammirato stupore i dignitari tedeschi al seguito della Duchessa e gli invitati tutti, rappresentanti delle corti italiane trattenute a Parma dalla munificenza di Ranuccio Farnese per due settimane.Ifesteggiamenti durarono dieci giorni.Poi, partiti gli ultimi invitati, per la Neuburg cominciò il difficile adattamento alla vita di una Corte raffinata e mondana a cui dovette da principio sentirsi estranea.Il 6 dicembre 1691 diede alla luce l’atteso erede, Alessandro Ignazio, ma il bambino non ebbe vita lunga: morì dopo appena venti mesi, il 5 agosto 1693.Le cronache riportano le voci, allora insistenti in città, di una responsabilità della madre nella morte del bambino.Vere o no, queste voci attestano comunque che la Neuburg fu guardata con sospetto: aveva fama di donna ordinata e perseverante, ma anche eccessivamente pedante e priva di umorismo.Il 25 ottobre 1692 la Neuburg dette alla luce la secondogenita Elisabetta.Un anno dopo, il 6 settembre 1693, morì il principe Odoardo Farnese.Alla morte di Ranuccio Farnese, perciò, fu il secondogenito Francesco Farnese a salire sul trono.Egli, il 7 settembre 1796, tre anni dopo l’incoronazione, a diciassette anni, sposò senza le consuete pompe la Neuburg.Una decisione, questa, caldamente sollecitata dallo stesso duca Ranuccio Farnese e ispirata a considerazioni di carattere politico: le stremate finanze ducali difficilmente avrebbero sopportato la restituzione della dote alla Neuburg in caso di sue nuove nozze, inoltre il legame con la casa d’Austria, tanto importante per la politica dei Farnese, sarebbe stato opportunamente ribadito.Il matrimonio non ebbe prole ma il nuovo Duca si affezionò alla nipote e figliastra, Elisabetta, che secondo il Litta, la madre allevò nell’ignoranza, lungi da ogni umano consorzio: un altro segnale, questo, della scarsa simpatia che circondò la Neuburg.Del resto, lei stessa fece ben poco per accattivarsi la benevolenza dei sudditi: la proibizione durante il tempo di Carnevale di maschere e festeggiamenti in nome della sicurezza e della tranquillità pubblica, provvedimento da lei ispirato, non potè che confermare quell’immagine di donna austera, arcigna e malinconica che sempre l’accompagnò.Il 5 novembre 1711, con il duca Francesco Farnese e la Corte, la Neuburg incontrò a Piacenza il fratello Carlo, che accompagnava Carlo III di Spagna nel suo viaggio verso la Germania.Il principe venne festeggiato con nobilissime veglie e altri sontuosi divertimenti.Il 30 luglio 1714 la Neuburg, il duca Francesco Farnese, il cardinale F.Acquaviva d’Aragona ed Elisabetta Farnese sottoscrissero i patti nuziali stipulati con Filippo V re di Spagna, per i quali si era tanto impegnato l’abate Giulio Alberoni.Il 16 settembre 1714 venne celebrato a Parma il matrimonio per procura e il 22, accompagnata dal duca Francesco Farnese e dalla Neuburg fino a Borgo Taro (nel ritorno deviarono fino alla villa di Chiosi), Elisabetta Farnese partì per la Spagna.Da allora, la Neuburg e il consorte condivisero il desiderio della figlia di assicurare alla propria discendenza l’eredità del Ducato di Parma e Piacenza, anche perché il fratello del Duca, Antonio, sembrava tutt’altro che predisposto al matrimonio.I rapporti tra la Neuburg e il giovane Antonio Farnese, già tesi quando era ancora in vita il duca Francesco Farnese, dopo la morte di questo (avvenuta il 26 febbraio 1727) diventarono addirittura gelidi.La Neuburg si trovò subito a dover fare i conti per la sistemazione del suo trattamento vedovile col cognato, il quale, come la Neuburg scrisse alla figlia, pretendeva ridurla ad una strettezza grande, mentre le spettavano, secondo i capitoli matrimoniali, non meno di 9000 doppie annue. Chiese  allora protezione a Elisabetta (che a quanto sembra non nutrì particolari sentimenti di affetto per la madre), facendole presente di essere sola, lontana dalla patria e contornata da spie, che non sa di chi fidarsi.E il 28 luglio 1728, pochi giorni dopo la firma dei patti nuziali tra il duca Antonio Farnese ed Enrichetta d’Este, le fece presente che potrebbe riuscire di grande mio disturbo e svantaggio qualora l’imperatore e il duca Antonio Farnese avessero scoperto che io avessi dato mano ad impedire che il signor Duca mio cognato prendesse moglie.Elisabetta non rimase insensibile e nell’agosto inviò a Piacenza presso la madre i ministri Monteleoni e A.Scotti, che, coadiuvati dal ministro ducale conte I.Rocca, fedelissimo della Neuburg, composero la vertenza relativa alla sua sistemazione economica.Il 5febbraio 1728 vennero celebrate le nozze del duca Antonio Farnese: il poeta ducale Carlo Innocenzo Frugoni celebrò l’avvenimento e dette voce alle speranze dei Parmigiani in un prossimo lieto evento, urtando così la suscettibilità della Neuburg, presso la quale cadde in disgrazia.Tra le due duchesse i rapporti furono sempre inevitabilmente pessimi.La Neuburg non aveva affatto abbandonato, malgrado il matrimonio, il disegno di portare sul trono di Parma il nipote spagnolo: infatti tutto lasciava supporre che il duca Antonio Farnese non avrebbe avuto prole numerosa.L’ultimo dei Farnese morì il 20 gennaio 1731, quando si diffuse la notizia che la giovane Enrichetta d’Este era comunque già gravida.La Neuburg infatti venne incaricata da Elisabetta Farnese (che le aveva assegnato come consiglieri il canonico marchese Santi e il conte Cerati) di smascherare quella che venne da lei subito considerata un’impostura.Nel maggio 1731 si trasferì da Piacenza, sua abituale residenza, a Parma, per seguire gli avvenimenti più da vicino.Fu il conte C.F. Stampa a tenerla lontana dalla giovane duchessa, con la quale non passava ormai più alcuna convenienza.Il 31 maggio ebbe luogo la famosa ispezione ginecologica che avrebbe dovuto mettere la parola fine alla disputa sulla gravidanza contestata.Nella stanza di Enrichetta d’Este, con ministri e inviati delle varie corti, con i signori della reggenza al completo, dame d’onore e levatrici (una delle quali era stata scelta dalla ex duchessa), ci fu anche la Neuburg la quale, se prima del consulto se ne stava in somma quietezza, arrivando a trattare con civiltà la cognata, quando venne emesso il responso che attestava una effettiva gravidanza riprese la consueta faccia dura.Fu la stessa Enrichetta d’Este, poco tempo dopo, saputo dell’inganno ordito dallo Stampa, a rivelare alle imperiali maestà di Vienna e alla stessa Neuburg la verità: di non aspettare cioè alcun erede.La domanda che la Neuburg immediatamente inoltrò al commissario cesareo per subentrare a capo della reggenza (ridotta allora a un simulacro di potere) non venne accolta.Il 29 dicembre 1731, nel gran salone di Corte, con l’intervento di tutte le diciassette Comunità dello Stato e dei feudatari, il conte G.Selvatico, che aveva giurato per conto della Neuburg nelle mani dell’imperatore Carlo VI, rimise a lei il possesso dei Ducati nella sua veste di tutrice e reggente dell’infante don Carlo di Spagna, presente anche il conte P.Zambeccari, plenipotenziario di Toscana, a nome del granduca Giangastone de’ Medici, contutore.Quindi la Neuburg, che per l’occasione aveva dismesso le tetre cocolle nere e vestiva un abito pomposo (come non mancano di segnalare i cronisti), con tutta la Corte in gran gala, partendo da porta San Michele, dove il conte Stampa le consegnò le chiavi della città, si recò in lungo corteo fino a palazzo. Il poeta Frugoni le inviò nell’occasione una Poetica dedicatio che la Neuburg accolse con gelo.Migliore fortuna ebbe L’Orano espugnata, canzone dedicata ai sovrani di Spagna, opera su cui il poeta fece affidamento per essere riammesso in Parma (cfr. Rabbi Solari, 340). Primo atto di governo della Neuburg fu di licenziare ministri e ufficiali rimasti troppo affezionati ai Farnese.Monsignor Giuseppe Oddi, protonotario apostolico inviato dal Papa, protestò invano per la violazione delle immunità ecclesiastiche e dei diritti papali.Anche il vescovo C.Marazzani tentò di persuadere la Neuburg affinché la preminenza temporale di Roma fosse riconosciuta, ma ella, nonché cedere, rispose rispolverando le vecchie pretese dei Farnese sulle terre di Castro e Ronciglione.L’11 gennaio 1732, con una cerimonia solenne, la Neuburg ordinò il cambio della guardia imperiale con le milizie cittadine.Il 9 settembre Carlo di Borbone entrò solennemente in Parma per prendere possesso dei suoi domini.La Neuburg potè allora ritirarsi a vita tranquilla: quanto era nei suoi progetti si era compiutamente realizzato. Fu sepolta nella cripta sepolcrale della chiesa di Santa Maria della Steccata in Parma.Di lei è pervenuto un ritratto di autore ignoto conservato in Parma, presso l’Ordine costantiniano di San Giorgio.
FONTI E BIBL.: L.Viviani della Robbia, Bernardo Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze, 1942, 47; G.Drei, I Farnese grandezza e decadenza di una dinastia italiana, Roma, 1954, 245-292; G.C.Dosi Delfini, La visita dei duchi di Parma Francesco I e Dorotea Sofia alla villa di Chiosi nel 1714, in Archivio Storico per le Province Parmensi X 1958, 161-167; E.Quaranta, Una festa a Soragna nel ’600 offerta dal marchese Gian Paolo Meli Lupi in onore della duchessa di Parma, in Archivio Storico per le Province Parmensi XI 1959, 89-96; L.von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma, 1962, 681-684; G.Rabbi Solari, Storie di casa Farnese, Milano, 1964, 292-340; E.Nasalli Rocca, I Farnese, Milano, 1969, 209-231; M.Dall’Acqua, Dorothea Sophia von Pfalz-Neuburg, Gemahlin des Prinzen Odoardo Farnese und des Herzogs Francesco Farnese von Parma, in Zeitschrift fur Bayerische Landesgeschichte XLIV 1981, 303-316; P.Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Farnesi duchi di Parma, tavola XXI; Negri, Compagnia Sant’Angelo Custode, 1853, 48; Dizionario storico politico, 1971, 474; Artocchini, Padrone di Parma e Piacenza, 1975, 45-48; S.Pellizzer, in Dizionario biografico degli Italiani, XLI, 1992, 502-505.

