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Fra coloro che hanno ricevuto il riconoscimento, il Sindaco di Parma Michele Guerra, che è autore dell'introduzione al volume "Le Orme della Carità. Seguendo i passi di Padre Lino", a cura di G. Gonizzi, MUP, Parma, 2024.

Di seguito la versione integrale dell'introduzione, dal titolo "Il prestigiatore di Dio":

La prima volta che ho sentito parlare di Padre Lino avrò avuto sei anni e frequentavo la parrocchia della Annunziata, che era stata la sua casa.

Ce ne parlava Padre Pietro Rossi, che come Padre Lino, senza essere di Parma, trascorse molti decenni della sua vita nella nostra città, sentendola sua, capendola nel profondo e agendo per il suo bene.

Nella mia mente di bambino si sedimentarono alcuni tratti del corpo di Padre Lino, che come spesso accade sono in grado, attraverso la fisicità, di condensare e restituire la complessità di uno spirito e della sua missione.

Anzitutto la camminata. Di Padre Lino ci raccontavano gli infiniti passi, mossi sempre per andare in aiuto di qualcuno, per portare qualcosa a chi non aveva nulla, per confortare chi era solo, chi era malato, per raccogliere i bisogni dei rioni popolari che tagliava con la sua andatura.

Un frate coi suoi sandali, che sfidava le stagioni e arrivava a piedi dappertutto: quando nel 1910 divenne padre spirituale del riformatorio minorile “Lambruschini”, a piedi raggiungeva tutti i giorni la Certosa dall’Oltretorrente.

Non mi stupì, pertanto, un bel po’ di anni dopo, scoprire che Jucci Ugolotti, nel monumento a Padre Lino che si trova in piazzale Inzani, aveva scelto di enfatizzare, nella forma della sua scultura, proprio i passi di Padre Lino, un piede dietro l’altro a sostenere la circonferenza suggerita dalla schiena ingobbita e bilanciata dallo slancio del collo e del volto protesi in avanti e dalle mani sempre recanti doni di carità.

Il passo di Padre Lino, lo avrei scoperto dopo, era qualcosa di inconfondibile per i parmigiani, possedeva al contempo un che di molto terreno, che lo faceva avvertire come davvero vicino alla gente, e un’aura ieratica che lo consegnava già ad una dimensione metafisica.

Ricordo che quando preparavamo la grande mostra «Hospitale», dedicata all’Ospedale Vecchio di Parma e all’Oltretorrente, Guido Conti volle proprio rimarcare questo aspetto del muoversi di Padre Lino e lo fece inquadrandolo in uno dei molti momenti storici in cui questo francescano vero seppe dimostrare forza e sostegno ai parmigiani, durante le Barricate del 1922:

«In quei giorni di guerriglia urbana, un frate di nome Padre Lino, che viveva nella chiesa dell’Annunziata, camminava rasente i muri ma nessuno osava sparargli, sia da una parte che dall’altra. Tutti sapevano che quello per la gente era un eroe della carità, un vero santo.»

l secondo tratto era lo sguardo: quegli occhi strabici, ridotti così, in quei tempi, da un problema alla vista che era costato a Padre Lino una operazione e una complicata convalescenza.

Quello sguardo mi rendeva la sua figura un po’ più misteriosa, come se la dimensione della sua vista fosse qualcosa di assolutamente specifico, un aspetto strettamente personale, che consentiva a Padre Lino di vedere cose che gli altri non vedevano, di arrivare nei luoghi nevralgici del bisogno grazie ad una capacità di guardare attraverso le persone e le cose del tutto unica.

Mi è capitato tante volte di imbattermi in disegni o illustrazioni su Padre Lino in cui il suo strabismo viene corretto e sono sempre rimasto male, perché la fatica di quello sguardo era la stessa del suo camminare e anch’essa ci trasmette ancora oggi una parte importante della spiritualità del nostro Padre Lino.

Infine le braccia e le maniche del saio, sempre impegnate le prime, sempre piene di qualcosa le seconde, al punto che Giovannino Guareschi, che su Padre Lino avrebbe voluto scrivere un film, notava che «dalle maniche della sua tonaca saltava fuori tutto, come fosse il prestigiatore di Dio.»

Una definizione profondamente poetica che ci riconnette a quel francescanesimo che assume come missione la riscoperta e la tutela della parte più pura dell’infanzia e del gioco, un altro degli aspetti che Padre Lino sapeva portare ovunque con sé e che è rimasto nelle cronache e nei racconti in città.

Fino all’ultimo professò la sua missione, morendo per un aneurisma al pastificio Barilla mentre chiedeva aiuto per un bisognoso in cerca di lavoro. E non stupiscono le reazioni di massa che seguirono alla sua morte e che per quattro giorni videro la città di Parma e il suo contado stringersi, come mai si era visto, attorno al proprio fratello, attorno al proprio santo.

I detenuti del carcere di San Francesco del Prato costruirono la bara e vi incisero sopra le parole più forti: «Al confortatore infaticabile del loro quotidiano tormento, i carcerati incisero piangendo.»

Sono certo che Padre Lino sorriderebbe oggi a vedere San Francesco del Prato restituita al suo splendore e tornata ad essere chiesa e ripenserebbe alla molta vita che ha speso e difeso là dentro nei suoi anni parmigiani.

Molti dei luoghi di Padre Lino sono rimasti qui a testimoniarne la missione, altri luoghi di fragilità e povertà si sono nel frattempo, purtroppo, moltiplicati e di passi, sguardi, mani e maniche alla Padre Lino Parma avrebbe ancora tanto bisogno.

Testo pubblicato nel volume Le orme della carità. Seguendo i passi di Padre Lino, a cura di G. Gonizzi, MUP, Parma 2024

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Ultimo aggiornamento: 11-05-2024, 15:10