NOTIZIE / 09.11.19 / CULTURA

Due nuove mostre a Palazzo Pigorini

Al primo piano di Palazzo Pigorini la mostra di Arturo Delle Donne, al secondo quella dedicata ad Emilio Scanavino, entrambe visitabili gratuitamente fino al 15 dicembre.

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La mostra "Il battello pareva sospeso come per incanto" di Arturo Delle Donne, curata Cristina Casero e Andrea Tinterri, allestita nelle sale del Palazzo Pigorini di  organizzata con il patrocinio e la collaborazione dell’assessorato alla Cultura del Comune di Parma, regala agli spettatori una preziosa occasione per lasciarsi trascinare in un coinvolgente viaggio. Attraverso una serie di immagini, nelle quali di fronte ai nostri occhi i confini tra realtà e finzione si smarginano, possiamo intraprendere un cammino che ci conduce in luoghi inesplorati, nel cuore di vicende tramandateci dall'universo letterario, teatrale e cinematografico, in spazi fantastici o nelle pieghe del quotidiano.

La mostra comprende trentacinque immagini, suddivise in sei progetti differenti, che restituiscono una ricerca complessa: Delle Donne ricostruisce artigianalmente le scene che vuole immortalare, allestisce piccole scenografie, modellini in scala che dovranno essere fotografati. In questo modo lo scatto è solo uno dei passaggi necessari al risultato finale, un passaggio necessario ma non sufficiente. Alcuni delle scenografie, utilizzate nei progetti, accompagnano la mostra, in maniera da rendere evidente al pubblico i vari stadi di lavorazione.

Attraverso questa tecnica Arturo Delle Donne si confronta con la grande letteratura (Racconti di Mare), con il cinema neorealista italiano o con alcuni classici come “Arizona Dream” o “Intrigo internazionale” (The backstage in small scale; Arizona dream), o ancora con la cronaca sportiva (Cortina – Big Champions in tiny scale), partendo dall’esperienza delle olimpiadi invernali di Cortina del 1956.

Arturo Delle Donne cristallizza frame di pellicole in bianco e nero, estrapola pagine di libri d’avventura, ricerca vecchie fotografie di eventi sportivi: I vari cicli cui ha dato vita sono accomunati dal fatto di essere incentrati attorno a storie che si collocano oltre la fenomenicità del reale, ma sempre costruite facendo ricorso a complesse soluzioni di mise en scene, in una tesa dialettica tra realtà e fiction, tra verità e verosimiglianza. Anche quando il punto di partenza è autobiografico (My small – scale life) il processo non cambia: a differenza di molti casi in cui la fotografia è appunto, forma diaristica, nella ricerca di Delle Donne tutto procede a ritroso. La scena è da tempo scomparsa, rimane il ricordo con tutte le sue incertezze e sovrapposizioni di ogni genere. La fotografia non è altro che la testimonianza di un tentativo, la testimonianza di una ricomposizione. In un solo progetto, tra quelli proposti in mostra, la scena non viene ricostruita a tavolino e la fotografia si confronta con un paesaggio reale (Ma small – scale world), ma anche in questo caso Delle Donne ha bisogno di allontanarsene, trasformando il paesaggio, e tutto ciò che lo caratterizza, in quinta teatrale, scenografia in cui, forse, innescare il racconto.

In occasione della mostra verrà presentato un volume, curato da Cristina Casero e Andrea Tinterri ed edito da Academia Universa Press, dedicato alla ricerca di Arturo Delle Donne, con oltre cinquanta immagini, tra cui alcuni inediti non presenti in esposizione.

Visitabile da domenica 10 novembre a domenica 15 dicembre 2019

Apertura: giovedì e venerdì ore 14.30 - 18.30 / sabato e domenica ore 10.00 – 18.30

 

ARTURO DELLE DONNE

Fotografo professionista, laureato in biologia e dottore di ricerca in ecologia, inizia la sua attività professionale con il reportage pubblicando diversi servizi su riviste specializzate come Gente Viaggi, Mondo Sommerso ed Aqva, alcune sue foto sono state pubblicate da Whitestar/National Geographic.

Nel giugno 2008 vince il primo premio della qualità creativa in fotografia professionale nella categoria food, la cui prestigiosa giuria l’ha giudicato: “un’autore di una versatilità fuori dal comune”.

Dal 2005, in collaborazione con la Solares Fondazione delle Arti di Parma, ha iniziato il progetto fotografico “Closer Portraits”: più di 80 ritratti di personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura tra cui Wim

Wenders, Mario Monicelli, Ernest Borgnine, Bernardo Bertolucci, Daniel Pennac, Michelangelo Pistoletto, Hanna Schygulla, Edoardo Galeano, Gerard Depardieu, Emir Kusturica, James Ivory, Peter Greenaway.

Nel 2009 partecipa ad una spedizione imbarcandosi da Southampton sulla nave RRS Discovery per un reportage sulle ricerche in campo climatico con la Environmental Ocean Team.

Ha curato la parte iconografica del volume “Gusto Italiano” dell’ALMA – Scuola Internazionale di Cucina Italiana, edizioni Plan, uscito a marzo 2012.

Nel 2016 collabora per le riprese del documentario “Pope Francis - A MAN OF HIS WORD”, con la regia di Wim Wenders. Grazie a questa collaborazione nell’ottobre del 2017 ha filmato le operazioni di soccorso dei migranti a bordo della Nave CP941 Diciotti della Guardia Costiera Italiana.

Dal 2017 è consulente di Reggio Children foundation per l’ideazione e la realizzazione di progetti di ricerca multimediali.