NEUSCHEL GIOVANNI TOMMASO, vedi NEUSCHEL JANOS TAMAS

NEUSCHEL JÁNOS TAMÁS
Varallya 30 maggio 1780-Verona 20 dicembre 1863
La sua famiglia era di origine sassone, ma naturalizzata ungherese.Ancora giovane, si fece frate domenicano, poi si portò in Italia come cappellano di un reggimento austriaco e nel 1817 a Parma diventò il confessore della duchessa Maria Luigia d’Austria.Nella città giunse la prima volta quando, ammalatasi una camerista che parlava soltanto il magiaro, la Corte lo richiese al suo reggimento di stanza a Casalmaggiore.Per i suoi meriti fu presto insignito di molte dignità: fu decorato della croce dell’Ordine Militare Ecclesiastico d’Austria Piis Meritis, nel 1823 il vescovo di Pécs József Király lo creò abate mitrato dell’abbazia della Beata Vergine Maria d’Iván d’Ungheria, affidando le dovute cerimonie di consegna del titolo al vescovo di Parma Caselli, l’11 dicembre 1825 Maria Luigia d’Austria ottenne per lui dal pontefice Leone XII il titolo di cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.Nel 1826 successe al conte Francesco Scutellari nella carica di abate della Diocesi di Guastalla e poco dopo (28 gennaio 1828) fu creato vescovo di Troia in partibus infidelium, sicché il 16 settembre 1828 venne nominato vescovo di Guastalla, quando una bolla di Leone XII trasformò la Diocesi abbaziale in vescovado.Vennero poi con molte difficoltà stabilite la costituzione di un capitolo e l’erezione di un seminario diocesano, quindi, terminate le pratiche necessarie, l’11 aprile 1829 monsignor Sanvitale conferì al Neuschel i diritti e le funzioni di vescovo di Guastalla.Il Neuschel si preoccupò della formazione spirituale dei futuri ministri della Chiesa e fu il fondatore del seminario, cui diede un preciso regolamento disciplinare.Fin dal 1830 abolì la processione notturna del Venerdì Santo, troppo sontuosamente ostentata, fonte di curiosità più che di silenzioso raccoglimento, e diede disposizioni che salvaguardassero la dignità e l’ordine delle altre funzioni sacre, convinto che la religiosità deve essere dignitosa anche nelle forme esteriori. Esortò gli ecclesiastici e i fedeli all’amore per il prossimo, alla preghiera e alla penitenza, per combattere i traviamenti dello spirito umano, per cui sembrano ritornare quei tempi pericolosi descritti dall’Apostolo Paolo, come ebbe a dire in seguito. Intanto iniziarono anche nel Ducato di Parma e Piacenza i moti rivoluzionari.Nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 1831 Maria Luigia d’Austria lasciò il palazzo ducale e si trasferì a Piacenza sotto la protezione delle truppe del generale Geppert.In contrapposizione all’antico governo ritiratosi a Piacenza, si creò a Parma un governo provvisorio, sotto la guida di Linati, Casa, De Castagnola, Sanvitale e Melegari, a cui si aggiunsero più tardi due sostenitori del partito rivoluzionario, Melloni e Ortalli.A Fiorenzuola d’Arda si rifiutò la coccarda tricolore, data alla guardia nazionale, istituita dal Comune il 14 febbraio e si derisero i sostenitori del governo di fatto parmigiano.Allora i rivoluzionari di Parma fecero, come scrisse Emilio Casa, distendere un cordone di rigorosa guardia intorno alla borgata, e nell’interno aiutare le autorità a tenere in rispetto i facinorosi.Gli Austriaci inviarono a Fiorenzuola d’Arda una guarnigione e furono condotte prigioniere a Piacenza ventidue guardie nazionali parmigiane. A Parma la notizia dello scontro suscitò rancore e sdegno e Antonio Gallenga, in un appassionato discorso pronunciato dal palazzo del governatore, istigò il popolo che ascoltava nella piazza maggiore, a vendicare i giovani e gli studenti liberali.Furono presi di mira, tra gli altri fautori del governo ducale, il principe di Soragna, dignitario di Corte, il Neuschel, cappellano maggiore e vescovo di Guastalla, e i figli del Mistrali, che era andato con la Duchessa a Piacenza.Ma, come affermò lo stesso Casa, tutte queste persone, che la folla additava come nemici pericolosi, non si erano mostrate ostili ai liberali, non erano punto in colpa, il loro arresto sarebbe stato inutile e non avrebbe contenuto l’avanzata degli Austriaci. Il Gallenga non si accontentò delle misure di prudenza del governo di Parma, che aveva disposto che il Neuschel non si muovesse dal suo episcopio e si considerasse ostaggio per i prigionieri di Fiorenzuola d’Arda: si diresse infatti a Guastalla con l’intento di arrestare il Neuschel, aiutato nel suo proposito da Adolfo d’Escrivain e dal dottor Paolo Calonga, che lo accompagnarono.Il Gallenga, fingendo di eseguire l’ordine del governo e assicurando che Lanfranco Campanini stava per portare l’ordine scritto, ottenne due guardie, che vigilassero la porta posteriore del palazzo vescovile e impedissero una eventuale fuga del Neuschel. Il canonico Besacchi, un cronista guastallese che fu testimone oculare dell’arresto, così descrisse l’episodio: Lì 26 febbraio 1831 Monsignor Vescovo Neuschel dopo pranzo circa le ore 4 fu tolto da casa da Parmigiani spediti da Parma i quali arrivati in due legni con pistoloni, scavezze, pistole e coltelli ed obbligati tosto a portare seco loro per Parma dove lo condussero prigioniero in ostaggio per fare cambio d’alcuni prigionieri fatti dalle truppe del castello di Piacenza nel fatto di Fiorenzuola.Fra questi sicari prelevatori del Vescovo erano capi certi Campanini, Calonga, con altri Gallenga e d’Escrivain; fu condotto a Parma, lo alloggiarono nell’albergo della posta, ed ivi furono messe le guardie alla camera, alla sala ed alle porte.Il Neuschel fu portato all’Albergo della Posta la sera stessa del suo arresto, come testimoniò l’albergatore Carlo Castellari, che due ore prima era stato avvisato del suo arrivo dal liberale Lodovico Monza.Subito dopo la partenza del Neuschel da Guastalla, il chirurgo Carlo Bianchedi e lo studente Luigi Doneri usarono lo stesso trattamento nei confronti della nipote del Neuschel (maritata Illés) e di due pronipoti di nome Jattz (madre e figlia): mentre stavano passeggiando in carrozza sul ponte del Baccanello, vennero arrestate sotto minaccia della pistola e condotte a Parma, dove il governo provvisorio le rimise in libertà. Emilio Casa sostenne che la popolazione di Guastalla nutriva dei sospetti contro il Neuschel e che egli nel 1831 fu preso in ostaggio proprio perché il suo comportamento alimentava i dubbi dei liberali.In realtà l’arresto del Neuschel fu opera di un ristretto numero di rivoluzionari radicali di Parma e non si sa fino a che punto il governo provvisorio fosse responsabile. È sicuro inoltre che i Guastallesi non presero parte all’azione, tanto più che la folla indignata intendeva vendicarsi del Bianchedi e il podestàG.Casazza, che gli aveva dato man forte, dovette arrestarlo per evitare che il popolo lo giustiziasse.La mattina del 27 febbraio il Capitolo della curia di Guastalla inviò a Parma una delegazione per liberare il Neuschel: l’intento non fu raggiunto ma almeno si rassicurò nel vedere il venerabile prigioniero trattato con qualche moderazione.A torto invece il Soncini ritenne che gli fossero usate non poche angherie: il governo provvisorio non ne avrebbe tratto alcuna utilità. Eugenia Montanari affermò che il Neuschel fu trasferito il 27 febbraio nel palazzo del vescovado e in una minuta del governo della città, in data 27, si legge: È intenzione del Governo che monsignor Vescovo di Guastalla passi ad abitare nel palazzo del Vescovado di questa città.Il palazzo dovrà poi diligentemente essere guardato dalla Guardia Nazionale.Si desidera che la prescritta disposizione sia mandata prontamente ad effetto.Comunque, l’ordine non fu compiuto e il Neuschel rimase nell’Albergo della Posta, come testimoniano Carlo Castellari e lo stesso Neuschel, che disse di avervi alloggiato per dodici giorni.Poté tornare a Guastalla solo il 10 marzo, dopo aver scritto a Maria Luigia d’Austria chiedendole di liberare i prigionieri di Fiorenzuola d’Arda, ma il governo provvisorio lo sospese immediatamente dall’esercizio delle sue funzioni. Pochi giorni dopo fu restaurato a Parma il governo ducale e si iniziò il processo contro i promotori dei moti rivoluzionari.Molti fuggirono, altri, come sostenne il Casa, poterono forse discolparsi accusando gli assenti.Negli atti dei processi si legge: Sanvitale Jacopo concertò come capo la rivolta del 10 febbraio in teatro ed eccitò il Calonga all’arresto del Vescovo di Guastalla.Il Soncini ricordò che era opinione comune che il Melloni avesse sovvenzionato l’impresa ai danni del Neuschel.Il Calonga, arrestato il 15 aprile a Varano Melegari sotto l’accusa di aver fatto prigioniero il Neuschel, si difese sostenendo che il Sanvitale, consenzienti il Melloni, il Casa e l’Ortalli, lo aveva convinto a esercitare la professione di medico a Guastalla perché, conoscendo il tedesco, poteva servire da interprete al Neuschel.Durante il processo venne interpellato anche il Neuschel, ma egli espose sinteticamente l’accaduto senza aggiungere altri indizi, precisando che non intendeva presentare alcun ricorso contro i suoi offensori, da lui già perdonati.Amareggiato dall’arresto, rassegnò le dimissioni alla Santa Sede, anche se il clero di Guastalla era dalla sua parte.Prova ne sono le insistenze del Capitolo di quella Diocesi affinché il Neuschel desistesse dalle sue intenzioni.Il Capitolo si rivolse anche a Maria Luigia d’Austria, invitandola a convincere il Neuschel a restare a Guastalla.Quando egli tornò nel suo episcopio, ricevette una festosa accoglienza, che rafforza la tesi sui buoni rapporti intercorrenti con la popolazione.Se i Guastallesi ebbero qualche motivo di diverbio con il Neuschel, ciò non fu dettato da motivi politici ma dalla sua fermezza e integrità, che esigeva molto dai fedeli in fatto di disciplina e costanza nella religione. I primi contrasti con gli ecclesiastici di Parma risalgono a quando egli chiese alla Diocesi della città un parroco per la sede di Pieve.A Parma alcuni sostennero il facinoroso Niccolò Bianchini, per  nulla adatto a quel compito: il Neuschel si oppose a ogni maneggio del clero parmigiano.Nel 1836 papa Pio VII affidò al Neuschel la sede episcopale di Borgo San Donnino, in cui egli entrò solennemente il 5 marzo 1837: la popolazione lo accolse con manifestazioni di benevolenza e si scrissero per l’occasione numerose poesie, pubblicate dall’editore Giuseppe Vecchi.Andrea Ghiozzi, Pietro Granelli, Andrea Pettorelli, il domenicano Domenico Rosaguti e Gaspare Ortalli elogiarono la figura del Neuschel e lo chiamarono bel dono di Maria Luigia d’Austria e sicura guida del clero.Egli non deluse tanto entusiasmo e tante speranze e trascorse a Borgo San Donnino il periodo più sereno del suo operato: fu amato dal popolo, obbedito dal clero e diede nuovo impulso alla vita religiosa e culturale della Diocesi, riformando il seminario e permettendo ai laici lo studio della metafisica e matematica, che erano ormai solo un ricordo. A iniziare dal 24 maggio 1838 effettuò la visita pastorale.Del periodo in cui il Neuschel fu vescovo di Borgo San Donnino resta una scarsa documentazione perché un bombardamento del 1944 distrusse tutte le sue lettere e circolari deposte nell’Archivio Vescovile.È rimasta solo una epistola pastorale del 1837, conservata a Guastalla, dove il Neuschel stesso l’aveva probabilmente inviata: in essa si rilevano lo zelo nella cura delle anime e il proposito di fermare la corruzione dilagante.Il 1° febbraio 1839 papa Gregorio XVI lo nobilitò creandolo conte.Cominciò a farsi conoscere a Parma già dal 13 aprile 1841, quando pronunciò un discorso in occasione della benedizione delle bandiere di due battaglioni parmigiani: esortò i soldati a combattere contro ogni violenza e a difendere lo Stato, mostrando apertamente i suoi sentimenti legittimistici.L’ultimo giorno dell’anno 1842 morì il vescovo di Parma Vitale Loschi, proprio mezz’ora prima che entrasse in vigore la delibera con cui papa Gregorio XVI lo aveva dispensato dall’alto incarico perché le condizioni della sua mente si erano assai indebolite (non, come ritennero alcuni, per gli intrighi in alto loco del Neuschel). Il Neuschel fu trasferito a Parma per decisione del Concistoro riunitosi il 27 gennaio 1843: egli divenne vescovo della città per la volontà della duchessa Maria Luigia d’Austria, che nutriva per lui una profonda fiducia.L’Allodi scrisse a tal proposito: Qui lo volle la regnante.Ipreghi e i voti per rimanere in Borgo furono indarno.Gli abitanti di Borgo San Donnino furono addolorati dalla notizia e in ogni modo dimostrarono al Neuschel il loro affetto: il periodico parmense Il Facchino si fece portavoce della riconoscenza dei Borghigiani e sottolineò il suo cuor di padre e la generosità delle sue riforme. Il Neuschel fece prendere posseso della Chiesa e dell’episcopio di Parma da Giovanni Carletti, vicario episcopale, e inviò una lettera pastorale al clero e alla Diocesi, in cui sottolineò l’importanza dell’istruzione e del santo contegno per i parroci e la ignoranza delle cose divine che rovina le anime.Il 18 marzo pronunciò un discorso alla chiesa della Steccata e commentò in particolar modo gli obblighi del clero, creandosi così numerosi nemici tra gli ecclesiastici.Il 19 marzo fece il primo ingresso solenne nella Cattedrale, dove celebrò la messa e pronunciò una affettuosa omelia: esortò la popolazione di Parma ad avere fiducia in lui, anche se non era di nazionalità italiana, appellandosi all’universalismo del Cristianesimo e ricordando l’esempio del primo pontefice, Pietro, che era giudeo. Il Neuschel fu sospettato insieme con la Corte fin dall’inizio del suo operato: i liberali videro di mal occhio la sua sostituzione al Loschi, che, dal momento della sue elezione del 1831, aveva affermato la volontà di andare d’intelligenza con le autorità costituite.Tale intenzione del Loschi fu considerata dai liberali come il riconoscimento del governo provvisorio.Il Casa sostenne che l’elezione del Neuschel non avvenne senza disgusto del popolo e senza argomento di biasimo per lui e pel Governo e che al Neuschel premeva assaissimo di essere trasferito a Parma, in quanto a Borgo San Donnino si trovava a gran disagio. Il carattere fermo e  integro del Neuschel fece rimpiangere i tempi del Loschi e il clero tentò di screditarlo, d’accordo con i liberali radicali che avevano avuto modo di conoscere il suo legittimismo dal discorso pronunciato nel 1841, quando era stata data la benedizione solenne alle bandiere di due battaglioni ducali: videro in lui un austriaco come gli altri, anzi sospettarono che egli fosse una spia del Metternich. La Diocesi di Parma era caratterizzata da abusi, sregolatezze e notevole indisciplina del clero, che tentò di ostacolare ogni riforma del Neuschel, che aveva già dichiarato le sue intenzioni nel discorso pronunciato il 18 marzo 1843 nella chiesa della Steccata.Maria Luigia d’Austria in quella occasione conferì al Neuschel, già senatore Gran Croce (1838), la carica del Gran Priorato dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.Il Neuschel creò un po’ di ordine intorno a sé e nominò un consiglio episcopale di sei sacerdoti di tendenze diverse: tra essi Ercole Manzotti rappresentava la corrente conservatrice e Marco Tamagni quella liberale. Dopo aver regolarizzato l’insegnamento del catechismo e impegnato maggiormente i sacerdoti nello svolgimento dei loro doveri nelle singole sedi, pubblicò il 27 maggio l’editto che annunciava la visita pastorale nella montagna, affermando che il suo compito era quello di difendere i buoni e gli onesti, di esortare alla pace e di impedire ogni abuso e insubordinazione.Il 16 giugno, accompagnato da Luigi Cipelli, dal conte Gian Battista Pellegrini, da Antonio De Paoli, da Gian Battista Cella e da Ramiro Casapini, partì per il suo primo viaggio verso la montagna.Attraverso Langhirano raggiunse Monchio, Corniglio e Vairo: la popolazione accolse con entusiasmo il Neuschel, che amministrò la cresima a numerose persone.Terminò la visita il 16 ottobre e negli anni successivi, nel medesimo periodo, si recò in altre zone della Diocesi per conoscere direttamente la popolazione e portarle la sua parola. Nel dicembre del 1843 notò che i cappellani onorari della Steccata non si vedevano neppure nelle festività solenni: dispose che partecipassero alle funzioni religiose, in modo che si celebrassero con maggiore decoro.Il Neuschel conosceva le ostilità dei liberali contro di lui e durante la visita pastorale del 1844 scrisse al cappellano Pioli ammonendolo della debita sommessione e riprendendolo perché spargeva dissapori con mal consigliati discorsi.Il Neuschel, pur essendo devoto a Maria Luigia d’Austria, né con discorsi, né coi fatti fu ostile, all’Italia: non offese né provocò l’ire dei partiti: nonostante ciò fu spesso considerato come il simbolo dell’assolutismo intransigente, nemico di qualsiasi rinnovamento politico e sociale.Il 2 dicembre 1844 diede precise disposizioni circa il modo di vestire dei sacerdoti: dovevano infatti evitare abiti troppo sordidi o troppo eleganti e non portare capelli lunghi, per essere decorosi anche nel portamento.Il 6 dicembre dello stesso anno ordinò che si riprendesse l’insegnamento del catechismo ai piccoli, abbandonato in numerose chiese, che si rivolgessero ai fedeli le prediche nelle messe domenicali e che nessun parroco si allontanasse troppo dalla sua sede, se non per necessità.Qualora il viaggio di un sacerdote fosse durato più di due giorni, era necessario il consenso della curia vescovile.Il 16 novembre 1845, nella celebrazione dell’anniversario della benedizione delle bandiere, si rivolse ai soldati ribadendo quanto aveva detto nel discorso già fatto il 13 aprile 1841 e riaffermando i concetti di Religione, Onore e Gloria con queste parole: è ordine della Provvidenza, che voi siate i custodi integerrimi, i difensori generosi, intrepidi