NOTIZIE / 16.06.21 / PARI OPPORTUNITA E DIRITTI

Safar: Viaggio in Medio Oriente

Allo Spazio A di Via Melloni la mostra fotografica di Farian Sabahi. Un'occasione per discutere delle elezioni presidenziali in Iran. 

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E' stata inaugurata SAFAR: Viaggio in Medio Oriente - Mostra fotografica di Farian Sabahi.

 Alla presenza del curatore Generoso Urciuolo, dell'Assessora alle Pari Opportunità e diritti del Comune di Parma Nicoletta Paci, della Dirigente del Settore Simona Colombo e di Annalisa Guardiani di Emergency Parma, la studiosa e giornalista specializzata in Medio Oriente ha illustrato il percorso a cui la parola "Safar", viaggio, allude.

"Un viaggio, una proposta che parla di diritti, l'ambito di cui si occupa il nostro Assessorato" ha commentato Nicoletta Paci "un viaggio anche nel tempo, insieme ai bambini ebrei che nel '41 furono accolti in un Iran accogliente, lontano dai fondamentalisti contemporanei. Una mostra che restituisce una storia, immagini di paesi che non ci sono più, una riflessione su diritti e libertà che diamo per scontati, ma che al contrario vanno difesi e tutelati costantemente".   

"Un'inaugurazione che coglie volutamente la data delle elezioni che in Iran, il voto che porterà alle urne 59 milioni di iraniani per eleggere l'ottavo Presidente della Repubblica Islamica con un esito che probabilmente allontanerà con la vittoria del candidato ultraconservatore  l'Iran dall'Occidente e dall'accordo sul nucleare di Vienna. Safar è una mostra che ha scelto come immagine uno scatto 1997 con ragazzi che corrono su pattini in linea, come in una qualsiasi città europea, ma in quegli anni quei pattini erano simbolo di modernità. Sono circa 60 le immagini che potrete vedere in Via Melloni allo Spazio A che sono state scattate in Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan e Yemen tra il febbraio 1998 e la primavera 2005 ed esposti per la seconda volta, dopo la mostra al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino (2019)." Ha spiegato la giornalista Farian Sabahi.

Un ricamo di Ivana Sfredda accoglie i visitatori della mostra:  traduce i versi del poeta di lingua persiana Rumi: " Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso".

La mostra di Farian Sabahi che ha il patrocinio di Action Aid, Amnesty, Emergency, Ciac restituisce un mondo visto e immortalato poco prima e immediatamente dopo che in alcuni di questi Paesi iniziassero terribili i conflitti, un mondo stravolto anche dove la guerra non si è combattuta, dove però permangono le cicatrici dei vecchi conflitti o dove il progresso si contrappone forte e arrogante agli aspetti più tradizionali del vivere quotidiano.

L’inviato di guerra Alberto Negri nella prefazione del catalogo scrive “Nulla di tutto quello che vediamo in questi scatti ci è estraneo. È un mondo diverso ma non così esotico. Abbiamo contribuito pesantemente alla sua distruzione. È difficile raccontare cosa volesse dire vivere in Iraq o Siria in questi anni, sotto i bombardamenti, asserragliati senza mai potere uscire. La morte arrivava dall’alto con i raid aerei o i missili, oppure in maniera silenziosa sulla lama di un coltello. E molti dei monumenti, dei muri, delle case, dei volti delle persone che qui sono ritratti non ci sono più. Perduti per sempre. Ecco perché l’immagine, anche la più innocente, come il sorriso di un bambino, non è semplicemente un ricordo ma un atto d’accusa”. 
La restituzione di questo sentire è data dall’installazione site specific, lo Spazio A diventa uno spazio atemporale in cui le fotografie si alternano come i ricordi di vecchi viaggi, dove è difficile distinguere un prima da un poi. Le fotografie, realizzate originariamente in diapo 100 ASA Fuji sensia a colori e stampate per la mostra su carta museale opaca, erano state presentate al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino senza cornici, senza stretti confini, ma appese a un filo da pesca per tonni ad evocare la precarietà della vita in Medio Oriente, appesa appunto a un filo. Un filo trasparente, che non si vede ma è molto resistente e rappresenta al contempo il contesto all'interno del quale le vite sono imprigionate spesso a causa di dittature e conflitti. Il filo da pesca evoca anche la morte, le vite appese, imprigionate e poi negate, come dice Farian Sabahi “il filo da pesca ricorda il Mediterraneo e le tante vittime di questi anni”.