Nel 2017 partecipa al MIA Photo Fair a Milano con la mostra “Racconti di Mare” e lo stesso anno espone la medesima mostra completa presso la galleria Hernandez di Milano.

Nel luglio del 2019 vince il TAOAWARD per la fotografia di moda con la seguente motivazione: "per la sua capacità di elaborare in modo personale le numerose commissioni in campo professionale e soprattutto nel mondo della moda”. Ha esposto in vari musei e sedi istituzionali tra cui il Museo del Mare di Genova, il museo di Arte moderna di Velikij Novgorod.

 

Nelle sale del seconod piano di Palazzo Pigorini è stata inaugurata la mostra "Emilio Scanavino. Genesi delle formea cura di Cristina Casero ed Elisabetta Longari, realizzata in collaborazione con l’Archivio Emilio Scanavino e il sostegno del Comune di Parma. La rassegna offre una lettura inedita dell'opera di Emilio Scanavino (Genova, 1922–1986), artista che è stato protagonista della stagione italiana della pittura informale negli anni Cinquanta, aggiornando poi i suoi modi nei decenni seguenti lungo una traiettoria personale e coerente.

L'esposizione presenta – accanto a dipinti, ceramiche e sculture – più di cento fotografie scattate dallo stesso Scanavino, una produzione interessante e sostanzialmente inedita, conservata presso l'archivio dell'artista. Intorno a questo nucleo di immagini è costruita, con un taglio innovativo, la mostra, che chiarisce quindi come la pratica fotografica sia stata parte integrante, sin dalla fine degli anni Cinquanta, della ricerca dell'autore. Dal confronto tra gli scatti e la produzione artistica si evidenzia anche l'affermarsi di un differente modo di concepire l'immagine pittorica o scultorea da parte di Scanavino, che affermava «a me piace fotografare. Ma non cerco belle immagini, mi piace andare in giro e ritrarre lo scheletro della natura, certi buchi, certi solchi che i secoli hanno scavato nelle montagne. I detriti che si accumulano nei luoghi dove la nostra civiltà industriale raccoglie le sue scorie mi raccontano cose incredibili».

Nelle sue fotografie, infatti, Scanavino immortala brani di realtà - corde, innesti, insetti, muri, nodi, pietre -, tutti elementi che qui diventano forme primarie, archetipi, il cui senso va oltre il loro significato letterale. Come evidenzia una delle due curatrici, Elisabetta Longari, “la fotografia aiuta Scanavino a leggere con evidenza il carattere particolare della materia, ne capta la qualità, la struttura segreta”, e quindi il motivo per cui egli ricorre a questo strumento espressivo è “la conoscenza, la più profonda e diretta possibile. La fotografia in questo quadro si rivela un ottimo strumento d’indagine, l’obiettivo è un occhio ravvicinato cui non sfugge nulla, o comunque che sa cogliere ciò che l'occhio umano non afferra”. L'artista, dunque, assegna alla fotografia un ruolo fondamentale nel processo di genesi delle forme del suo immaginario, non fondato soltanto sulla sua invenzione, sulla sua immaginazione, ma capace di trarre forza anche da quella ricognizione sulla realtà che egli compie anche attraverso il mezzo fotografico.

Il fondamentale rapporto tra l'immagine fotografica e la produzione pittorica e scultorea di Scanavino, insieme all’analisi del linguaggio fotografico dell'autore, sono indagati nel catalogo della mostra, un volume edito da Magonza Editore, che presenta la produzione fotografica dell'autore, sinora poco conosciuta. I saggi delle due curatrici approfondiscono diversi aspetti: Cristina Casero si concentra più propriamente sull’analisi del linguaggio fotografico e sulle relazioni dell’artista con il clima culturale e il contesto espositivo a lui contemporaneo; Elisabetta Longari cerca, basandosi principalmente sui libri, come anche sui carteggi presenti nell’archivio del pittore, di tracciare una possibile mappa culturale del suo approccio alla fotografia e all’arte.

Visitabile dal 10 novembre al 15 dicembre 2019

Orari: giovedì e venerdì dalle 14.30 alle 18.30 | Sabato e domenica dalle 10 alle 18.30

Cenni biografici

Emilio  Scanavino (Genova,  1922  –  Milano,  1986),  conseguito  il diploma  artistico,  nel  1942  si iscrive alla Facoltà di Architettura dell’Università di Milano, ma interrompe gli studi a seguito della chiamata alle armi. Nel 1947 Scanavino si reca per la prima volta a Parigi dove soggiorna qualche tempo e, accanto ai critici, incontra i poeti e gli artisti, Edouard Jaguer, Wols, Camille Bryen. L’esperienza parigina si rivelerà fondamentale nel suo percorso stilistico, in particolare per gli echi del postcubismo che assimila e interpreta in chiave personale fin dal 1948, quando espone alla Galleria l’Isola di Genova. Nel 1950 alla XXV Biennale di Venezia espone Soliloquio  musicale e suscita l’attenzione della critica. Sarà invitato alla Biennale di Venezia anche nel 1954, nel 1958 e nel 1960 con una sala personale. Nel 1951, in occasione di una mostra personale alla londinese Galérie Apollinaire, trascorre un periodo a Londra, dove viene profondamente colpito dall’opera di Bacon, Sutherland e Matta. Dal 1968 lavora sempre di più a Calice Ligure, avendovi stabilito una comunità artistica, specialmente dedita alle attività artigianali e alla ceramica. Alla sua opera sono state dedicate mostre personali presso la Kunsthalle di Darmstadt (1973), Palazzo Grassi di Venezia (1973) e Palazzo Reale di Milano (1974).

Partecipano | Guerra Michele

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