dei diritti del Sovrano, e dello stato; non per altro vi arruolaste alle milizie, l’onore, la gloria di vostra carriera svanirebbe al benché lieve alito di infedeltà a questi doveri, cui un giorno fortificaste colla religione del giuramento, e oggi avvalorate sempre più colla vostra dedizione a Maria.Nel 1847 denunziò un’altra volta i piaceri mondani, in nome della fede che dalle false dottrine de’ sedicenti filosofi, e per la pertinace ira d’incredibili novatori, viene continuamente combattuta, a segno di volerne l’estremo eccidio.La notevole fatica delle visite pastorali contribuì senza dubbio a debilitare il fisico del Neuschel: nell’estate del 1847, per una dolorosa affezione reumatica, chiese al Sanvitale un mese di riposo e, in novembre, di poter sospendere temporaneamente le visite in provincia.Intanto le ostilità contro di lui aumentavano di giorno in giorno per la propaganda dei liberali più accesi, del popolo e del clero, che già da tempo lo chiamavano caporale tedesco e alteravano il suo cognome nell’espressione parmigiana Neghfusel (non ci fosse).Inoltre il 16 giugno 1847, in occasione dei festeggiamenti del primo anniversario dell’elezione di papa Pio IX, venne colpito a sassate il palazzo vescovile.Un più grave colpo fu per il Neuschel l’improvvista morte, avvenuta il 17 dicembre di quell’anno, della duchessa Maria Luigia d’Austria, cui era legato da profonda stima e sincera gratitudine.La salma della Duchessa il 17 gennaio 1848 fu accompagnata fino a Casalmaggiore dal Neuschel e da un lungo seguito di carrozze, poi fu condotta a Vienna affinché fosse sepolta vicino alle tombe degli altri Asburgo, secondo l’espresso desiderio dell’estinta.Solo allora il Neuschel mise nella cassetta della curia, contenente i documenti dei matrimoni segreti, l’atto che attestava l’avvenuto matrimonio tra Maria Luigia d’Austria e il conte di Neipperg, che egli stesso aveva celebrato il 7 agosto 1821.Con la morte della Duchessa venne meno il più valido appoggio al Neuschel.AMaria Luigia d’Austria successe il duca di Lucca Carlo Lodovico Borbone.IParmigiani lo accolsero con freddezza e in ciò furono anche influenzati dalla fama di scarsa capacità, di dissipatore e gaudente che egli aveva.Nonostante l’età avanzata e la malattia reumatica, il Neuschel continuò ad affrontare i gravi problemi della sua Diocesi: ancora una volta riaffermò il suo legittimismo, quando ricordò al parroco di Poviglio l’obbligo di sommessione, di fedeltà, di rispetto alle legittime civili potestà; e che gravissime sono le minacce, tremendi i castighi dell’eterno giudice su que’ tutti, i quali ribelli si fanno al potere, disubbidienti alle leggi, sprezzatori di chi ha diritto di comando perché gli fu concesso dall’Immutabile Legislatore. Quando Carlo di Borbone nominò la reggenza di un governo provvisorio, si pubblicarono nuovi periodici di carattere liberale, che acclamavano Pio IX e Carlo Alberto di Savoja.Il clero passò completamente dalla parte dei rivoluzionari, invece il Neuschel sostenne i mutamenti purché fossero avvenuti con quell’ordine che nasce dall’obbedienza alle legittime autorità.Egli ritenne validi certi motivi dei liberali e si mostrò abbastanza conciliante, seguendo la linea di Pio IX, ma non abbandonò mai gli intenti legittimistici.Il 10 aprile 1848 scrisse: Il novello stato di cose chiama gran parte dei cittadini a combattere per assicurare all’Italia la indipendenza da ogni dominazione straniera.Gli altri popoli d’Italia, guidati anch’essi dai loro governanti, concorrono alle medesime imprese.Voi imitateli nell’obbedienza a chi regge, e nel santo amor della patria.La situazione politica italiana cambiò a partire dagli inizi del 1848: in gennaio Ferdinando II di Napoli concesse lo statuto, Carlo Alberto di Savoja avanzò promesse in questo senso e ormai in ogni stato si chiedeva con insistenza un’evoluzione in senso liberale.Il 19 e il 20 marzo la folla urlante fece dimostrazioni di protesta contro Carlo di Borbone, che si conclusero con uno scontro violento con i soldati ducali, poiché il Duca aveva fatto solo vaghe promesse senza metterle in atto.Carlo di Borbone cedette lo stesso 20 marzo e creò una suprema reggenza, trasformatasi poi in un governo provvisorio formato da cinque liberali: Luigi Sanvitale, Girolamo Cantelli, Ferdinando Maestri, Pietro Gioja e Pietro Pellegrini.Il Sovrano, che continuava a essere capo dello Stato soltanto in teoria ma aveva affidato ogni potere ai liberali, prese la via del mare il 18 aprile a Civitavecchia, diretto a Marsiglia. Il Neuschel, coerente al suo compito di guidare e assistere spiritualmente il popolo, esortò i fedeli all’unione, a rendersi partecipi delle nuove idee con spirito cristiano e invitò i sacerdoti ad abbandonare gli eccessi rivoluzionari, convinto che il loro dovere fosse quello di aiutare spiritualmente gli altri, come scrisse in una lettera del 23 marzo: Noi vi porgeremo i celesti conforti di cui Gesù Cristo ci fece i dispensatori.Queste son l’armi che si addicono ai Ministri di Colui, che impose a Pietro di rimettere la spada nel fodero e che inviò per tutto il mondo i suoi Apostoli senza altra arma che quella della sua divina parola.Così pur ci sia dato di usarla degnamente, come siam certi che gioveranno efficacemente alla comune salvezza.Non giovò meno alla vittoria Mosè levando le mani al cielo sul monte, che Giosuè con l’esercito combattendo. Il Neuschel, amareggiato dalle voci ostili che insorgevano contro di lui, dal discorso del padre barnabita Gavazzi che alluse in modo offensivo alla sua persona, considerandolo portavoce dei Tedeschi e non della vera religione, consapevole del fatto che la sua posizione a Parma si era resa insostenibile e determinato di non poter in alcun modo accettare gli estremismi, il 23 aprile 1848 diede la notizia di aver rassegnato le dimissioni alla Santa Sede.Intanto i rapporti tra il governo provvisorio e il clero continuarono a essere buoni, anche se il 10 aprile furono cacciati da Parma i Gesuiti perché avevano appoggiato in precedenza il governo Bombelles. La decisione della Santa Sede circa le dimissioni del Neuschel tardò a venire ed egli era ancora nella città quando il 17 maggio venne in visita l’abate Vincenzo Gioberti, antesignano del moderno liberalismo.Ricevette una festosa accoglienza e il popolo si entusiasmò ai suoi discorsi.Un folto gruppo di dimostranti raggiunse la piazza del vescovado e con urla e insulti invitò il Neuschel ad allontanarsi subito da Parma perché sembrava prolungare troppo la sua permanenza nella città, dopo la richiesta delle dimissioni.Egli non volle venir meno al dovere di non abbandonare a suo arbitrio la Diocesi e allora la folla si mise a colpire a sassate le finestre del palazzo vescovile e, impadronitasi degli stemmi situati nel Duomo e nel palazzo stesso, li frantumò e bruciò sulla piazza.Il Neuschel dovette infine salire verso le ventitré sulla sua carrozza, insieme col suo nuovo vicario Giacomo Lombardini, e abbandonare la città.L’Allodi ricordò che solo alcuni ecclesiastici si curarono che il Neuschel uscisse illeso dal pericoloso tumulto.La guardia nazionale non prestò alcuna difesa, il Gioberti non scrisse una parola di commento, il nuovo vicario Tamagni sostenne che l’espulsione del Neuschel era onoranda perché liberò da un untume austriaco e mise la cancelleria vescovile in posizione di nettarsi da ogni vergognosa mena, ed influenza.Gli eccelsiastici liberati dunque approvarono la cacciata del Neuschel e il Casa lo chiamò carnefice del Loschi.Come affermò il Pescatori, nessuno fu poi arrestato e tanto meno condannato per questo episodio. Il giorno seguente alla cacciata del Neuschel apparve l’eco del commento del governo provvisorio in un articolo della Gazzetta di Parma, in cui si legge: Non parve il tempo, non il modo, da pressar che già apparecchiato a partire non attendeva che la licenza richiesta al Sommo Pontefice.I cittadini hanno diritto di fare giuste richieste: hanno l’obbligo di non dimenticare l’onestà, la dignità propria del cittadino.Il governo e tutta la città ha debito sacro di rispettare e fare che si rispettino i domicilii che sono l’asilo sacro dei cittadini, e le persone la cui libertà deve essere inviolabile.Simili esempi certo non si rinnovereranno.Se havvi chi ancora voglia tumulti e scompigli, siano certi che i buoni cittadini vorranno che la tranquillità sia conservata e non sarà che pochi male consigliati guastino l’intera pace, mettano a pericolo le nostre sorti, e concorrano, anche ignorandolo, a turbare quei provvedimenti che sono richiesti alla salvezza della causa italiana.Il governo provvisorio condannò dunque la cacciata del Neuschel da Parma.Probabilmente la responsabilità del fatto va addebitata al clero rivoluzionario, come affermano il Pescatori nel suo diario e Pietro Giordani in una lettera che inviò al Gussalli il 20 maggio 1848.Il Neuschel si recò a Guastalla presso il marito della nipote, poi si trasferì nel convento francescano di San Cataldo presso Modena, noto centro del legittimismo.All’improvviso gli eventi mutarono: dopo l’armistizio di Salasco del 16 agosto, i Tedeschi rientrarono a Parma e restaurarono il governo ducale.Il 24 successivo ritornò alla sua sede anche il Neuschel, che richiamò il cancelliere vescovile Salvini e il vice cancelliere Chiari, sostituiti dai rivoluzionari, e nominò vicario generale, al posto del Tamagni, Ercole Manzotti.Quest’ultimo promosse esercizi spirituali e fece riaprire il seminario chiuso durante i moti rivoluzionari, seguendo le direttive che gli diede il Neuschel da Verona, dove si era ritirato e dove rimase per circa un anno. Il clero non fu tutto ostile al Neuschel e una buona parte di esso si riavvicinò a lui: il collegio dei parroci, in occasione delle feste natalizie del 1848, gli scrisse dichiarando di partecipare ai suoi dolori.Egli rispose delineando con amarezza la situazione di Parma: Se in Parma non m’è riuscito di stare in perfetta unione ed armonia con qualcuno dei signori Parroci, ciò non derivò dal mio cattivo animo di cui sono stato gratuitamente incolpato, ma dalle insidie di certuni sacerdoti, i quali non contenti di avermi, subito da principio con le satire più infami, con dei sarcasmi più iniqui, con degli insulti più sfrontati, oltraggiato, hanno poi cercato e adoperato tutti gli sforzi, tutti gli artifizi e modi possibili d’impedire e di troncare ogni comunicazione e corrispondenza tra il Vescovo e i parroci, tra il Pastore e il gregge. Ma siccome aggidì per sistema diabolico la malignità è quella che trionfa, la rettitudine che soccombe, la calunnia che domina, non m’ingombra di meraviglia che eziandio in mezzo al ceto ecclesiastico vi si trovino alcuni, le labbra dei quali invece di unire gli animi coi nodi della carità, li dividono coi morsi della detrazione.Icalunniatori possono latrare anche contro gli innocenti. Era necessario, ch’io pure in qualche poco e con indignazione mi sfogassi contro alcuni parmigiani, sia ecclesiastici che secolari dai quali si ebbe a versare ed addossare contro di me tutta l’animosità più feroce e bestiale.Nell’agosto del 1849 il Capitolo invitò il Neuschel a tornare nella Diocesi.Ma, dopo il suo ritorno, il clero continuò a essere insubordinato: il parroco di Coltaro, Giacomo Capacchi, di tendenze liberali, non volle celebrare il Te Deum per il ritorno del Duca, nonostante i rimproveri del Neuschel.Il Neuschel riprese l’opera che aveva sospeso, con lo stesso zelo di prima, anche se il nuovo duca Carlo di Borbone non lo appoggiò, poiché nutriva avversione verso i preti in generale, che considerava causa di discordie politiche, e verso i preti ungheresi in particolare, date le sue burrascose esperienze con il precettore monsignor Déaky.Ben presto il Capitolo si dimostrò di nuovo ostile al Neuschel, anche perché nel luglio del 1848 era stato privato della gestione della mensa vescovile, affidata al nipote del Neuschel, il dottor Giulio Manfredini: il Capitolo scrisse una lettera alla Santa Sede, in cui sottolineò la diffidenza del Neuschel e lo accusò di aver eletto un vicario che soffriva di aberrazioni mentali.Lo scritto più interessante del Neuschel, dopo il rientro ufficiale a Parma, è una lettera pastorale successiva al ritorno a Roma di Pio IX, dopo l’esilio di Gaeta.In essa ribadì la sua opposizione ai movimenti rivoluzionari ed ereticali, che hanno creato uomini senza Religione per recarli ad essere scostumati.Siffatti restauratori del mondo volevano abbattere la società e prima la Religione di Cristo, senza cui è impossibile la società si sostenga: per farsi credito dovevano promettere agli uomini felicità: ed essi conoscevano troppo che questo non avrebbero conseguito giammai altro che lusingando negli uomini il discendevole amore.I radicali si davano da fare a promettere aiuti e soccorsi all’umanità, affetto fraterno, libertà piena, amor dei suoi simili; e ciò con le frangie magnifiche di belle parole, di amplificazioni, di straordinari apparecchi, rovesciando tutte le cose vecchie, nessuna cosa avendo de’ padri nostri né rispettabile né sacra.Rivolgendosi ai falsi profeti così continua: negate i misteri e la vita futura con l’inferno, insegnate che la soggezione paterna è una tirannia, che le potestà furon messe dalla violenza, insegnate quello essere onesto che è utile; la virtù essere una moda del paese, e piuttosto un pregiudizio di educazione che un dover di ragione.Conclude affermando che sarà quindi per mezzo del Catechismo che si riaffermeranno i principi del Vangelo ormai quasi dimenticati da tutti e si combatteranno le false dottrine dei moderni Farisei.In un discorso pronunciato durante il giubileo del 1850 il Neuschel sintetizzò tutti i concetti che stavano alla base della sua opera.Infatti così si espresse: Si ravvivi e si riaccenda vie più lo zelo del clero, si confortino i buoni cristiani e si rinsaviscano i traviati; mondino col sacramento della penitenza le loro anime dai peccati, rendasi propizio il padre delle Misericordie con la compunzione del cuore e con la riforma dei costumi, cessi una volta lo spirito di ribellione; cessino i pensamenti, i desideri, i tentamenti di resistenza e di rivolta all’autorità dei regi; si umili la superbia oltraggiosa del secol nostro contro le leggi di Dio e della Chiesa; cessi lo sprezzo svergognato di Dio e lo strazio fatto di Cristo, di tutte le cose e le persone Sante, la dissolutezza senza freno e rossore, le usure spietate: cessino in una parola, i peccati; i peccati vivi e pubblici dell’età nostra, le bestemmie, le libidini, le empietà, la stampa, la vendita e la lettura di libri proibiti dalla Chiesa. Il 27 settembre del 1852 vennero accolte le dimissioni che il Neuschel aveva riproposto alla Santa Sede e Pio IX in un concistoro segreto lo promosse arcivescovo di Tedosiopoli d’Armenia, sede vacante per la morte di A.Mercini.Il Neuschel il 13 ottobre successivo partì per Verona, dopo aver regalato molti dei suoi libri alla biblioteca del Collegio dei Teologi.A Verona aiutò il vescovo diocesano nell’esercizio del suo ministero.A Parma il Neuschel, pur tra i molti contrasti, ricevette anche stima e affetto dal popolo: il Capitolo della Collegiata del Battistero di Parma gli scrisse nell’ottobre del 1852, ringraziandolo di averlo appoggiato nella richiesta dell’uso del Rocchetto e della Cappa Magna come segni distintivi e annunciandogli di voler collocare nella sala delle adunanze una epigrafe in suo onore.Al Neuschel fu gradito questo atto di riconoscenza, anche se rispose chiedendo di non dedicargli epigrafi per non suscitare nuove ostilità. Egli scrisse la sua ultima lettera al vicario di Parma nel 1854, dopo che fu assassinato il duca Carlo di Borbone.Carlo di Borbone il 1° marzo 1854 istituì il prestito forzoso sul reddito e provocò il dissenso dei capitalisti e dei proprietari terrieri che si misero a tramare contro di lui: il 26 marzo il mazziniano Antonio Carra colpì al ventre con una lima il Borbone mentre tornava al palazzo reale e il giorno seguente il Duca morì.Il 27 marzo fu nominato sovrano il figlio primogenito Roberto e la reggenza fu affidata alla madre di lui Luisa Maria, che aveva sempre osteggiato le intemperanze della condotta privata del marito e mantenuto un comportamento esemplare.Il Neuschel delineò così la figura della reggente: Quanto disgraziata ella è duchessa reggente di Parma!Il padre suo è stato assassinato, e assassinato anche il marito.Io dico a tutti ch’essa sarà un’altra Maria Luigia, purché i Parmigiani sappiano tenersela, e rispettarla.Ai primi di luglio del 1857 il Neuschel venne in incognito nei pressi di Parma in villeggiatura da alcuni parenti e molti Parmigiani andarono a rendergli omaggio.Qaundo sei anni dopo morì, fu sepolto sotto il pavimento della Cattedrale di Verona, nella navata destra. Sopra il sepolcro si legge la seguente iscrizione: Ioanni Neuscheldomo Scepusio in Hungaria insignib. Austriaci ord. ob. pia merita aliisque plurib.exornato abbati aedis marinae ivanem HungaricaeDucis Parmensium, M.Ludovicae Aug. A. sacris edidemque aconfessionibus episcopo iliorum abbati mox.episcopio ecclesiae Vastallen.quaeeo. adcurante splendore throni pontificalis et seminario sacro aucta est pontif. Fidentino et Parmens. deinceps functo Archiepiscopo Theodosiopolit.viro beneficentissimocuius studio et apud principem gratia multa per Dioceses suas commodapublicae comparata.Vixit annos LXXXIIII.Decessit Veronae XIII K.Ian. an. MDCCCLXIII.Francisca illes neptis uxor Julii Manfredinii I.C. judicis emeritimon.posuit optime de se merito.
FONTI E BIBL.: G.M. Allodi, Serie cronologica dei Vescovi, II, 1856, 554-579; D.Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina, 1961, 288-294; Aurea Parma 1/2 1962, 57-70; C. Corradi, Parma e l’Ungheria, 1975, 113-129; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 144.