Corredo alle immagini sono i passaporti italiano e iraniano con i visti per quei Paesi, la macchina fotografica Nikon e gli obiettivi usati, il registratore. E ancora le pagine dei quotidiani dell'epoca, tra cui gli articoli e i reportage su IlSole24Ore firmati da Farian Sabahi, fissate come in una bacheca. Arabo, persiano, italiano, francese e inglese sono le lingue che animano il tappeto sonoro. Le voci che abbracciano il visitatore e lo traghettano “dentro” la storia sono dello scrittore turco e Nobel per la Lettaratura Orhan Pamuk, di Padre Paolo dell’Oglio, del poeta siriano Adonis, di un pescatore sul Tigri, dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, di un omosessuale a Dubai, dell’ex presidente iraniano Muhammad Khatami, dell’architetto Darab Diba, del filosofo Dariush Shayegan, dell’avvocata e attivista pachistana Bilqis Tahira, dello storico azerbaigiano Altay Geyushev, dell’artista e gallerista azerbaigiana Aida Mahmudova, di Pierpaolo Pasolini, dell’attivista yemenita insignita del Nobel per la Pace Tawakkol Karman, della scrittrice iraniana Azar Nafisi. A congedare il visitatore ancora i versi di Rumi nei quali il viaggio è un'esperienza che porta alla conoscenza e, nel nostro caso, al rifiuto del dualismo tra Occidente e Oriente, a decidere di non dichiararsi appartenenti a un mondo o all'altro. Io non sono dell'Est né dell'Ovest. Ho riposto la dualità e visto i due mondi come uno. 

In mostra anche il cortometraggio I Bambini di Teheran (33 minuti) che era già stato al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino e al MUDEC Museo delle Culture di Milano (2018). Sono quattro le testimonianze degli ebrei polacchi, ormai anziani, intervistati in Israele nel 2008 e 2010. Le loro vicende sono divise a tappe geografiche, congiunte dalla voce fuori campo di un quattordicenne. Appena prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale erano scappati dalla Polonia invasa dai tedeschi verso la Polonia occupata dai sovietici. Da qui, erano stati deportati nei campi di lavoro in Siberia. In un secondo tempo erano riusciti ad arrivare in Uzbekistan dove vissero negli orfanotrofi fino a quando furono portati sulle coste del Mar Caspio e da lì a Teheran, che il 25 agosto 1941 era stata invasa dalle truppe britanniche e sovietiche. A Teheran, gli inglesi trasferirono 33mila soldati polacchi e 11mila rifugiati di cui 2mila ebrei, la metà minorenni destinati a un campo rifugiati allestito nell’agosto 1942 e finanziato dal governo polacco in esilio; cibo e medicine erano fornite dalla comunità ebraica iraniana, dalla Croce Rossa americana, da organizzazioni ebraiche e sioniste. A Teheran, i rifugiati polacchi trascorsero il periodo più lungo (da qui il nome Bambini di Teheran) prima di raggiungere quella che ancora era chiamata Palestina, dove furono smistati in base alle abitudini della famiglia di provenienza: i figli di rabbini furono destinati allo studio della Torah, gli altri ai kibbutz. Ma qualcuno riuscì a imbrogliare….La colonna sonora del video è Elegy for the Arctic, per gentile concessione di Ludovico Einaudi.

 L’ingresso in mostra è gratuito. Orario: dal martedì al venerdì 15-19, sabato e domenica 10-19, lunedì chiuso. 

Catalogo della mostra Prinp Editore, 74 pagg, con testi di Farian Sabahi, Alberto Negri e Olga Gambari 

Farian Sabahi (1967) - Giornalista professionista specializzata sul Medio Oriente, scrive per Il Corriere della Sera, il settimanale Io Donna e il manifesto.

È titolare del seminario “Relazioni internazionali del Medio Oriente” presso l'Università della Valle d'Aosta e insegna “Giornalismo tra diritti e libertà” all’Università dell’Insubria. Storia dell’Iran 1890-2020 (Il Saggiatore 2020) è il suo ultimo libro. Nel memoir Non legare il cuore. La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni racconta le sue vicende e quelle di famiglia (Solferino 2018). Tra gli altri suoi volumi: Un'estate a Teheran (Laterza), Islam. L'identità inquieta dell'Europa (Saggiatore) e Storia dello Yemen (Bruno Mondadori). Noi donne di Teheran (disponibile anche in francese e in inglese) e il libro-intervista Il mio esilio con l'avvocato iraniana Shirin Ebadi insignita del Nobel per la pace sono pubblicati da Jouvence. Nel 2010 è stata insignita del Premio Amalfi sezione Mediterraneo, nel 2011 ha ricevuto il Premio Torino Libera intitolato a Valdo Fusi, e nel 2016 il Premio giornalistico “Con gli occhi di una donna” organizzato dai Lions di Parma.

Il suo sito è www.fariansabahi.com È raggiungibile per e-mail all’indirizzo farian.sabahi@gmail.com

Partecipano | Paci Nicoletta Lia Rosa
Luoghi | spazio a

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