NEVI PIO CARLO
Parma 7 maggio 1848-Milano 12 ottobre 1930
Dopo aver studiato trombone per un anno (1866/1867) alla Regia Scuola di musica di Parma, terminò la preparazione della Civica Scuola di musica per gli strumenti a fiato del Comune della città natale.Studiò poi armonia e contrappunto al Conservatorio di Musica di Milano con Saladino.Docente come sottomaestro di trombone e solfeggio nella scuola di musica annessa alla banda della Guardia Nazionale di Parma, nel 1880 vinse il concorso per il posto di trombone solista nel corpo di musica municipale di Milano e per vent’anni suonò anche nell’orchestra del Teatro alla Scala.A Milano si segnalò per la tecnica ammirabile e la cultura musicale.Per diversi anni, dal 1889, fu vicedirettore, mentre nel 1906 vinse il concorso per direttore della banda e della Scuola comunale di musica di Milano, sezione strumenti a fiato, posto che occupò fino al 1928. Mitico direttore della più celebre banda del tempo, dette concerti in un gran numero di città italiane e in Germania, Svizzera, Francia e Spagna. Spirito combattivo, personalità accentratrice e mente organizzativa, impresse un indirizzo moderno all’istituzione, sempre in lotta contro la resistenza dell’Amministrazione comunale.Il 1° luglio 1928, all’atto del collocamento in pensione, il podestà gli conferì una medaglia d’oro di benemerenza in considerazione del lungo servizio prestato sempre con ardore e in modo encomiabile anche nella tarda età quale direttore della Banda civica prima e quale maestro primario della Civica Scuola di musica, Sezione strumenti a fiato. Per la banda compose marce, ballabili, serenate, una barcarola, ed effettuò un gran numero di trascrizioni (terza e quinta Sinfonia di Beethoven, il Giulio Cesare di Schumann, il Saul di Bazzini, La sposa venduta di Smetana, Scene pittoresche di Massenet). Con la casa editrice Fantuzzi di Milano pubblicò: (per banda) Serenata spagnola, Bolero, Amorosa, mazurka, Vezzosa, polka, Idoletto, polka, Modi eleganti, polka, Appassionata, mazurka, Buccinando, mazurka, e Barcarola; (per pianoforte, piccola orchestra o banda) Desir d’amour, minuetto, Lega Franco-Italiana e Serenata.
FONTI E BIBL.: C. Schmidl, Dizionario universale musicisti, 3, 1938, 566; Banda della Guardia Nazionale, 1993, 95-96.

NEVIANO UGOLINO, vedi UGOLINO DA NEVIANO

NEVICATI FORTUNATO
Collecchio 9 gennaio 1895-Madrid 23 novembre 1936
Figlio illegittimo, pare che lo strano cognome derivi dalle condizioni stagionali: quando venne al mondo, avrebbero infatti deciso di battezzarlo Nevicati perché in quel momento su Collecchio nevicava copiosamente.Accolto nella casa di Ugo Cervi, modesto sarto povigliese, crebbe insieme a tre fratelli adottivi, rivelando intelligenza pronta e dinamismo del carattere.Dopo studi irregolari, fu avviato al lavoro.Diciottenne, fu a Parma come operaio tipografo presso lo stabilimento Donati.Fu iscritto al Circolo Giovanile Socialista di Poviglio.Chiamato alle armi nel 1915, combatté sul fronte goriziano.Una volta smobilitato, riprese con ardore l’impegno politico e sociale.Si distinse nella Bassa Reggiana quale dirigente di primo piano: organizzò le lotte contadine, fu segretario della cooperativa di consumo e della Congregazione di carità. Il Partito socialista lo inviò a Milano per frequentare dei corsi presso l’Umanitaria, onde perfezionare le sue attitudini di dirigente.Candidato nelle elezioni amministrative dell’autunno 1920, fu eletto consigliere provinciale insieme a uomini famosi del socialismo reggiano e nazionale: Alberto Simonini, Camillo Prampolini, Giovanni Zibordi, Francesco Laghi e Antonio Piccinini.Il Nevicati divenne assessore in seno alla Deputazione provinciale di Reggio, incarico da cui si dimise (conservando quello di consigliere) dopo la scelta ordinovista suggellata al Congresso di Livorno.All’assise livornese egli partecipò in veste di delegato.Fu quindi tra i fondatori del Partito comunista. Il terrorismo delle squadre fasciste gli impedì di presenziare alle sedute del Consiglio provinciale e di svolgere ogni attività sul territorio reggiano.Sfidò ripetutamente il bando, sfuggì a una serie di agguati grazie alla freddezza di spirito e tentò di restituire colpo su colpo, ma alla fine dovette riparare in Parma.Il Nevicati fu a fianco di Picelli, Gorreri e Ferrari nell’animare la difesa popolare che nell’agosto 1922 respinse la massiccia calata fascista.Sia nel presidio armato dell’Oltretorrente, sia nel tessere a più largo raggio i fili della ripresa democratica unitaria, l’apporto del Nevicati fu fermo e intransigente.Più d’una volta risultò tra le persone segnalate e arrestate, in un susseguirsi di episodi tumultuosi.L’assidua vigilanza di un fratello, il quale gestiva una trattoria, sventò persistenti agguati delle squadre reggiane venute in Parma per liquidare il Nevicati.Gli emissari del fascismo reggiano tentarono di eliminarlo anche a Sondrio, dove egli si ritirò fuggiasco da Parma, prima di varcare la frontiera francese.A Parigi il Nevicati, con il suo attivismo serrato, si mise troppo in evidenza agli occhi delle autorità: espulso dal paese, andò in Belgio, dove il suo fervido impegno politico non subì soste.Ciò indusse le autorità belghe a seguire l’esempio francese.Il Nevicati rientrò allora in Francia illegalmente e continuò a prodigarsi con massima tenacia.Alla metà del 1936 fu tra i primissimi a raggiungere Albacete, punto di raccolta dei volontari stranieri in Spagna.Il 19 novembre, dopo aver ricevuto una sommaria istruzione presso il centro comandato da Andrè Marty, fu in linea con il grado di sergente mitragliere nei ranghi della XII Brigata internazionale, scesa in campo a Cerro de Los Angeles.Dal 18 dello stesso mese la formazione, forte dei battaglioni Thälmann, Marty e Garibaldi, si batté sulla Puerta de Hierro in difesa della capitale.Il Nevicati cadde, colpito in piena fronte, davanti alla Casina Rossa della Città Universitaria.
FONTI E BIBL.: P.Tomasi, in Gazzetta di Parma 29 aprile 1978, 3; A. Lopez, Battaglione Garibaldi, 1990, 39.

NEYRONE MARIO
Parma 5 novembre 1864-Torino 1930
Figlio di Francesco e Amalia Massa. Sottotenente di cavalleria nel 1883, fu insegnante alla scuola militare di Modena e a quella d’applicazione di Pinerolo.Colonnello nel 1914, comandò i cavalleggeri di Catania.Maggiore generale nel 1917, ebbe nel 1923 il grado di generale di divisione.Partecipando alla guerra contro l’Austria riportò una grave invalidità per cui venne poi trasferito nel ruolo speciale.
FONTI E BIBL.: Enciclopedia militare, 1933, V, 501.

NICCHIO, vedi MONTAN BENITO

NICCOLÒ DA RAMIANO
Ramiano 1502/1521
Costruttore e maestro di orologi e fonditore di campane.Fu padre di Antonio, cui probabilmente insegnò l’arte.Nel Consiglio generale del 22 novembre 1508 gli Anziani del Comune di Parma riferirono che la torre grande della città abbisognava di riparazione e comunicarono una proposta di lavori fatta loro da Niccolò da Ramiano, campanaro e orologiaio comunale.I consiglieri, considerando di quanto decoro, ornamento e utilità fosse la torre grande della città, deliberarono i lavori necessari, che furono subito cominciati.Tra i lavori proposti da Niccolò da Ramiano erano i seguenti: Va facto el capitino di maii, tuto di novo, de asse o asoni, secondo parerà al mestro, con un pomo in cima, dorato a oro fino; li maii vanno reffacti de legno e vestiti, depinti tuti di novo; ge va una Madonna con Sancto Iosefe depincta da uno canto, e ge va li cavali de li tri maii, d’altro canto; ge va uno angelo, che asenderà, quando vorà sonare le hore, et sonarà la trombeta et sonarà el campanino; ge va facto uno mandeso tuto novo per sonare la dicta trombeta (atti di Francesco Burzi, filza 4 nell’Archivio notarile di Parma; Pezzana,Storia di Parma, II, 343).Lo Smagliati (ms. parmense 458, f. 419) riporta che: A 15 Novembre 1509 si cominciò di aconzar il capitino dela torre comune, dove era gli angioli dal relogio.E fu Nicolò da li relogii che ‘l tolsi a conzar.A 18 Magio 1510, fu discoperto il capitino de la Tore del Comune, dove va gli angioli: e fu fato quel de sopra (ms. Parmense 458, f. 426). Attivo a Parma, nel 1502 fornì la campana maggiore della torre della chiesa del Carmine e nel 1516 quella della chiesa di Santa Maria dei Servi. Nel giugno 1520 fece il contratto con la chiesa di San Giovanni per la fornitura di una campana grossa: terminata che fu, non soddisfece però i monaci, che la trovarono meno sonora della vecchia spezzata che era stata rifusa. Ne nacque una questione portata davanti al vicario vescovile, tribunale competente per le questioni inerenti la chiesa e nel 1521 Niccolò da Ramiano fu condannato a effettuare una nuova fusione.
FONTI E BIBL.: U.Benassi, Storia di Parma, V, 1906, 331; E.Scarabelli Zunti, Documenti e Memorie di Belle Arti parmigiane, 1911, 62; G.N.Vetro, Dizionario, 1998.

NICCOLOSI GIAMBATTISTA
Pontremoli 17 gennaio 1797-Parma 8 gennaio 1877
Nacque da Francesco e Chiara Marsili. Concluso il corso di studi secondari (grammatica e retorica) nel seminario di Pontremoli, venne mandato nel 1814 a Parma per iniziare presso l’Università appena ripristinata gli studi giuridici, che però dovette subito interrompere per la morte prima del padre e poi della madre.Tornò allora a Pontremoli per provvedere ai due fratelli minori.Solo più tardi poté stabilirsi a Parma, dove riprese e concluse gli studi giuridici nel 1822.Tra i suoi insegnanti, come documentano alcuni fogli di presenza alle lezioni, furono Remiglio Crescini, Francesco Mazza, Gaetano Godi, Francesco Cocchi, Michele Pazzoni e Giuseppe Bertani, tutti membri della Commissione legislativa parmense. Presso lo studio legale di Francesco Cocchi, il Niccolosi iniziò la sua professione di avvocato.Durante la sua attività forense, collaborò, in qualità di segretario, con Paolo Toschi.Il suo compito era quello di tenere i contatti epistolari e trattare direttamente gli affari con quanti erano interessati alle opere dell’incisore parmigiano.In questa funzione egli acquistò conoscenza e gusto nell’arte, pratica degli uomini e delle cose.Inoltre tra il 1824 e il 1833 scrisse i profili di Isac e Toschi.Studiò, tradusse e pubblicò un compendio della Consolazione della filosofia di Severino Boezio.Preparò, per darlo alle stampe nel 1835, un lavoro sul farsi ragione di propria mano. È una ricerca non commissionata ma sentita come una interiore esigenza del suo forte senso di giustizia e della sua ripugnanza a tutto ciò che può avere aspetto di violenza.Il volume fu giudicato una perfetta monografia, nella quale la materia viene trattata con tale ampiezza di studi e magistero di esposizione, da poter essere consigliata a modello in simil genere di lavoro.Nel 1833 cessò la sua attività forense sia per un disgusto ch’ebbe nell’esercizio per lui delicatissimo dell’avvocatura sia perché un autorevole personaggio lo spinse a entrare in magistratura.Questa sua scelta, di cui non si pentì mai, venne così ricordata da lui stesso in una lettera del 1874 indirizzata a Giovanni Sforza: Dopo il libero esercizio, abbastanza prospero, dell’avvocheria, entrai ricercato nel 1833 nella magistratura giudiziaria, nella quale progredii tanto rapidamente che in breve, nel 1839, giunsi al seggio di consigliere nel Tribunale supremo di revisione degli Stati parmensi: il che mosse un bello spirito a dire Niccolosi ha volato; cui un altro rispose: Se ha volato, ciò è segno che ha le ali. Percorsi i gradi di giudice di tribunale e di corte d’appello, fu nominato nel 1839 consigliere nel Tribunale Supremo di Revisione, coll’incarico di coadiuvare come Pubblico Ministero il Procuratore generale.Iniziò allora a compilare la raccolta (1830-1850, 20 volumi) delle sentenze di quella suprema magistratura, insieme con le altre del Consiglio di Stato (1822-1830), continuando così l’opera del Melegari.Consigliere di Stato nel 1844, fu nominato nel 1847 Procuratore generale del Supremo Tribunale e tenne tale carica sino al 1 gennaio 1861, quando, per il mutato ordinamento politico e giudiziario, pasò a quella di primo Presidente della Corte di appello, che lasciò nel 1868 per l’età avanzata. In qualsiasi ordine e grado ricoperti nella Magistratura, fosse essa del Ducato parmense oppure dell’Italia unita, il Niccolosi non solo consolidò la fama di profondo conoscitore della scienza giuridica, ma coronò e illustrò la dottrina del giureconsulto colla integrità e la prudenza del magistrato e la virtù dell’ottimo cittadino.Proprio queste qualità morali, non disgiunte da un universale riconoscimento della sua dottrina, furono la sua forza e gli permisero di restare al suo posto, rispettato e onorato, e di passare indenne attraverso i regimi di Maria Luigia d’Austria, del governo provvisorio di Parma (1848-1849), di Carlo di Borbone, della reggente Maria Luisa di Berry, del dittatore Farini e dello Stato unitario. Nel 1848 fu uno dei tre deputati della città di Parma che andarono a Somma Campagna al campo di Carlo Alberto di Savoja al fine di presentargli il plebiscito per l’annessione del Ducato di Parma al Regno subalpino. In quell’anno ebbe la nomina di senatore del Regno di Sardegna, della quale però non ottenne la conferma alla costituzione del nuovo Regno d’Italia.Dopo  l’armistizio del 9 agosto 1848 il generale austriaco Degenfeld Schönburg, nell’assumere il governo provvisorio di Parma, affidò con decreto del 18 agosto al Niccolosi, per il sollecito disbrigo degli affari, la direzione generale dei dipartimenti dell’interno, di grazia e giustizia, culto e istruzione pubblica, incarico che lo stesso Niccolosi lasciò due mesi dopo per sua rinuncia, accettata dal governo con decreto del 18 ottobre 1848.Riordinata sotto la reggente Maria Luisa di Berry l’Università degli studi di Parma, venne assegnato al Niccolosi l’insegnamento del diritto amministrativo (1854-1859) e poi di diritto costituzionale (1859).Costituito il Regno d’Italia, il Niccolosi, già noto ai ministri della Corona, fu chiamato a prendere parte alle commissioni legislative incaricate dapprima della riforma del Codice Albertino (25 febbraio 1860) e poi della compilazione del Codice civile italiano. Le sue convinzioni politiche, vivificate e nutrite dalla lettura di Rosmini, Manzoni e Cesare Balbo, prospettarono per l’Italia la libertà dallo straniero e, se non proprio uno Stato unitario, almeno una Confederazione di Stati italiani e un governo monarchico costituzionale, rispettoso della religione dei padri e impegnato per la giustizia e contro l’arbitrio.Profondamente cattolico, scrisse: Distinta la Curia romana dalla Chiesa, io mi glorio di professare la fede dei miei padri, quella che stimo l’unica vera, l’unica santa, l’unica immortale di tutte le credenze. Nella sua corrispondenza come nei suoi scritti trapela, fin dal 1859, un senso di fastidio verso i Piemontesi, che sentì non come fratelli liberatori bensì quali conquistatori di territori per ingrandire il Piemonte e non per dare vita a una nazione nuova, sognata a lungo da generazioni di patrioti.Tuttavia, fedele al suo principio di servitore della legge e non del potere, operò con lealtà e scienza sotto i nuovi regnanti che, alla maniera dei precedenti governi, seppero apprezzarlo come uomo e come funzionario. Andando in pensione, nel 1868, gli conferirono la qualifica onoraria di presidente di Cassazione.Fu Commendatore dell’Ordine Costantiniano, Grand’Ufficiale Mauriziano e della Corona d’Italia.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 1877, n. 8 e 9; G.B.Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, 1877, 501-503; A.Pariset, Dizionario biografico, 1905, 75-77; Gazzetta di Parma 14 febbraio 1921, 1-2; T.Marchi, in Aurea Parma 4 1926, 179-186; G.Sforza, Giambattista Niccolosi, biografia e bibliografia, in Giornale Storico della Lunigiana IV 1912-1913, 30-46; F.Poggi, in Dizionario Risorgimento, 3, 1933, 691-692; A.V. Marchi, Figure del Ducato, 1991, 110; L.Farinelli, in Gazzetta di Parma 26 aprile 1993, 5.

NICCOLOSI GIAN BATTISTA, vedi NICCOLOSI GIAMBATTISTA

NICELLI FERDINANDO
ante 1691-Piacenza post 1729
Conte, fu uno dei più facoltosi possidenti del Ducato di Parma.Arrestato sul finire del 1691, fu rinchiuso nel carcere della Rocchetta di Parma per trentasei anni, senza che fosse mai apertamente indicata la vera causa per la quale era stato arrestato e detenuto: si disse allora per segrete ragioni di Stato.Morì pochi anni dopo la sua liberazione.Con testamento del 30 dicembre 1729 legò al Conservatorio delle Preservate di Piacenza la sua eredità, consistente nel vasto tenimento di Muradello e altri beni, che il Conservatorio poté conseguire dietro sentenza e deroghe delle Reali Prammatiche soltanto il 30 settembre 1782.
FONTI E BIBL.: L. Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 298.

NICEPOR
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Fu probabilmente liberto.Patronus di Tettia Prima, è documentato in epigrafe ritrovata nel centro cittadino di Parma, ma poi perduta.Nicepor, più comune nelle forme Nicephor, Nicephorus e Niceporus, è cognomen grecanico molto diffuso dappertutto e portato specialmente da liberti.È documentato in alcuni casi in Cisalpina oltre il Po, ma se ne trovano diverse testimonianze anche in Aemilia.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 133.

NICOLA DA CASOLA
Casola 1309 c.-Ferrara 1380 c.
Esercitò la professione di notaio fin dal 1333. Dimorò a lungo a Bologna al servizio dei Pepoli fino al 1350, quando la città fu ceduta ai Visconti.Esulò allora a Ferrara, dove visse sotto la protezione degli Estensi.Durante la permanenza a Ferrara scrisse l’Attila (o, più esattamente, Atila flagellum Dei), un poema in lingua franco-italiana, cominciato nel 1358 e dedicato a Bonifacio Ariosto.In 16 canti, di oltre 37000 alessandrini misti a endecasillabi monorimi, Nicola da Casola rimaneggiò liberamente leggende e tradizioni medievali sul re unno, fondendole anche con elementi del ciclo bretone.In omaggio ai suoi protettori, attribuisce agli Estensi il merito di aver difeso l’Italia dall’invasione unna.Dell’opera del Nicola da Casola furono eseguite le seguenti edizioni: Atila flagellum Dei (in A.D’Ancona, Poemetti popolari italiani, Bologna, 1889), Attila poema franco-italiano di Nicolada Casola (a cura di G.Bertoni, in Collectanea Friburgensia, XVIII, Friburgo, 1907) e La guerra d’Attila (a cura di G.Stendardo, Modena, 1941).
FONTI E BIBL.: G. Bertoni, C.Foligno, La guerra d’Attila, in Atti dell’Accademia delle scienze, Torino, LVI, 1906; P.Rajna, L’Attila di Nicola da Casola, in Romania XXXVI 1908; V.Crescini, Di una data importante nella storia della epopea franco-veneta, in Romanica fragmenta, Torino, 1932, 333; A.Viscardi, Letture franco-italiane, Modena, 1941; P.S.Leicht, Noterelle friulane al Poema d’Attila, in Ce fastu? XXVI 1950; Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, 4, 1967, 137.

NICOLI AGIDE CARLO
Polesine Parmense 6 maggio 1900-post 1938
Nacque da Clodomiro ed Erminia Fontana.Emigrò in data imprecisabile in Francia, dove ebbe residenza a Parigi.Arruolato il 12 dicembre 1937, appartenne al Gruppo internazionale antiaereo.Partecipò alle operazioni di Belchite e Teruel.Riportò ferite alla testa da schegge.Uscito dalla Spagna nel febbraio 1938, fu internato nei campi di Saint-Cyprien e Gurs.Pare abbia poi combattuto nell’esercito francese finendo prigioniero dei Tedeschi.
FONTI E BIBL.: L. Arbizzani, Antifascisti in Spagna, 1980, 113.

NICOLI FEDELE
Giarola 1856/1881
Fu Vicario della parrocchia di Giarola dal 1856 al 1881.Ricoprì pure le cariche di console della basilica Cattedrale di Parma e di rettore di Moletolo.Nel 1859, l’anno dell’annessione del Ducato di Parma al Regno d’Italia, il Nicoli, evidentemente uomo di grande spirito patriottico, aiutò il podestà di Collecchio nel convincere i contadini della sua parrocchia a votare per il plebiscito d’annessione.A lui si rivolge una lettera del podestà datata 12 agosto 1859, tendente a farlo operare in tal senso.
FONTI E BIBL.: U.Delsante, Dizionario Collecchiesi, in Gazzetta di Parma 22 febbraio 1960, 3.

NICOLINI CESARE
Parma 2 dicembre 1889-1965
Figlio di Gaetano e Zefirina Giovanelli. Partecipò alla guerra di Libia e alla prima guerra mondiale: per i suoi meriti speciali venne insignito della croce di guerra belga, appuntatagli sul campo dal re Alberto dei Belgi.Rientrato a Parma, diventò uno dei più noti cassonieri e una figura caratteristica dell’Oltretorrente. Nel 1948 cessò la sua attività.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 225.

NICOLÒ DA PARMA
Parma 1397
Appartenne all’Ordine Domenicano.Fu uomo di profonda umiltà e di pietà esemplare.Restaurò (1397) l’osservanza regolare dell’Ordine nel Convento domenicano di Bologna.È ricordato dal Leandro e dal Piò (Uomini illustri). È compreso tra i beati dell’Ordine domenicano.
FONTI E BIBL.: R. Pico, Appendice, 1642, 66.

NICOLÒ DA RAMIANO, vedi NICCOLÒ DA RAMIANO

NICOLÒ DA REGGIO
Reggio-seconda metà del XIV secolo
Nel Battistero di Parma (nell’ottava nicchia a destra dell’altare) una figura ad affresco di San Giovanni Battista, nel registro inferiore recava la firma, poi scomparsa, Nicolaus de Reio fecit. È incerta la sua identificazione con un Nicolò di Guidone da Reggio, civis mutinensis, documentato nella seconda metà del XIV secolo.
FONTI E BIBL.: U. Thieme-F. Becker, volume XXV, 1931; Dizionario enciclopedico pittori e incisori, 1990, VIII, 128.

NICOLODI AURELIO
Parma 1894-1950
Tenente colonnello, divenne cieco durante la prima guerra mondiale.Compagno di Cesare Battisti, combatté al suo fiaco e perdette la vista durante una battaglia.Per questo venne decorato.Al termine del conflitto fondò l’Unione italiana ciechi.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 225.

NICOSTRATUS
Parma I secolo a.C./V secolo d.C.
Di condizione forse schiavile, pose un’epigrafe di età imperiale, perduta, a P.Coelius Timotheus.Nicostratus è documentato dappertutto come cognomen grecanico, specialmente per schiavi e liberti.Raro in Cisalpina, è documentato in questo solo caso in Parma. Valida è la supposizione alumnus avanzata dal Bormann, in luogo del secondo ipotetico cognomen Aiumanus o Firmanus, documentati nei territori celtici.Si potrebbe trattare di uno schiavo (forse nato libero e poi esposto) accolto e allevato in servitute da P.Coelius Timotheus.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 134.

NIGONI GIUSEPPE
Parma 1831
Figlio del cocchiere del barone Testa, durante i moti del 1831 fu altro di coloro che si distinsero nel giorno 13 febbraio, sia col disarmare la truppa, sia coll’alzare grida sediziose sia coll’inalberare le insegne tricolori.Figurò nell’elenco degli inquisiti di Stato.
FONTI E BIBL.: O.Masnovo, Patrioti del 1831, in Archivio Storico per le Province Parmensi 1937, 192.

NIGRI ALESSANDRO
Parma 1628
Intagliatore, nell’anno 1628 lavorò al Teatro Farnese di Parma.Fu pagato assieme ai compagni di lavoro per la realizzazione di una carrozza.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Mastri farnesiani, 299; M. De Grazia, Per una, 1972, 138; Il mobile a Parma, 1983, 254.

NIHI, vedi MORDACCI SERGIO

NINO, vedi ANGELOTTI LINO E RESTORI ANTONIO

NIRELLIUS MARCUS
Parma II secolo d.C.
Libero, documentato da Flegonte di Tralles, che lo annovera tra i longevi vissuti cento anni della città di Parma.Il nomen Nirellius non risulta documentato in Cisalpina.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 135.

NIRISBO SCAMANDRICO, vedi LIBERATI GIOVANNI ANTONIO

NISALVO EURITENSE, vedi SALVONI LUIGI BERNARDO

 

NISSOLI GIANNI
Parma 1937-1973
Iniziò a studiare canto a 20 anni: entrò al Conservatorio di Parma e vi restò otto anni.Si esibì a Venezia e Firenze, poi il teatro Comunale di Bologna gli propose un contratto stabile.L’ultima opera da lui interpretata fu I maestri cantori di Norimberga nel 1972.
FONTI E BIBL.: F. e T.Marcheselli, Dizionario Parmigiani, 1997, 225.

NIVIANO UGOLINO, vedi UGOLINO DA NEVIANO

NIZOLI o NIZOLIO MARIO, vedi NIZZOLI MARIO

NIZZOLI MARIO
Brescello 1498-Sabbioneta 1576
Umanista e filosofo, fu professore nell’Università di Parma e a Sabbioneta.Per giudicare tutte le tesi credette che bastasse ricercare con la grammatica e la retorica il senso vero delle parole adoperate: se queste erano adoperate in un significato diverso da quello che avevano nel vocabolario classico, si doveva necessariamente dedurre che esse dovessero esprimere qualche errore sottilmente dissimulato.Con questo principio, mentre poteva cogliere le concezioni dell’antichità incorporate nel linguaggio classico, credette di poter estromettere, come illecite ipostatizzazioni delle forme del linguaggio, tutti i concetti che non fossero immediatamente riducibili alle concrete realtà fisiche dell’uomo e del mondo.Questo pregiudizio nominalistico gli dettò l’opera De veris principiis et vera ratione philosophandi contra pseudophilosophos, libri IV (Parma, 1553).Nella prima parte combatte il metodo e le dottrine dei più grandi scolastici, risparmiando soltanto Occam.Nella seconda espone il suo metodo, che non è se non una logica elementare: proscrive la metafisica, che egli riguarda come falsa o inutile (partim falsam partim inutilem et supervacaneam) e indegna di essere numerata tra le arti e le scienze (ab omni artium et scientiarum numero removendam).La sua concezione che riduce la filosofia a grammatica e retorica interessò il Leibniz, che era in cerca di un linguaggio universale filosofico e di un calculus ratiocinator.Si devono a Leibniz due edizioni dell’opera del Nizzoli (sotto il titolo Antibarbarus philosophicus, Francoforte, 1671 e 1674), la prima delle quali è accompagnata da una Dissertatio praeliminaris de alienorum operum editione, de philosophica dictione, de lapsibus Nizzolii.Il Nizzoli fu un sostenitore tenace della purezza classica e dell’eleganza di Cicerone, della cui lingua compilò un dizionario in Observationes in M.T. Ciceronem (1536), più volte ripubblicate col titolo Thesaurus ciceronianus.Peraltro il suo ciceronianismo, difeso anche in scritti polemici, è puramente formale filologico, non già filosofico, e, contro il canone rinascimentale dell’imitazione degli antichi, si rifiutò sempre di considerare i classici come autorità filosofiche (il vizio nominalistico lo indusse a criticare la loro filosofia, come quella dei medievali).Su questo argomento il Nizzoli fu in polemica con Marcantonio Majoragio, professore di eloquenza a Milano, che fu ciceroniano come lui ma che concesse ai classici autorità dottrinale (benché non definitiva). Il Nizzoli mise in dubbio non soltanto l’autorità di Cicerone, ma anche quella di Aristotele, sostenendo che il solo fatto di essere antico non ha alcuna importanza.
FONTI E BIBL.: M.Glossner, Nicolaus Von Cusa u. Mario Nizzoli als Vorläufer der neuren Philos., Münster, 1891; G. Pagani, MarioNizzoli umanista e filosofo, in Rendiconti dei Lincei 1893; R.M. Battistella, Nizzoli, Treviso, 1905; B.Tillmann, Leibniz Verhältnis zur Renaissance und zu Nizzoli im besonderen, Bonn, 1912; G.De Ruggero, Rinascimento, Riforma e Controriforma, Bari, II, 1930; P.Rossi, Il De principiis di Mario Nizzoli, in Testi umanistici su la retorica, Roma-Milano, 1953, 57-92; P. Rossi, La celebrazione della retorica e la polemica antimetafisica nel De principiis di Mario Nizzoli, in La crisi dell’uso dogmatico della ragione, Roma-Milano, 1953, 99-121; nuova edizione del De principiis (con le note di Leibniz) e introduzione a cura di Q.Breen, in Edizione nazionale dei classici del pensiero italiano, serie II-3, Milano-Roma, Bocca, 1956, LXXIV-217; Dizionario UTET, IX, 1959, 201; Enciclopedia Ecclesiastica, VII, 1962, 557; Dizionario filosofi, 1976, 860.

NOBILI AGOSTINO
Parma 25 dicembre 1788-post 1831
Figlio di Giovanni.Nel 1804 fu volontario al servizio della Francia.Nel 1806 fu promosso Caporale e nel 1813 Sottotenente.Nel 1814 fu Guardia del corpo al servizio di Parma e nel 1815 Sottotenente del Reggimento Maria Luigia.Prese parte alle seguenti campagne: 1807 Gironda, 1808 Portogallo, 1809-1813 Catalogna, 1814 Francia (dove fu anche ferito).
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 29.

NOBILI FERDINANDO
Parma 16 febbraio 1800-Parma 8 maggio 1837
Figlio di Gaetano e Maria Lesignoli. Violinista. Studiò con Antonio Giovannelli e Giovanni Battista Tronchi e prestava servizio da cinque anni come aggiunto al Teatro Ducale di Parma quando nel 1825 presentò domanda all’esame per aspirante nella Ducale Orchestra. Il giudizio della commissione fu che doveva ancora studiare. L’anno dopo l’esito fu lo stesso (Biblioteca del Conservatorio Parma, Archivio della Ducale Orchestra). Con decreto 10 dicembre 1831 venne nominato docente di violino e viola al nuovo Collegio Maria Luigia. Nel dicembre 1833 presentò domanda di concessione del Teatro Ducale per tenervi un’accademia, poi non eseguita.
FONTI E BIBL.: Stocchi, 144; Inventario, 1992, 135.

NOBILI FRANCESCO
Parma 1628/1650
Militò a lungo nelle truppe di Odoardo Farnese e si trovò, per Ranuccio Farnese, all’assedio di Castro.Da Ranuccio Farnese fu fatto Capitano di una Compagnia di milizie da piedi il 2 maggio 1650.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 815-817.

 

NOBILI FRANCESCO
Parma 1697/1725
Giureconsulto colto ed erudito, insegnò pubblicamente in Cesena Rettorica. All’Università di Parma prima insegnò Diritto criminale (1702) e poi Istituzioni Rom.Giust. (1724).Scrisse Arbor nobilissimae Lampugnanae Familiae (Parmae, Rosseti, 1697), Prose e rime in morte di Monsignor Mansi e Elogio di Monsignor Mansi.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Mandati 1619-1715 (in Nota dei Lettori Pubblici di Legge e di Medicina); Registro dello Studio, p. 5 (anni 1711-1712), Registro de’ Mandati, p. 8 (per il 1724); Bolsi, Annot., 50; I.Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, 1797, V, 238; F. Rizzi, Professori, 1953, 65.

NOBILI FRANCESCO
Fontanellato 1729
Falegname.Nell’anno 1729 realizzò cornici e un ovato per il ritratto di S.E. il Padrone in casa Sanvitale.
FONTI E BIBL.: P. Ceschi, 1978, 85 nota 8; Il mobile a Parma, 1983, 257.

NOBILI GIUSEPPE
Fontanellato 1793/1804
Falegname, ricordato nel 1793 per un pagamento per servizio in Casa Sanvitale.Nel 1804 realizzò una porta di rovere, telai da finestre e riparazioni in palazzo Sanvitale.
FONTI E BIBL.: Archivio di Stato di Parma, Carte della famiglia Sanvitale, busta 547, Giornale 1804-1805, v.232, 94; Il mobile a Parma, 1983, 262.

NOBILI PAOLO
Torrile 1772
Falegname, nell’anno 1772 realizzò un credenzone nella parrocchiale di Torrile.
FONTI E BIBL.: Santangelo, 1934, 297; Il mobile a Parma, 1983, 260.

NOCETI, vedi NOCETTI

NOCETO PIETRO, vedi PIETRO DA NOCETO

NOCETTI CLAUDIA GIULIA
Parma 20 marzo 1550-post 1581
Figlia di Giovanni e Margherita.Sposò Eugenio Visdomini.Fu, come il marito, pure lei poetessa.Muzio Manfredi, in un suo sonetto, loda di lei la bellezza, la grazia e la generosità di lodi alle opere poetiche degli altri.Scrisse, tra l’altro, un sonetto in lode del consorte (1575).La Nocetti fece parte dell’Accademia degli Innominati di Parma.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 1 1958, 38.

NOCETTI D.
Parma 1590
Forse sacerdote, fu basso della Cattedrale di Parma nell’anno 1590.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musica in Parma, 1936.

NOCETTI FERDINANDO
Parma 1764
Cantante (basso). Nel registro tenuto da Giacomo Puccini, maestro della Cappella Palatina di Lucca, risulta tra i musicisti invitati per la festa di Santa Croce del 1764. Fece parte del primo coro e venne retribuito con 25 lire. Il giudizio fu: b:mo. Questo si meritava molto di più. La città di provenienza indicata è Parma.
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

NOCETTI FLAMINIO
Parma seconda metà del XVI secolo-Parma 1618 c.
Secondo i frontespizi delle sue edizioni, sarebbe stato organista a San Giovanni Evangelista a Parma tra il 1603 e il 1618.Poiché il Cerreto lo nomina nel suo Della prattica musica (Napoli, 1601), doveva essere noto come musicista già prima del 1600. Il Nocetti fu autore delle seguenti composizioni: Missae ac Litaniae Beatae Mariae Virginis 8 voci (Venezia, 1602), Primus Concentus, sive Sacrae Cantiones, 5-9 voci confectae (dedicato al cardinale Odoardo Farnese, Venezia, 1602), Cantica ac Litaniae Beatae Mariae Virginis, 8 voci concinendae.Cum partitione (Venezia, 1617), Il 2° Libro delle Messe a 8 voci con Partitura per l’Organo (dedicato a Maura LuceniaFarnese in Parma, Venezia, 1618), Sacrorum Concentuum liber secundus, 3-8 voci concinendae cum partitione (Venezia, 1618) e due mottetti in raccolte dell’epoca.
FONTI E BIBL.: N.Pelicelli, Musicisti in Parma nel secolo XVII, in Note d’Archivio 1933; Dizionario Musicisti, UTET, 1987, V, 390.

NOLI GIOVANNA
Parma-post 1794
Nel 1794 era ballerina figurante di supplemento (Archivio di Stato di Parma, Teatri e Spettacoli borbonici, b. 4).
FONTI E BIBL.: G.N. Vetro, Dizionario. Addenda, 1999.

NOMICI
Parma 1508
Fu professore nell’Università di Ferrara nell’anno 1508(Selvette di Nicolò Liburnio, 1513, Venetia, per Jacobum de Penciis a lecco).Agatone, nobile cremonese, fu suo discepolo e scrisse un Epitaffio in morte d’Idalia, figlia del Nomici.
FONTI E BIBL.: Arisi, Crem. Lit., 2, f.20; A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, II, 1827, 454.

NOMICO, vedi NOMICI

NONIUS LUCIUS CHILO
Parma 45 a.C./54 d.C.
Figlio di Lucius.Liberto, destinatario di un’epigrafe, perduta, dedicatagli da Q.Munatius Apsyrtus.Se si tratta, come supposto dal Bormann, dello stesso personaggio documentato in un’altra epigrafe parmense, pure perduta, anche questo reperto potrebbe essere datato, come l’altro, al periodo giulio-claudio.La gens Nonia fu diffusa anche in Cispadana.AParma questa ne è, tuttavia, l’unica testimonianza.Chilo è nome schiavile e libertino grecanico, frequente in Cisalpina, testimoniato a Parma in questo solo caso.
FONTI E BIBL.: M.G. Arrigoni, Parmenses, 1986, 136.

NORMAND, vedi PINGUARD

NOSINI ANTONIO
Parma 23 gennaio 1785-
Figlio di Eliglio.Nel 1801 fu al servizio del duca di Parma Ferdinando di Borbone, nel 1804 fu Alfiere e Aiutante e nel 1805 Sottotenente.Nel 1808 fu al servizio della Francia (nel 1810 ebbe il grado di Capitano).Nel 1816 fu Capitano nel Reggimento Maria Luigia di Parma.Prese parte alla campagne del 1808-1812 in Spagna e 1813-1814 in Germania.
FONTI E BIBL.: E. Loevison, Ufficiali, 1930, 29.

NOTARI EGISTO
1891-Cigine 1 settembre 1915
Figlio di Augusto.Muratore, fu soldato nel 5° Reggimento Bersaglieri.Fu decorato di medaglia d’argento al valor militare durante la guerra libica.Cadde da prode durante un assalto al nemico.
FONTI E BIBL.: G.Sitti, Caduti e decorati, 1919, 173.

NOTARI GIUSEPPE
Parma 1690
Fu autore dell’opera Descritione delle feste fatte eseguire con Reale magnificenza nella Città di Parma, il mese di maggio 1690 dal Duca Ranuccio II per le nozze del Principe Odoardo Farnese suo Primogenito, con la Principessa Dorotea Sofia Palatina di Neoburgo; cominciando dall’espeditione del Sig.Ambasciatore March. di Vigoleno, con il viaggio della Sereniss.Sposa sino all’ultimo periodo de’ famosi Spettacoli.Notitia descritta da Giuseppe Notari Parmigiano (In Parma, per Galeazzo Rosati, 1690).L’opera è dedicata agli sposi e comprende 52 fogli.Termina con un sonetto del Lemene.Alcuni esemplari hanno in fronte il ritratto di Ranuccio Farnese intagliato da M.Desbois.
FONTI E BIBL.: A.Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, 1827, 933.

NOTARI RAFFAELE
Serravalle di Varano de’ Melegari 1810-1890
Barnabita, fu professore (dal 1837) e rettore (1857-1872) del collegio Maria Luigia in Parma.
FONTI E BIBL.: Trattato dell’Epigrafia del p.Raffaele Notari, in M. Leoni, Prose, Parma, Ferrari, 1843, 345-350; L.Sanvitale Simonetta, Cenni biografici sul p.Raffaele Notari, barnabita, Parma, Sveglia, 1891; G.Boffito, Biblioteca Barnabitica, Firenze, 1933-1937, III, 62; A.Micheli, IBarnabiti a Parma, Fidenza-Salsomaggiore, 1936, 27-31, 49-51; F.da Mareto, Bibliografia, 1974, 752.

NOTARI VIRGINIA
Beveroni di Villula 15 luglio 1895-Beveroni di Villula 17 dicembre 1913
Figlia primogenita di Nicola e Caterina Guatteri, una famiglia di poveri agricoltori.Appena ebbe l’età, la Notari fu costretta al duro lavoro dei campi e alla custodia del bestiame, per accudire, più tardi, anche i fratelli minori: Domenico, Maria, Giacomo, Teresa ed Ester.A quindici anni rimase orfana di padre e diventò così l’unico sostegno della madre.Quando la Notari ebbe compiuto i diciassette anni, cominciò a fare la sua comparsa nella zona Giuseppe Rabaglia, di trentasei anni, sposato e diviso dalla moglie, conosciuto come un tipo poco equilibrato e passionale.La Notari si accorse che l’uomo la seguiva e più volte dovette usare tutta la sua energia per allontanarlo.Non riuscendo a togliersi dattorno l’individuo, la Notari confidò la sua apprensione alla madre, la quale ne parlò al parroco e questi ai carabinieri.Il maresciallo convocò il Rabaglia, lo redarguì aspramente e gli proibì di fare ritorno ai Beveroni.L’uomo diradò le sue visite ma non desistette.La mattina del 17 dicembre 1913 si rifece vivo, deciso a ogni costo ad avere ragione della resistenza della Notari, che quella mattina si trovava in casa con la sorella Ester, di tre anni.La madre era fuori al lavoro e i fratelli Giacomo e Maria erano a scuola.Il Rabaglia entrò in casa e aggredì la Notari, la quale però riuscì a divincolarsi guadagnando prima l’atrio e poi un porticato, dove il Rabaglia la colpì per sette volte sul capo con una zappa, uccidendola.Due assi macchiate del sangue della Notari sono custodite come reliquia nella chiesa parrocchiale di Corniglio.La purezza della Notari è documentata nella cronaca che l’allora parroco di Villula, Ferdinando Venturini, stese su invito del vescovo Guido Maria Conforti: Il giorno 19-12-1913 il Regio Procuratore del Re fece un sopraluogo accompagnato dal distinto medico chirurgo signor Bresciani e dopo l’avvenuta autopsia questi ebbe a dirmi, in mia Canonica, alla presenza di altri: Signor Rettore, se la sua Parrocchia ha di questi corpi bisogna proprio che le faccia le mie congratulazioni.Anche il giudice Araldi, pretore di Corniglio, pochi minuti prima avevami detto: Siamo davanti ad una meraviglia: che corpo, che corpo angelico.In seguito ebbi poi la consolazione nel sentire nel verbale di autopsia confermata la purezza verginale dell’eroica giovine Virginia. Il Rabaglia venne arrestato la sera stessa presso la stazione di Berceto.Fu poi rinchiuso nel manicomio di Colorno ove stette per molti anni.In seguito fu trasferito a una casa di pena a Volterra.Da Volterra il Rabaglia tornò di nuovo al manicomio di Colorno, dove poi morì.L’eco del tragico fatto di sangue dei Beveroni percorse tutta la vallata e quelle vicine.Una folla enorme partecipò alle esequie solenni e altrettanta fu presente molti anni dopo al rito di traslazione dei resti della Notari nella chiesa parrocchiale di Corniglio.Il vescovo di Parma Pasini diede corso alle prime ricerche documentali sulla vicenda (1980) per l’eventuale processo di beatificazione.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 9 gennaio 1980, 11; R. Lecchini, Suor Maria Eletta, 1984, 8.

NOVATE LUDOVICO
Pellegrino 1429
Fu Commissario di Pellegrino nel 1429.È ricordato nel Modus Daciandi Marchionatus Pellegrini: Infrascripta sunt pacta datiorum et gabellarum Pellegrini, et pertinentiarum suarum ac villarum et locorum infrascriptorum venditorum et vendentorum per spectabilem et strenuum virum D.ni Ludovicum de Novate, et pertinentiarum ac villarum et locorum infrascriptorum Commissarium pro magnifico et potente Dno Nicolao Piccinino de Perugia.
FONTI E BIBL.: A. Micheli, Giusdicenti, 1925, 6.

NOVATI FORTUNATO ALESSIO
Parma 28 novembre 1692-Montechiarugolo 25 ottobre 1760
Figlio di Giovanni e Angela.All’età di diciannove anni (1711) entrò nell’Ordine francescano.Fu nominato Ministro provinciale durante il Capitolo celebrato nel convento di Santo Spirito in Ferrara (Atti Capitolo, tomo2, 98).Il Novati ebbe titolo di Lettore giubilato, predicatore generale, prefetto del lanificio, Definitore e Custode di Provincia e Segretario generale nella Curia Romana.Fu più volte Guardiano del convento di Parma: nel 1745, la loggia a mezzo giorno fu ridotta a comode stanze, fabbricatovi appresso un corrispondente dormentorio, essendo Guardiano il p.Novato di Parma, che vi si applicò con ogni vigilanza e sollecitudine (Atti Capitolo, tomo II, 100; Flaminio, tomo II, 214).
FONTI E BIBL.: G. Picconi, Ministri e vicari provinciali, 1908, 254-255.

NOVATI Novato, vedi NOVATI Fortunato Alessio

NOVATO DA PARMA, vedi NOVATI Fortunato Alessio

NOVI ANGIOLA
Parma XVIII secolo
Scrittrice ascetica del XVIII secolo della quale non si hanno ragguagli biografici.Di lei rimane una sola opera, stampata a Parma coi tipi bodoniani, in foglio volante, intitolata: Umile ricorso a Maria Vergine santissima madre di Provvidenza.Il suo nome è generalmente taciuto dagli storici della letteratura.La si trova citata solo dal conte Pietro Leopoldo Ferri che ebbe la ventura di salvare dalla distruzione l’opera della Novi.
FONTI E BIBL.: P.L. Ferri, Biblioteca femminile italiana, Padova, 1842; M. Bandini, Poetesse, 1942, 89.

NOXETANO PIETRO, vedi PIETRO DA NOCETO

NUCCI VINCENZO
Parma 1720
Pittore attivo nell’anno 1720.
FONTI E BIBL.: P. Zani, Enciclopedia metodica di belle arti, XIII, 1822, 100.

NUCETI FLAMINIO, vedi NOCETTI FLAMiNIO

NULLO, vedi VENTURINI NELLO

NUTI, vedi FERRARI VINCENZO

NUVOLARI, vedi BATTIONI ALDO

NUVOLONI GALEAZZO
Parma prima metà del XVI secolo
Fratello di Giulio, appartenne a famiglia nobile di Parma (come attestano il Crescimbeni e il Quadrio).Si dedicò alla poesia e fu molto stimato dai conti di San Secondo.Tra l’altro, scrisse una Canzone che si apre con un verso del Petrarca: Che debb’io far, che mi consigli, Amore? e continua poi con un fare tutto petrarchesco.
FONTI E BIBL.: Aurea Parma 3/4 1959, 187.

NUVOLONI GIULIO
Parma post 1560
Fratello di Galeazzo.Fu di famiglia nobile di Parma (sembra però non sia nato in città perché il suo nome non appare nel Libro dei Battezzati), e si dilettò molto di poesia.In varie raccolte si incontrano suoi sonetti e rime.Fiorì verso la metà del XVI secolo, giacché poco prima del 1560 egli dice di inchinare già alla vecchiaia.Tra l’altro, scrisse tre sonetti dedicati a Giovanna d’Aragona, alla duchessa Margherita d’Austria, moglie di Ottavio Farnese, e a Lucrezia Gonzaga, duchessa di Mantova.

 


 

 
 
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